Precari e vecchi: l’identikit degli occupati nel Ssn

(da M.D.Digital)    Al 31 dicembre 2018, sono occupati nella sanità pubblica circa 650 mila dipendenti a tempo indeterminato, un quinto del personale stabilmente assunto nella pubblica amministrazione. A partire dal 2009 gli occupati a tempo indeterminato si sono progressivamente ridotti. Nel 2018, se ne contano circa 44 mila in meno (da 694 mila a 650 mila). La contrazione del personale stabile è stata del 5,4% tra i medici (inclusi odontoiatri e veterinari). Solo un quarto delle cessazioni è stato compensato dalla crescita del lavoro flessibile (+26%). L’età media dei dipendenti a tempo indeterminato del Servizio Sanitario Nazionale è pari a 52,3 anni per gli uomini e a 49,9 anni per le donne. I dirigenti – medici e non – sono quelli più anziani soprattutto tra gli uomini: il 60,4% dei dirigenti medici ha più di 55 anni e il 38% supera i 60. La retribuzione lorda annua media pro capite nel comparto della sanità risulta di quasi 83 mila euro per i medici, di 73 mila euro per i dirigenti non medici e di 31 mila euro per il personale non dirigente.

Il commento della FNOMCeO     “Il rapporto Istat sull’occupazione nella sanità pubblica, diffuso di recente, fotografa una situazione di precariato e di invecchiamento del personale del nostro Servizio sanitario nazionale, frutto di anni di politiche di tagli e di contenimento. Ora è il momento della svolta: sosteniamo le politiche di investimento sul capitale umano del nostro Ssn già avviate dal Ministro della Salute, Roberto Speranza, politiche che diventano di cruciale importanza per affrontare in serenità, e senza rischio di bruschi passi indietro, la Fase 2 dell’epidemia di Covid-19 nel nostro paese”. Così commenta il Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), Filippo Anelli, riferendosi al report pubblicato di recente dall’Istituto nazionale di statistica. “Al 31 dicembre 2018, risultano occupati nella sanità pubblica circa 692 mila dipendenti, di cui 650 mila a tempo indeterminato, ossia circa un quinto del personale stabilmente assunto nella pubblica amministrazione –  rileva l’Istat -. Dal 2009 si è registrata una progressiva riduzione degli occupati a tempo indeterminato per effetto delle politiche di contenimento della spesa per il personale nel settore pubblico e, soprattutto, dell’applicazione in alcune regioni dei piani di rientro. Tale riduzione è stata solo parzialmente compensata dall’innalzamento dei requisiti per l’accesso alla pensione – che, trattenendo i lavoratori più anziani, ha velocizzato il processo di invecchiamento del personale – e dalla crescita del ricorso al lavoro flessibile (a tempo determinato e in somministrazione)”. I medici e i sanitari che hanno un posto stabile sono sempre più anziani, dunque, mentre i giovani devono accontentarsi di lavori precari. Nessuna sorpresa per la FNOMCeO, che già da tempo denuncia la situazione. “La fotografia dell’Istat è stata scattata al 31 dicembre del 2018 – spiega Anelli -. Proprio a ridosso di quella data, come FNOMCeO avevamo presentato al Governo dell’epoca una cambiale da un miliardo di euro, pari alla mancanza di investimenti dovuti al blocco del turnover. Ora è il momento di riscuotere quella cambiale. Poco prima, avevamo messo in campo una campagna di comunicazione per denunciare l’invecchiamento dei nostri medici, che vedeva su manifesti spiccare figure di centenari in camice bianco”.

“Adesso è il tempo giusto per cambiare – continua -. L’epidemia di Covid-19 ha messo impietosamente allo scoperto i limiti del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Ma, allo stesso modo, ne ha messo in risalto le risorse. E, tra queste, la più importante sono i nostri medici, i nostri infermieri, i nostri professionisti, che non hanno esitato un momento a fare tutto il possibile, in condizioni non facili e  sino all’estremo sacrificio, per fronteggiare il virus”. Che fare dunque? È una vera e propria “chiamata all’azione quella che Anelli vuole lanciare. “Dobbiamo lavorare tutti insieme, i medici, i professionisti, le istituzioni, il Governo, gli stakeholder, a un grande progetto di rilancio del nostro Servizio sanitario nazionale – esorta -. Occorrono assunzioni negli ospedali, certo, per coprire le aumentate esigenze di questo periodo, il maggior numero di posti letto e nelle terapie intensive. Ma occorre anche, e in questa fase forse soprattutto, potenziare l’assistenza sul territorio, anche per sollevare gli ospedali dall’assistenza ai malati Covid, perché possano tornare a dedicarsi a pieno regime alle acuzie dovute ad altre patologie”.

“Medici di medicina generale, infermieri vanno coinvolti a pieno titolo non solo nelle Usca, le unità speciali di continuità assistenziale per il Covid – illustra -. È necessario creare in pianta stabile delle mini equipe sul territorio, che possano gestire in maniera continua e completa non solo il decorso della malattia da Coronavirus ma le patologie croniche, che sono la vera criticità, oggi, dei nostri servizi sanitari. Occorre dunque arruolare medici, infermieri e accanto a loro, personale di segreteria, per un lavoro sinergico che prenda in carico con piena efficacia ed efficienza gli assistiti”. “È importante – conclude – soprattutto, investire sui giovani, che del nostro Servizio Sanitario Nazionale costituiscono il futuro. Lanciamo un appello al Ministro Roberto Speranza e al Ministro dell’Università Gaetano Manfredi perché aumentino ulteriormente le borse, sia per le scuole di specializzazione, sia per la Medicina Generale. Cinquemila borse in più possono, con un ottimale rapporto tra investimenti e benefici attesi, garantire al nostro Servizio sanitario nazionale un’efficienza e una modernità  lo mantengano tra i migliori del mondo”.