Ma quale medicina di prossimità, nel Pnrr si afferma la medicina di distanza
(da M.D. Digital) Giuseppe Belleri, medico di medicina generale a Flero (BS) sul suo blog (mhttp://curprim.blogspot.com) ha riservato un commento molto critico sul nuovo assetto dell’assistenza territoriale, declinato dal Piano di Ripresa e Resilienza. “Il 30% della popolazione – sottolinea – risiede in comuni con meno di 10mila abitanti e il 90% dei quasi 8mila comuni ne conta meno di 15mila; in un variegato contesto geografico come quello italiano il Pnrr prevede i seguenti standard, che condizioneranno i passi normativi successivi e l’utilizzo dei fondi UE:
* 2 miliardi per la realizzazione di 1.288 Case della Comunità (1 ogni 45mila abitanti) come punto unico di accesso (PUA) ai servizi da realizzare entro la metà del 2026
* 4 miliardi per 602 Centrali Operative Territoriali (COT: 1 ogni 100mila abitanti) dedicate alla gestione ADI,
* 1 miliardo per 380 Ospedali di Comunità (1 ogni 160mila abitanti, con 20-40 posti letto) sempre entro il 2026.
Con questo programma si passa dalla medicina di prossimità alla medicina di distanza: le case della comunità ogni 45mila abitanti taglieranno fuori le zone disagiate e i piccoli comuni con popolazione sparsa in frazioni che già ora sono abbandonate e penalizzate, dove peraltro è presente in modo capillare la Medicina Generale”.
“Medicina di prossimità – spiega – significa rapporto stretto con il proprio territorio mentre con lo standard previsto per le case della comunità – dove si dovrebbero concentrare decine di Mmg in un’unica struttura, ammesso che accettino di lasciare i propri studi sparsi sul territorio – non si capisce quale possa essere l’area di riferimento nelle zone extra-urbane a bassa densità di popola-zione. Eppure una soluzione razionale e flessibile era a portata di mano: bastava applicare alla rete territoriale il modello di quella ospedaliera a distribuzione Hub&Spoke, attuato in varie regioni come il Veneto e soprattutto l’Emilia, che prevede tre tipologie di Case della Salute in relazione alla varietà dei contesti geografici e demografici. Infine mancano rifeimenti all’integrazione con le norme già esistenti sulle case della salute, con le forme associative dell’Acn o quelle della riforma Balduzzi, peraltro largamente inattuata in molte regioni. Una versione del Pnrr rigida, poco flessibile e adattabile alla varietà dei contesti locali, che peggiora quella anticipata a gennaio, che perlomeno prevedeva uno standard più appropriato, ovvero una casa della comunità ogni 25mila abitanti. Per non parlare della previsione di un ADI ipertecnologico, come se fosse la soluzione per la cura delle persone con polipatologie e non auto-sufficienza, che hanno soprattutto bisogno di assistenza ad personam per l’accudimento quotidiano, ovvero di badanti e di controlli periodici di parametri clinici, aderenza terapeutica, educazione e medicazioni/prelievi etc.. e non certo di una telemedicina difficile da utilizzare. Con le risorse del Pnrr si potranno realizzare le strutture, ma poi con quali finanziamenti si gestiranno e soprattutto verranno retribuiti tutti gli operatori sanitari che dovranno ‘riempire”‘ le case e gli ospedali di comunità per garantire tutti i servizi socio-sanitari?
“Nel testo – conclude – non vi sono accenni all’ipotesi di passaggio alla dipendenza degli attuali medici convenzionati e mancano obiettivi di salute, definizione di competenze e soprattutto indicatori di efficacia/processo/esito, che dovrebbero essere i parametri di valutazione di una riforma che bada ai risultati, a prescindere dalla tipologia del rapporto/contratto di lavoro degli operatori sanitari”.