Uso terapeutico della cannabis

(da  Univadis  – a cura di Marco Cambielli e Paolo Spriano – MMG Varese e Milano)

L’uso medico della cannabis e dei suoi componenti è legale in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, dove dal 2013 è autorizzata come medicinale per il trattamento dei sintomi da spasticità grave e moderata in pazienti adulti, dovuta a Sclerosi Multipla (SM). Il suo impiego nelle altre patologie per cui è stata proposta si basa su  deboli dimostrazioni di efficacia, in particolare per alcuni sintomi legati alla patologia neoplastica, la malattia di  Alzheimer, il disturbo da stress post traumatico, l’epilessia e il glaucoma. I dati relativi alla sua sicurezza sono al momento insufficienti e non esistono informazioni specifiche sulle reazioni avverse dovute al suo impiego medico. Al contrario sono noti gli effetti collaterali più comuni associati all’uso ricreativo della cannabis e ad un suo sovraddosaggio che, in alcuni casi, comporta conseguenze serie, dalla psicosi alla depressione severa.   Negli USA i medici si trovano compressi tra un certo permissivismo dei singoli regolamenti locali e le regole federali proibizioniste. Infatti la prescrizione di cannabis, anche per uso terapeutico, rimane illegale per le leggi federali USA perchè è considerata una sostanza con alto potenziale di dipendenza e quindi ne è vietata la coltivazione, l’uso, la vendita, lo spaccio ed anche il possesso. Visto l’aumento delle giurisdizioni locali che ne permettono l’uso per motivi sanitari, il Federation of State Medical Boards (FSMB), organismo che raccoglie i 70 membri di organismi regolatori appartenenti ad altrettanti Stati e territori, nell’Aprile 2016 ha prodotto un regolamento, pubblicato su JAMA (1), di ciò che i medici interessati alla prescrizione della marijuana per motivi medici debbono tenere in conto. I dieci criteri individuati dal FSMB per il medico prescrittore di cannabis sono i seguenti:

  1. deve esistere una documentazione dettagliata dell’incontro medico-paziente con le motivazioni, essendo esclusa la possibilità di prescrizioni a sé o ai propri famigliari
    2.  deve essere fatta una valutazione accurata del paziente, verificando anche la familiarità per malattie mentali o uso di sostanze e la mancata risposta ad altre terapie
    3.  deve esistere un consenso informato su rischi e benefici del trattamento con marijuana, evidenziando la mancanza di standardizzazione delle preparazioni, la impossibilità di guidare mentre il paziente è in terapia; in caso di minore o soggetto temporaneamente non in grado di dare un parere deve esserci l’assenso di un tutore
    4.  deve essere preparato un piano terapeutico scritto con l’esplicitazione di 6 aspetti di dettaglio sull’uso, del tutto simili a quelle contenute nel riassunto delle caratteristiche del  prodotto dei farmaci autorizzati
    5.  devono essere presenti condizioni qualificanti nella discrezione del curante, che seguano le leggi, i regolamenti, le norme dello stato
    6.  deve essere fatto un monitoraggio di efficacia e sicurezza, ricorrendo a registri, dove esistano
    7.  in caso di pazienti con nota o sospetta storia di dipendenza o malattia mentale il paziente deve preliminarmente essere avviato a parere specialistico: specialista del dolore o psichiatra o specialista delle dipendenze, secondo i casi
    8.  deve essere tenuta una cartella clinica molto precisa e dettagliata con anamnesi, esame obbiettivo, valutazione del paziente, altre terapie, data di inizio della terapia con dosi di marijuana prescritta, istruzioni per il paziente e copia del consenso informato firmato
    9.  deve essere assente ogni conflitto di interessi per il prescrivente, quale avere lo studio vicino ad un centro di coltivazione o avere interessi commerciali o finanziari coi centri di coltivazione o coi dispensari
    10. è proibito al medico di usare marijuana per uso personale terapeutico o ricreazionale quando è professionalmente attivo: lavorare sotto l’uso di marijuana costituisce  una violazione dei doveri professionali.

Tutto ciò, dicono gli Autori, rientra nella ‘mission’ primaria del FSMB che deve proteggere il pubblico ed assicurare che chi esercita la medicina sia idoneo e qualificato. Gli autori dell’articolo ritengono che, preso atto delle diverse regolamentazioni locali, il documento del FSMB possa incidere profondamente sul controllo del comportamento dei professionisti prescrittori, poiché, se anche i singoli stati non adottano esplicitamente  queste indicazioni come  regole dello stato o come politica sanitaria, esse rappresentano uno sforzo ragionevole per favorire la best practice  dei medici quando prendano in considerazione la cannabis come farmaco.  Queste osservazioni offrono un contributo utile alla discussione in atto in Italia circa l’uso della cannabis che ha dimostrato un profilo di sicurezza molto complicato per l’evidenza di dipendenza, incidenti stradali, sintomi di bronchite cronica, nonché riduzione del livello educativo, occupazionale, aumento della disoccupazione e delle azioni criminali, quando l’uso sia incominciato in adolescenza, diminuzione della memoria e dei meccanismi di controllo con corrispondente riduzione del volume di alcune zone cerebrali  interessate, aumento di ansia e depressione (2). La valutazione di efficacia e sicurezza dell’uso di questa sostanza necessita quindi di una quanto mai precisa valutazione degli organismi regolatori, al di là del dibattito aperto sulla sua legalizzazione, come è stato sottolineato dal Presidente dell’Agenzia Italia del Farmaco (AIFA) in una recente audizione alla Camera sul tema (3). (Bibliografia: 1.Chaudhry HJ  et al. Viewpoint. Medical Board Expectations for Physicians Recommending Marijuana. JAMA 2016;316: 577-8  2. Volkow ND et al. Adverse Health Effects of Marijuana Use N Engl J Med 2014;370:2219-27  3. Melazzini M Cannabis: uso medico va separato da legalizzazione. Effetti ancora poco noti. AIFA 2016 Com Stampa 501 – 7 luglio)