Violenza domestica e abusi sugli animali: saper intercettare i segnali

(da M.D.Digital)   Medici e veterinari insieme per interrogarsi sulla possibilità che esista una correlazione tra gli abusi subiti dagli animali e i maltrattamenti. Questo è stato il tema della serata organizzata dalla Fondazione Ars Medica per conto dell’OMCeO veneziano in collaborazione con l’Ordine dei Medici Veterinari. “Le violenze sugli animali – ha sottolineato Sandro Zucchetta presidente dell’Ordine dei Veterinari – sono l’espressione di qualcosa di distorto che c’è nella nostra società. A queste si contrappongono tante iniziative di segno opposto: nel comune sentire delle persone nascono un’infinità di associazioni animaliste o in difesa del benessere animale… Questa è la risposta civile al comportamento brutale di cui vediamo spesso le immagini. C’è una correlazione tra abusi su animali e umani? Sì. Quando gli animali vengono maltrattati, le persone sono a rischio, soprattutto quelle più deboli. E viceversa. Non si possono sottovalutare i segnali che indicano un possibile abuso”.

La Prof.ssa Paola Facchin, docente di pediatria all’Università di Padova, ha spiegato ai partecipanti come sospettare le violenze domestiche e, in caso, come intervenire.  Ha raccontato, per esempio, di una donna picchiata dal marito davanti al figlio 15enne, esente, lui, dalle botte. “Ma quel 15enne presentava aspetti di isolamento, terrore, depressione. Era come ‘congelato in frigo’. Aveva ritardi della crescita, della maturazione ossea, era obeso. Segni fisici e psichici legati alla violenza assistita. Un giorno ci ha detto: se c’è una casa, ci si adatta a tutto”.  E ancora: il caso di una donna nigeriana che arriva in PS con segni evidenti di percosse, ha 4 figli, due con sé, gli altri a casa con il marito “violentissimo”. Sui due che vengono visitati si scoprono segni di ferite pregresse e carie dentali diffuse, neglect dental: anche per loro, dunque, maltrattamenti fisici, abusi psico-emozionali, ritardo della maturazione ossea e grave trascuratezza. “Più sindromi, con i codici specifici della classificazione delle patologie, si associano insieme nello stesso soggetto”.   Un altro caso è quello di una mamma che ha subito un tentativo di strangolamento e di defenestrazione con la figlia di due anni e mezzo in braccio. All’intervento della volante chiamata dai vicini, l’uomo in preda all’ira ha tentato di defenestrare anche un poliziotto. E per questo è finito per direttissima in carcere. Ma la bambina? Ha segni fisici seppur non gravi, è spaventata, parla poco, non ha ricordi completi, ma soprattutto ecchimosi sottocongiuntivali. A cosa sono dovute? A un tentativo di strangolamento.   “La violenza a cui assistono i minori  non è solo contro la madre: può essere anche contro un fratello, un’altra persona amica, o anche contro l’animale domestico del bambino, maltrattato proprio per fargli un dispetto, per fargli del male. Anche se il bambino non subisce violenza, ma la vede solo, questa è una forma di maltrattamento. Se vedete una donna maltrattata chiedetevi se ci sono dei bambini. E se ci sono dei bambini, guardateli con attenzione. Perché nessun bambino vi dirà “sto male” o “ho visto questa cosa”. Negheranno, ma lo diranno in altri modi. Nei maltrattamenti dobbiamo sapere cosa guardare, cosa fare e quando farlo: dobbiamo avere un’attitudine diagnostica. Mettere nelle nostre categorie mentali il fatto che esistono sindromi da maltrattamento. Queste sono malattie ed è il nostro preciso dovere diagnosticarle. La vita di questi bambini è nelle nostre mani. Ricordate: dove c’è una mamma maltrattata, c’è un figlio testimone”.   La violenza, insomma, prende di mira sempre i soggetti più fragili: i bambini e gli animali, per esempio. Saranno gli studi scientifici a provare se davvero esiste una correlazione tra abusi domestici e maltrattamenti agli amici a 4 zampe. Ciò, però, che è apparso chiaro ed evidente dal convegno è che i medici, siano essi dedicati agli uomini o agli animali, devono sempre più essere sentinelle sul territorio, saper intercettare i segnali, farsi venire un dubbio e approfondirlo, non fermarsi al sintomo, ma cercarne la causa.