Covid 19, per monitorare i malati a casa arrivano le unità speciali con i giovani Mmg.

(da Doctor33)   Si chiameranno “Usca” o unità speciali di continuità assistenziale. Sono “pattuglie” con medico, di medicina generale, e infermiere che vanno nelle case e monitorano i malati a domicilio per sgravare i medici di assistenza primaria in questa fase e prendere in carico la sorveglianza a carico dei servizi di igiene delle Asl. Stanno per diventare realtà.
Il decreto del 9 marzo scorso sul potenziamento del Ssn all’articolo 8 contro il coronavirus istituisce un’Usca ogni 50 mila abitanti che fa capo alla sede di continuità assistenziale e si dedica alla gestione domiciliare dei pazienti Covid-19 non ricoverati in ospedale. Dell’unità speciale, formata dagli stessi operatori medici della sede e attiva 7 giorni su 7 dalle 8 alle 20, possono far parte, oltre ai sostituti di continuità assistenziale, i medici che frequentano il corso di formazione specifica in medicina generale e in via residuale, i laureati in medicina e chirurgia abilitati. Per le attività svolte è riconosciuto un compenso lordo di 40 euro ad ora. Il medico di assistenza primaria o il pediatra di libera scelta comunicano all’unità nomi e indirizzi dei malati e i medici dotati di ricettario partono in “missione”.
Le Usca esistono già in via sperimentale nelle Marche e si stanno sperimentando in più province. A Fermo è già operativo un mezzo. Un coordinatore filtra le chiamate e gestisce l’appropriatezza dell’intervento a domicilio o a supporto degli ospedali territoriali. Sulla scorta delle prime indicazioni, è in arrivo un protocollo con l’Asur, l’Agenzia unica che ingloba le ex Asl: in una regione da 1,1 milioni di abitanti il fabbisogno “tecnico” totale sarebbe di 22 unità; a Pesaro Urbino, provincia falcidiata dai contagi stata raccolta l’adesione di dodici medici tra esperti e giovani, alcuni dei quali allievi del triennio. «Ho riscontrato una disponibilità eccezionale», dice Gino Genga responsabile dei medici di Continuità assistenziale della provincia. «Il protocollo regionale dovrebbe definire le modalità di assegnazione dei team ai pazienti monitorati, di assunzione degli operatori, di protezione e di sgravio dei servizi d’igiene dalla sorveglianza dei pazienti infettati o in quarantena perché contatti stretti. E in prospettiva per fare i tamponi a tutti i sintomatici. Noi abbiamo chiesto innanzi tutto adeguata dotazione di dispositivi di protezione, la tutela assicurativa dei colleghi e modalità formative rapide. La soluzione ci sembra da una parte ideale per ottimizzare l’uso di mascherine e dispositivi di protezione – meglio rifornire di DPI un’unità Covid che i circa 35 medici di famiglia che vi fanno capo – dall’altra parte più “sicura” (nella sperimentazione fermana ognuno dei due componenti dell’unità speciale sorveglia che l’altro indossi i dispositivi o li smetta nel modo migliore per evitare contagi, ndr); infine dovrà essere efficace nell’evitare il ricovero a pazienti che non hanno reale bisogno».
Un concetto ribadito da Massimo Galli, responsabile Uo Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, che in tv a “Che Tempo che fa” ha invocato sia le Usca sia l’uso della telemedicina in medicina generale.
Intanto, pure Emilia Romagna, Umbria e Province di Trento e Bolzano sono partite: nel bando trentino si può leggere che le ore svolte per i titolari di incarico Ca saranno considerate aggiuntive al normale orario, per i corsisti varranno come attività pratica ai fini del conseguimento del diploma. I sindacati medici però si domandano come siano coperti i colleghi in caso di infortunio o contagio. I leader di Cisl Medici, Fp Cgil Medici, Sumai, Simet, uniti sotto la bandiera di Intesa Sindacale, hanno formulato quattro richieste per chi entra nelle unità speciali: Dpi adeguati anche agli altri Mmg, adeguate coperture assicurative, integrazione delle Usca con specialisti ambulatoriali e diagnostica di primo livello e stabilizzazione finale di tutti i precari impiegati. Perplessità anche da Giovanni Senese responsabile Continuità assistenziale del Sindacato medici italiani, il quale si chiede se il fatto che la sede Usca sia la stessa postazione della Continuità assistenziale già presente sul territorio non contribuisca a creare un serbatoio con un potenziale pericoloso di super-diffusore di infezione da Covid-19. «Non sarebbe più giusto e più sicuro diversificare le sedi sul territorio in modo da non creare sovrapposizioni di percorsi?»