Il tempo di vestizione del personale sanitario va sempre retribuito. Ecco la sentenza

(da Doctor33)    Per un sanitario indossare e togliersi camice, mascherina etc fa parte dell’orario di lavoro e come tale va retribuito. Lo dice la sentenza 17635 della Cassazione che fa chiarezza a livello nazionale rispetto ad una serie di sentenze a livello locale. L’ultima di queste nelle Marche: qui, supportati da Cisl-Fp, 300 tra infermieri ed altri sanitari hanno ottenuto dal giudice del lavoro di Macerata una sentenza secondo cui il tempo che impiegano a vestirsi va conteggiato nell’orario di lavoro, 10 minuti in entrata e 10 in uscita per ogni turno svolto. La norma vale per gli infermieri che hanno un tempo di vestizione più lungo e se la ritrovano nel contratto del comparto, ma si pone per tutti i sanitari del comparto in tanto in quanto sono “in divisa”. E i medici? Probabilmente non sono esclusi, ma dedurlo non è “spontaneo”, perché il tema non è centrale né nel contratto della dirigenza né fin qui lo era nelle sentenze.
La sentenza di Cassazione – A seguito di un contenzioso tra alcuni infermieri e un’Asl abruzzese, la Corte di Cassazione Sezione Lavoro con la recente sentenza 17635/2019 riconosce che il tempo tuta l’Asl lo deve pagare. Non è una novità: precedenti sentenze (19358/2010, 15492/2009, 15734/2003) dicono che il sanitario non va retribuito solo ove sia lui a decidere come e dove vestirsi, ma se a decidere è il datore di lavoro, il sanitario si presume “eterodiretto” e la sua vestizione rientra nel lavoro effettivo. Ora la Cassazione dice una cosa ulteriore: più gli indumenti sono “specifici” – diversi da quelli utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento – meno c’è dubbio che si tratti di tempo-tuta “eterodiretto”. Altre sentenze di Cassazione (3901/19, 12935/18, 27799/17) affermano poi che le attività di vestizione e svestizione sono svolte nell’interesse non del datore di lavoro ma dell’igiene pubblica e come tali s’intendono autorizzate dall’Azienda stessa dando diritto alla retribuzione “anche nel silenzio del contratto collettivo integrativo”. Una retribuzione che, se non s’intende ricompresa nel contratto di lavoro, va pagata a parte. E -nel caso abruzzese da cui origina la sentenza- visto che l’Asl la considerava a parte come tale sarà retribuita.
News dalle Marche. «La sentenza 174 del 2 luglio 2019 del Tribunale di Macerata, pur essendo di primo grado, assume una rilevanza notevole nel contesto nazionale perché oltre a riconoscere il diritto dei ricorrenti alla retribuzione del tempo destinato ad indossare e dismettere la divisa aziendale, condanna l’Azienda a retribuire il tempo suddetto con gli arretrati degli ultimi 5 anni», spiega Luca Talevi, segretario generale della Cisl Funzione Pubblica Marche. La Regione dovrà riconoscere un totale di circa 750 mila euro e l’Azienda sanitaria unica ha già messo le mani avanti paventando minori risorse per assunzioni. Riepiloga Talevi: «Il nuovo contratto nazionale del comparto Sanità, del 21 maggio 2018 prevede la possibilità di regolamentare la materia della vestizione, che comprende anche l’importante momento del passaggio di consegne, con accordi regionali. Però la Regione Marche come altre regioni non ha ancora condiviso questi accordi con le organizzazioni sindacali. Ci auguriamo che dopo questa importante sentenza, ed altre in Italia che riconoscono questo importante diritto, la Regione si sieda ad un tavolo per affrontare il tema dato che per la Fp Cisl ricorrere in Tribunale è solo estrema conseguenza della mancata volontà della parte pubblica a confrontarsi costruttivamente. Qualora non si giunga ad un accordo la Fp Cisl Marche chiederà il riconoscimento di quanto dovuto per tutti i circa 8.000 lavoratori (in gran parte infermieri ed operatori socio sanitari) potenzialmente interessati a veder riconosciuto il loro diritto alla vestizione e/o al passaggio di consegne».