Rapporto Sdo, sul medico di famiglia ricade lavoro non svolto da ospedali
(da Doctor33) «Si sono ridotti i ricoveri e sono diminuiti da qualche parte i viaggi della speranza, ma in molte regioni si sente il peso della crisi e della riduzione delle prestazioni negli ospedali pubblici, e a sentirlo non è solo il paziente ma anche il medico di famiglia sul quale ricade buona parte del lavoro non più svolto negli ospedali». Ernesto Lavecchia segretario organizzativo del Sindacato Medici Italiani commenta il Rapporto sulle Schede di Dimissione ospedaliera 2015 da poco presentato dal Ministero della Salute. Lavecchia ha una particolarità, è medico di famiglia molisano, e la ricerca dice due cose importanti sul suo lavoro e sulla sua regione. In primo luogo, si è ospedalizzato di meno nelle specialità dove i medici di famiglia “presidiano” di più, come le cronicità attinenti a patologie cardiovascolari e diabete. In secondo luogo, le regioni piccole come la sua stanno vivendo una “terza vita”, da produttori di prestazioni che avrebbero dovuto tendere all’autosufficienza sono divenute negli anni scorsi poli di buona sanità e di alta specialità, per poi ricadere – lo dice l’ultimo rapporto Sdo, appunto – nel gruppo di chi esporta pazienti in strutture di altre regioni più grosse e attrezzate. Se a livello nazionale la mobilità sanitaria è stabile – 8 dimissioni da strutture extraregione di residenza per mille abitanti nei ricoveri ordinari e 3 ricoveri per mille abitanti nel Day Hospital – e se Calabria ed Abruzzo restano in testa agli “esportatori” di pazienti (e Lombardia ed Emilia Romagna agli “attractor”) ora si emigra anche da regioni piccole. Molise, Basilicata, Val d’Aosta, hanno sia un alto indice di fuga di propri residenti, sia un alto tasso di attrazione, un’anomalia dettata dal fatto che alcune specialità vi eccellono ma non c’è risposta su tutto. «Nella mia regione – afferma Lavecchia – di fatto esistono solo urgenza ed elezione ma non zone “grigie”. Un femore rotto si fa subito, un’ernia inguinale dopo otto mesi. Se dovessi commentare a partire dalla mia esperienza sul campo, vedo la diminuzione dei ricoveri come frutto dell’allungamento delle liste d’attesa. Tra l’altro, da noi gli ospedali pubblici lavorano sotto organico e solo ora stiamo recuperando 200 precari nelle strutture pubbliche. «Siccome sopportare un anno di dolori per una protesi d’anca non si può, in Molise ci si rivolge al privato convenzionato dove crescono le prestazioni in alcuni reparti della Cattolica e di Neuromed, ma non si trovano tutte le risposte. Sono cresciute le contingenze che spingono a uscire dalla regione o, magari ancor prima, a pagare di tasca propria chi può. Ricordo che la spesa out of pocket in Italia s’è alzata ormai a 36 miliardi di euro».
Quanto ai ricoveri più bassi nelle classi di pazienti più presidiate dalla medicina generale, pare innegabile lo “zampino” del medico del territorio nella diminuzione dei tassi di ospedalizzazione per diabete non controllato (13,7 dimissioni per 100 mila abitanti contro 14,7 nel 2014), per insufficienza cardiaca dell’adulto (specie nell’anziano), per diabete con complicanze e anche quello per polmonite, benché raddoppi il tasso di dimissioni da ospedale per influenza. «Sia o meno messo in grado farlo, il territorio si carica una serie di patologie prima trattate in ospedale», afferma Lavecchia. «Del resto a chi ricorre il paziente privo di riferimenti se non al suo medico di famiglia? La medaglia ha il suo rovescio, noi prescriviamo quello che dovrebbe prescrivere l’ospedale e se ci scostiamo dall’indice di spesa sostenibile “Z score” la regione ci chiede indietro i soldi dei farmaci. Personalmente, molto credo possa aiutarci uno sviluppo della specialistica ambulatoriale, e poi forse in prospettiva le Aggregazioni funzionali territoriali dei medici di famiglia».