Covid-19, quanto sono affidabili i tamponi rapidi per la rilevazione del virus?
(da Doctor33) In 1 caso su 2 danno come risultato un falso negativo. Sono i tamponi antigenici rapidi, al centro dell’attenzione per la scarsa affidabilità del risultato. Indicati come «il tallone d’Achille» da Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza, i test antigenici rapidi sono da tempo additati come un anello debole nella catena delle contromisure per arginare la circolazione del virus SarsCoV2. Non riescono infatti a vedere il virus se non quando è presente in quantità massicce.
«Bloccate i tamponi rapidi per non chiudere l’Italia». È l’appello di Claudio Giorlandino direttore scientifico del Centro ricerche Altamedica di Roma, dove è stato condotto uno studio su 332 pazienti, pubblicato sulla rivista “Future virology”, dal quale emerge che il test antigenico rapido per la rilevazione del Covid-19 sbaglia quasi una volta su due, fornendo un alto tasso di falsi negativi. Questo studio ha messo a confronto i risultati del test rapido immunocromatografico dell’antigene del virus con quelli del tampone molecolare Rt-qPcr, a oggi considerato il gold standard per la rilevazione dell’infezione. I test sono stati eseguiti nello stesso laboratorio e dagli stessi operatori. Dei 332 casi selezionati per il confronto, 249 campioni erano risultati positivi al tampone molecolare e 83 negativi. Tra i 249 campioni positivi, solo 151 erano stati rilevati dal test rapido antigene, con una sensibilità complessiva del 61%. In tutti gli altri 98 casi il test antigienico rapido immunocromatografico era risultato negativo. «La letteratura internazionale già da tempo mette in luce i limiti dei test qualitativi immunocromatografici rapidi. La novità di questo studio – spiega Giorlandino – sta nella assoluta correttezza metodologica che, per primo, ha svelato che i limiti già conosciuti sono in realtà estremamente maggiori. L’enorme numero di falsi negativi che questi test, eseguiti in farmacia o in piccoli studi o laboratori, produce è pericolosissimo perché – sottolinea l’esperto – determina nei soggetti negativi un falso senso di sicurezza che induce ad allentare il rispetto delle misure di prevenzione quali il mantenimento della distanza e il rigido utilizzo di mascherine». «Invece purtroppo quasi una persona su due che risulta negativa – ammonisce – è ancora infettiva, con l’effetto controproducente della diffusione del contagio. La scarsa sensibilità dei semplici test rapidi ne consente semmai l’utilizzo solo come test in prima linea per la diagnosi di Covid-19, limitatamente al primo controllo di massa in condizioni particolari, per intercettare immediatamente almeno una parte di altamente positivi dove non è possibile attendere le 12 o 24 ore di un test molecolare che necessita di essere trasportato ed eseguito in laboratorio specializzato. Il suo uso – insiste il medico – dovrebbe essere limitato nei porti ed aeroporti ma, tutti i soggetti negativi, debbono comunque essere avvertiti di osservare strettamente le precauzioni per evitare di trasmettere il contagio perché non è certo che non siano portatori», aggiunge.
Si aggiunge all’appello anche il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. «Sono test con una sensibilità estremamente bassa, tanto che i casi positivi sono attualmente rilevati dallo 0,2% dei test rapidi e dal 6% dei molecolari. Inoltre, abbiamo oltre il 50% di falsi negativi», sostiene. Uno dei motivi per cui ci sono tanti falsi negativi è che «quando un soggetto si infetta, l’infezione si palesa al test dopo 48 ore, mentre sappiamo che l’infezione deve prendere piede e che il virus ha bisogno di tempo per replicarsi. Per questo – dice l’esperto – non è il caso di fare il test subito dopo avere avuto un contatto». Quando, a distanza di 48 ore dal contagio, «il virus inizia a replicarsi, dopo 48 ore diventa visibile al test molecolare, che è in grado di scattare una fotografia molto dettagliata; a confronto il test rapido fornisce un’immagine sgranata. Riesce infatti a vedere il virus solo se la carica virale è di almeno 1 milione di copie per millilitro di fluido biologico prelevato con il tampone».
Questa, aggiunge, è «una grande criticità. L’altra, secondo Broccolo, è nel fatto che «con le attuali regole per il Green pass, chi è vaccinato non viene distinto da chi ha fatto il test rapido ed entrambe le categorie si espongono agli stessi eventi, dimenticando che chi non è vaccinato ha quindi rischio maggiore di ammalarsi». Un’altra criticità è nei tempi di validità del Green pass: «nel mondo ideale, il test rapido andrebbe fatto tutti i giorni perché, se mi infetto oggi, per 48 ore non si potrà vedere l’infezione con nessun test». «Anche le 72 ore di validità del test molecolare sono teoriche perché, seppur questo sia ultrasensibile, non si esime dall’eventualità che l’infezione venga contratta dopo poche ore dal test»