Strumenti diagnostici e terapeutici: li stiamo usando in modo appropriato?
(da Univadis) C’è un grande divario tra le cure che le persone dovrebbero ricevere e quelle che ricevono realmente. Lapidaria e sotto molti aspetti anche preoccupante la conclusione riportata sulle pagine del Canadian Medical Association Journal (CMAJ) a commento dei risultati di una metanalisi di 174 studi che valutavano l’utilizzo appropriato di diverse pratiche diagnostiche e terapeutiche in Canada. “In un contesto nel quale i sistemi sanitari devono fare i conti con la sostenibilità, molte delle cure che i pazienti ricevono sono inappropriate” esordiscono gli autori, guidati da Janet E. Squires della University of Ottawa, in Ontario (Canada). “Parliamo di cura inappropriata quando pratiche cliniche efficaci sono sotto-utilizzate, pratiche non efficaci sono sovra-utilizzate o quando, più in generale, le pratiche cliniche sono usate in modo scorretto” precisano gli autori che nella loro analisi hanno valutato l’utilizzo di ben 228 di tali pratiche su un totale di 28,9 milioni di persone. Come spiegano Squires e colleghi, conoscere gli “errori” che ancora oggi si compiono nell’utilizzo di test diagnostici, trattamenti e altre procedure mediche è fondamentale per migliorare l’approccio alla salute sotto diversi punti di vista. Un utilizzo inappropriato delle pratiche cliniche si traduce infatti in esperienze negative vissute dai pazienti, scarsi esiti di salute e un utilizzo poco efficiente delle già scarse risorse di cui i sistemi sanitari dispongono. Ecco allora una breve panoramica di quanto emerso dalla metanalisi canadese e degli strumenti oggi disponibili per poter scegliere in modo più accurato. Una fotografia d’insieme dalla quale anche i medici italiani possono cogliere spunti di riflessione da portare nella loro routine quotidiana di confronto con i pazienti. “In Italia il Decreto Lorenzin pubblicato in Gazzetta Ufficiale ne l gennaio 2016 elenca le ‘Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio sanitario nazionale’ e supporta almeno in parte i medici nella loro ricerca dell’appropriatezza prescrittiva” spiega Marta Ponciroli, medico di medicina generale presso la ATS Milano Città metropolitana, Distretto Ovest Milanese, che ci ha aiutato a leggere i dati canadesi alla luce dello scenario italiano. “Non dimentichiamo che in Italia il Sistema Sanitario Nazionale è in realtà composto da diverse realtà regionali che differiscono tra di loro sotto molti aspetti” aggiunge, sottolineando che la sua esperienza si riferisce in particolare all’area geografica nella quale opera e potrebbe non essere generalizzabile ad altre realtà locali.
A chi troppo, a chi troppo poco In base ai dati della metanalisi condotta da Squires e colleghi, la percentuale mediana di cure inappropriate in Canada si attesta al 30%. Quasi un caso su tre. Un numero in linea con quello emerso da altre valutazioni simili svolte in altri paesi e che, a onor del vero, presenta valori molto variabili a seconda della pratica clinica/terapia presa in considerazione: ad esempio le percentuali di cure inappropriate variano dal 51% al 97% nel Regno Unito e dal 10% all’87% in Australia. Entrando più in dettaglio, la metanalisi ha mostrato che nella pratica clinica canadese il sotto-utilizzo delle cure (43,9%) è più comune del sovra-utilizzo (13,6%), ancora una volta con grandi differenze a seconda della pratica analizzata. E questa differenza è presente sia per quanto riguarda la diagnosi che il trattamento, le due grandi aree sulle quali si sono concentrati i ricercatori canadesi. Tra gli esami diagnostici sotto-utilizzati più studiati emergono il test ematico per l’emoglobina glicata (sotto-utilizzo 18%-85,7%), quello per i lipidi (3,2%-47,0%) e la valutazione oculistica nel diabete (22,9%-80,5%). Tra i test diagnostici sovra-utilizzati spiccano invece il test per i livelli di ormone tiroido-stimolante (3,0%-35,1%), la radiografia del torace (2,4%-34,0%), il Pap Test (8,0%-15,7%). Se ci si sposta invece nell’ambito terapeutico, le statine occupano i primi posti nella classifica delle cure più studiate e sotto-utilizzate (3,3%-98,8%), mentre gli antibiotici sono tra le terapie più studiate e sovra-utilizzate (11,8%-76,0%), assieme ad antipsicotici (5,6%-76,5%) e oppioidi (0,1%-23,9%). In sintesi i dati mostrano che la strada verso l’appropriatezza terapeutica è ancora molto lunga, anche se alcuni passi in avanti sono stati compiuti: dalla metanalisi emerge infatti che l’uso inappropriato delle cure si è ridotto negli anni più recenti, passando dal 32,6% del periodo 2009-2027 al 25,9% del 2018-2020. “Merito soprattutto di un uso più appropriato delle cure in ambito terapeutico” spiegano gli autori, ricordando che l’inappropriatezza in questo settore è scesa di ben 17,7 punti percentuali tra i due periodi presi in esame
Verso scelte “di valore” Quali sono le azioni da intraprendere per migliorare l’utilizzo degli strumenti di cui i medici dispongono e ridurne di conseguenza l’uso inappropriato? La prima strategia alla quale verrebbe da pensare è quella di basarsi sempre sulle più aggiornate linee guida pubblicate dalle diverse società scientifiche. “A tutti gli effetti sul portale internet della ATS presso la quale opero sono disponibili linee guida aggiornate e percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) che possiamo consultare” dice Ponciroli. Senza dubbio però contano anche la formazione e l’atteggiamento dei medici che giocano un ruolo di primo piano nell’evitare l’utilizzo di cure “di basso valore”, ovvero tutte quelle procedure che non portano a un beneficio netto quando si confrontano i benefici e i rischi, inclusi i possibili problemi di tipo economico. Quello delle cure di basso valore è a tutti gli effetti un tema di rilievo nella comunità medico-scientifica, come dimostra per esempio un recente statement della American Heart Association Scientific, pubblicato su Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes che affronta il problema in ambito cardiovascolare, fornendo anche consigli su come migliorare la qualità e l’efficienza delle cure. Inoltre la qualità delle cure è un puzzle formato da tanti differenti tasselli, tra i quali sicurezza, efficacia, tempismo, efficienza, uguaglianza e centralità del paziente. “I medici si concentrano soprattutto sull’efficacia, che dal punto di vista operativo potrebbe essere definita come la percentuale di pazienti che riceve le cure raccomandate dalle linee guida. Ma solo il 50% dei pazienti riceve tali cure” spiega Kaveh G. Shojania, del Sunnybrook Health Sciences Centre e della University of Toronto (Canada) in un editoriale di commento alla metanalisi di Squires e colleghi. Secondo Shojana però, le linee guida da sole non sono la soluzione: “Anche cure raccomandate e legate ad ampi benefici per la salute come gli screening oncologici possono avere un basso impatto se poi non è possibile trattare i tumori diagnosticati in modo tempestivo a causa per esempio di mancanza di posti letto o di personale medico” spiega. Per raggiungere una elevata qualità delle cure servono, secondo l’esperto anche una maggiore attenzione ai tanti e diversi determinanti sociali della salute e una trasformazione della sanità verso sistemi più resilienti.
Choosing wisely, anche in Italia “Fare di più non significa fare meglio”. È il motto del progetto Choosing Wisely Italia (https://choosingwiselyitaly.org/) che, sull’esempio di quello USA, “ha l’obiettivo di favorire il dialogo dei medici e degli altri professionisti della salute con i pazienti e i cittadini su esami diagnostici, trattamenti e procedure a rischio di inappropriatezza in Italia, per giungere a scelte informate e condivise”. Il progetto Choosing Wisely nasce nel 2012 in USA, lanciato da ABIM Foundation e si è allargato nel corso degli anni fino ad essere presente oggi in 25 nazioni, coordinate a livello organizzativo dal Canada. In Italia, il progetto Choosing Wisely è promosso da Slow Medicine e mette a disposizione sul proprio sito internet (e anche attraverso una app) alcune raccomandazioni da Società Scientifiche e Associazioni Professionali italiane che possono aiutare i professionisti sanitari a dialogare con i propri pazienti in particolare quando si tratta di procedure a rischio di utilizzo inappropriato. A conferma del loro valore, tutte le raccomandazioni Choosing Wisely Italy sono parte delle Buone Pratiche clinico-assistenziali nel Sistema Nazionale – Linee Guida-SNLG dell’Istituto Superiore di Sanità e vengono periodicamente aggiornate.