Non voglio vaccinarmi: come condurre il colloquio col paziente che rifiuta il vaccino
(da Univadis) Nel mese di dicembre scorso, uno studio condotto dall’Engage Minds HUB dell’Università di Cremona rilevava che il 41% degli italiani aveva dubbi riguardo all’opportunità di farsi vaccinare contro Covid-19. I più esitanti nei confronti del vaccino erano le donne e i giovani, mentre i più intenzionati a vaccinarsi restavano gli over60. Se l’indagine fosse replicata oggi, probabilmente i dati sarebbero ancora più allarmanti e anche gli anziani mostrerebbero percentuali a due cifre di rifiuti della vaccinazione, in particolare dopo che le vicende riguardanti i vaccini Astra Zeneca e Johnson&Johnson, tra blocchi, ritiri e reimmissione nei circuiti vaccinali con indicazioni non sempre chiare e univoche, hanno minato ulteriormente la fiducia dei cittadini nella loro sicurezza. “Gestire l’esitanza vaccinale seguendo le norme di precauzione che giustamente gli enti regolatori applicano quando ci sono segnalazioni di effetti collaterali può essere sfidante” spiega Robb Butler, esperto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Esiste una relazione diretta tra la fiducia nelle istituzioni e la percentuale di popolazione che accetta di farsi vaccinare: se i cittadini hanno l’impressione che chi si occupa delle campagne di immunizzazione risponde a logiche poco trasparenti o incoerenti, è difficile poi convincerli della bontà dell’atto medico in sé”. Lo dimostra uno studio pubblicato su ‘Lancet’ e che riguarda la crescita dell’esitanza vaccinale, secondo il quale il fenomeno, negli Stati Uniti al mese di giugno scorso, era pari al 20% (meno del 27% della Francia e più del 5% dell’Australia) per poi salire al 49% secondo un sondaggio del mese di settembre scorso. A far crescere coloro che sono restii avrebbe contribuito soprattutto la discussione intorno alla diversa efficacia dei vaccini approvati, le difficoltà di produzione e di distribuzione e, soprattutto, le mosse incerte della politica.
Poca attenzione alla comunicazione
Mentre tutte le istituzioni sono preoccupate per la gestione degli effetti collaterali dei vaccini e per l’organizzazione della sua distribuzione, sembrano esserlo molto meno per quel che riguarda la mitigazione dell’esitanza vaccinale, che è invece l’altra faccia della medaglia di una campagna ben riuscita. Per raggiungere un livello di protezione tale da consentire riaperture costanti degli esercizi commerciali, delle scuole e dei luoghi di socialità è necessario che sia vaccinata almeno metà della popolazione, con tassi di oltre il 70% tra le categorie a rischio. Un paziente anziano che rifiuta il vaccino, quindi, mette in pericolo se stesso, prima di tutto, ma anche la tenuta dell’intero sistema. “Purtroppo il tema dei vaccini è diventato poco scientifico e molto politico” spiega Gabriella Bottini, docente di neuropsicologia cognitiva all’Università di Pavia che studia i processi decisionali in medicina. “In alcuni casi anche personaggi molto noti sono entrati nell’arena del dibattito pubblico con buone intenzioni, ma di fatto acuendo il problema. Questo è un effetto della convinzione errata che gli esseri umani siano decisori razionali e che basti spiegare i numeri e la scienza dietro i vaccini per convincere le persone. Purtroppo non è così: non siamo decisori razionali e, come hanno dimostrato molto bene gli studiosi di psicologia dell’economia, la nostra valutazione del rischio e di guadagni e perdite potenziali legati a una scelta non si basa su elementi fattuali ma su valori, emozioni e fiducia”. Infatti la fiducia nei vaccini cala laddove c’è instabilità politica oppure estremismo religioso e può anche essere selettiva, come vediamo bene in questi giorni. “La maggior parte di quelli che rifiutano i vaccini contro Covid-19 non sono antivaccinisti convinti” spiega ancora Bottini. “Sono persone che hanno paura o che sono sfiduciate”.
Informazione efficace da persone conosciute
Per contrastare l’esitanza vaccinale, fornire numeri e dati in modo trasparente e chiaro è comunque un primo passo, che spetterebbe innanzitutto alle istituzioni. L’informazione più efficace, però, è quella che viene dal proprio medico, o da un medico nel quale si ha fiducia. Ecco perché è essenziale che i medici (e in particolare quelli di famiglia) sappiano come parlare ai pazienti indecisi. L’American Medical Association, per esempio, ha fornito 10 consigli pratici per la gestione del colloquio con il paziente esitante.
1. Capire i timori del proprio paziente
La prima parte del colloquio deve essere dedicata alla comprensione dei timori che spingono il paziente a rifiutare la vaccinazione. Non è necessario rispondere in modo puntuale a ciascuna obiezione: lo scopo è soprattutto quello di raccogliere il vissuto del paziente, magari prendendo nota di punti specifici ai quali si darà risposta in una fase successiva del colloquio. Il medico può rispondere su aspetti tecnici ma anche su aspetti regolatori (ruolo delle istituzioni sanitarie) e di sanità pubblica2
2. Chiedere al paziente perché rifiuta il vaccino
Se il paziente si limita a dire che non vuole vaccinarsi, è importante che il medico chieda perché in un modo che non sia giudicante: “Posso chiederle perché? Che tipo di informazioni sono circolate tra le sue conoscenze che le hanno fatto prendere questa decisione?”
3. Fare controinformazione
Solo dopo aver ascoltato il paziente, il medico deve spiegare quali sono le convinzioni non scientifiche. È essenziale anche in questo caso non usare tino paternalistici od offensivi, non sottolineare eventuali carenze nelle conoscenze mediche e biologiche ma fornire informazioni chiare, puntuali e, soprattutto, non edulcorate. Frasi come “i vaccini sono sempre sicuri” non vanno mai pronunciate perché è ovvio che non è così. È importante spiegare perché accettiamo un rischio più piccolo in cambio di un beneficio più grande.
4. Essere consapevoli del proprio ruolo
Tutte le indagini sulla fiducia nella scienza vedono i medici curanti al primo posto tra le fonti affidabili. Questa consapevolezza può aiutare a condurre a buon fine il colloquio.
5. Spiegare al paziente perché ha bisogno di essere vaccinato
Mettere in luce i benefici individuali sulla base dell’anamensi. Evidenziare eventuali fattori di rischio che possono rendere il paziente suscettibile alle forme più gravi di Covid-19. Sottolineare il fatto che anche le forme lievi di malattia possono lasciare strascichi di cui non sono ancora noti tutti i contorni.
6. Personalizzare il messaggio
Per raggiungere le persone, indipendentemente dalla loro visione politica – se credono che il vaccino sia una scelta personale o una responsabilità collettiva – è utile focalizzare la discussione su come vaccinarsi possa aiutare a proteggere una persona cara come un nonno, un bambino o qualcuno che è immunocompromesso.
7. Affrontare le paure dei pazienti sugli effetti collaterali
È utile iniziare la conversazione chiedendo al paziente come si è sentito dopo l’ultima vaccinazione, per esempio un vaccino antinfluenzale, se hanno avuto effetti collaterali o altre reazioni. In seguito si può spostare spostare la conversazione sul vaccino COVID-19, per spiegare loro che gli effetti collaterali più comuni sono simili a quelli del vaccino antinfluenzale, ma che in alcuni casi possono essere più intensi. Spiegare che febbre, brividi e spossatezza sono effetti comuni e che, se possibile, è bene non restare soli in casa la notte dopo la vaccinazione. Suggerire eventuali farmaci sintomatici come il paracetamolo, spiegando quando e come assumerlo. Preparare i pazienti alla possibile comparsa di dolori muscolari, ribadendo che questi non sono effetto della malattia ma della reazione del sistema immunitario. Affrontare il capitolo degli effetti collaterali gravi, facendosi trovare preparati sui numeri e sulle categorie a maggior rischio.
8. Segnalare gli effetti collaterali
Spiegare ai pazienti come funziona la farmacovigilanza e, se è il caso, mostrare loro come possono eventualmente inviare le proprie segnalazioni. Sapere che le segnalazioni sono aperte anche ai comuni cittadini rassicura sulla trasparenza del processo. Non tutti i pazienti si faranno convincere. Non è necessario insistere, né adirarsi. Talvolta questi colloqui hanno bisogno di tempo perché le informazioni si sedimentino e portino a una decisione.