Sinistri da Covid e responsabilità medica, scudo legale non serve. Il punto sulle tutele

(da Doctor33)   È arrivato prima il Coronavirus dei decreti attuativi della legge Gelli. Significa che medici ed infermieri non hanno ancora una tutela assicurativa adeguata. Ma potrebbe montare la marea di ricorsi. Ad esempio, dalle famiglie che hanno perso un caro in una residenza sanitaria assistenziale, per un contagio fatto risalire non all’alea dell’emergenza ma a presunti, precisi errori. E allora che si fa? Un convegno online con insigni giuristi e risk manager dell’Università Cattolica di Roma e del Tribunale di Roma, della Cassazione, del Consiglio nazionale Forense, oltre a medici del Policlinico Gemelli, evoca precisi scenari in tema di responsabilità sia quando il medico è subordinato sia quando fosse datore di lavoro. In particolare, per il sanitario dipendente di struttura che ha avuto a che fare con il Covid-19 difficilmente si potrebbero verificare situazioni molto sfavorevoli, e non si giustificherebbe giuridicamente l’esigenza di uno scudo legale “per legge” com’è stato proposto da importanti emendamenti al decreto Cura-Italia, poi ritirati.
Medico dipendente – Ai tempi del Covid, come si evince dalla relazione di Giulio Ponzanelli professore di diritto privato alla Cattolica, sono cinque le situazioni in cui un professionista sanitario potrebbe rischiare in linea teorica una citazione in tribunale per fatti avvenuti in questi mesi in relazione all’emergenza Covid. La prima è la “colpa commessa da sanitari”: l’articolo 590 sexies del codice penale come formulato nella legge Gelli (24/2017) in teoria “salva” dalla perseguibilità solo chi – imperito, come possono esserlo tutti di fronte a un’ondata di pazienti infettivi e gravemente malati – ha seguito le linee guida. Ma la recente sentenza “Mariotti” della Cassazione (tema sottolineato anche da Andrea Montagni, giudice della Suprema Corte) supera le semplici parole della legge richiamandosi, per l’interpretazione della norma penale, al Codice Civile: per l’articolo 2236 esistono situazioni di emergenza tali da giustificare una valutazione del giudice secondo cui è perseguibile la sola colpa grave. E di fronte a una malattia diffusiva senza cura è obiettivamente difficile elevare il grado della colpa. Anche la responsabilità della struttura per carenza organizzativa – pochi letti di terapia intensiva, ad esempio – soggiace di fronte all’impossibilità di prevedere un’epidemia così tremenda. Molto più concreta la responsabilità che invece il personale sanitario o esposto potrebbe imputare alla struttura per essersi contagiato. Infine, ci sarà l’ondata dei danni potenzialmente pretesi da pazienti no-covid che non hanno potuto fare screening, diagnosi, interventi o completare terapie o follow-up, e quello è un capitolo purtroppo tutto da scoprire.
Medico datore di lavoro – Importantissima la disamina di Marco Marazza ordinario di Diritto del lavoro per quanto riguarda le responsabilità datoriali. Il legislatore ha qualificato il contagio Covid-19 dell’operatore sanitario e del medico come infortunio sul lavoro e lo ha esteso ai dipendenti delle strutture pubbliche; l’intervento dell’Inail viene attivato dalla semplice presunzione innescata dall’elevatissimo rischio di contagiarsi corso abitualmente dall’operatore. «C’è il rischio per il datore di lavoro di una possibile azione di regresso Inail ove non si fosse adempiuto al profilo di sicurezza. Le direttive Ue peraltro prevedono che gli stati membri possano legiferare escludendo le responsabilità dei datori di lavoro di fronte ad eventi eccezionali. Il codice civile (articolo 2087) afferma che il datore dovrà giusto provare di aver adottato tutte le misure possibili secondo “esperienza e tecnica” ed acquisizioni della scienza». Queste misure – è il ragionamento di Marazza – sono codificate, stanno nei protocolli ministeriali. Come quelli ad esempio adottati dagli Odontoiatri in un tavolo ad hoc Ordine-Sindacati-Ateneo che stanno per essere approvati dal Ministero della Salute. Si tratta, tra l’altro, di norme riconducibili alle stesse autorità che hanno definito e deliberato lo stato di emergenza, vanno calibrate al caso concreto (ad esempio, non saranno tollerati documenti di valutazione del rischio specifico in studio carenti od omissivi) ma al di là di ciò, il fattore-imprevedibilità vissuto in questi mesi supererebbe il “peso” della colpa del sanitario.