L’Europa affronta l’epidemia di solitudine
(da Univadis – riproduzione parziale) La solitudine non è più solo un problema personale: è un’epidemia silenziosa. Il Vivek H. Murthy, US General Surgeon degli Stati Uniti (una carica che ha il compito di dare consigli medici alla popolazione in materia di salute e prevenzione) l’ha paragonata al fumo, sostenendo che è dannosa quanto 15 sigarette al giorno. Il tributo pagato alla salute è impressionante e va dai rischi cardiovascolari ai problemi di salute mentale. È ora di affrontare la brutale verità: la solitudine non fa solo male all’animo ma minaccia il nostro stesso benessere. Negli anziani, la solitudine è collegata a un rischio maggiore del 50% di sviluppare demenza, un rischio maggiore del 30% di malattia coronarica o ictus e un rischio maggiore del 26% di mortalità per tutte le cause. È anche associata a un rischio maggiore di malattie cardiache nelle persone con diabete. Infatti, la solitudine è un fattore predittivo di malattie cardiovascolari nelle persone con diabete persino più forte della dieta, dell’esercizio fisico, del fumo o della depressione. Riconoscendo la solitudine come una priorità per la salute pubblica globale, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha lanciato una Commissione sulla Connessione Sociale, che mira a fornire prove chiare ai responsabili politici e agli operatori del settore sui modi migliori per migliorare l’interazione sociale.
Valutazione della solitudine in Europa
Quanto è grande il problema? Secondo la prima indagine sulla solitudine in tutta l’Unione Europea (UE), EU-LS 2022, condotta dal Joint Research Center (JRC), circa il 13% dei 20.000 intervistati ha riferito di essersi sentito solo per la maggior parte o per tutto il tempo nelle 4 settimane precedenti l’indagine. I cittadini di Irlanda, Lussemburgo, Bulgaria e Grecia si sono sentiti più soli, mentre Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Croazia e Austria hanno registrato i livelli più bassi di solitudine. Inoltre, la solitudine non colpisce solo gli anziani. “Alcuni studi mostrano una relazione a U, con alti livelli di solitudine sia tra i giovani sia tra gli anziani, mentre altri indicano una continua diminuzione della solitudine con l’età”, ha spiegato Elizabeth Casabianca, analista socioeconomica del JRC, a Medscape Medical News. “Gli interventi sulla solitudine sono spesso rivolti agli adulti più anziani. Tuttavia, sono necessari anche interventi per i giovani. Gruppi di età diverse vivono la solitudine in modo diverso, quindi è importante considerare attentamente le esigenze del gruppo target e adattare gli interventi di conseguenza”.
Legami con l’uso dei social media
La solitudine è stata anche collegata a un maggiore uso dei social network, indicando che queste piattaforme potrebbero sostituire i legami offline con quelli online. Courtney Queen, professore associato presso il Dipartimento di Salute Pubblica della Texas Tech University, Lubbock, Texas, e visiting professor presso la Stradiņš University di Riga, in Lettonia, ha dichiarato a Medscape Medical News: “Mentre molti studi suggeriscono un’associazione tra l’uso dei social media e la solitudine, abbiamo bisogno di saperne di più su altre domande fondamentali, come: l’aumento dell’uso dei social media comporta sempre un aumento della solitudine? Sicuramente no. Chiunque si impegni nell’uso dei social media si sente automaticamente più solo? Sicuramente no. E questa solitudine dura per sempre? Anche questo è poco probabile”. “A volte è difficile individuare queste associazioni, poiché è più probabile che le persone sole si dedichino ai social media rispetto a quelle che si sentono già socialmente connesse” ha osservato Queen, che ha studiato a fondo l’uso della tecnologia tra gli europei come mediatore della solitudine.
Gli operatori sanitari possono fare la loro parte
Gli operatori sanitari svolgono un ruolo essenziale nell’identificare la solitudine e nel minimizzare il suo impatto sulla salute mentale e fisica. “Il primo passo per gli operatori sanitari è quello di effettuare uno screening della solitudine e delle sue cause, in modo da poter fornire un’assistenza personalizzata, un supporto emotivo e l’accesso alle risorse della comunità”, ha dichiarato il geriatra Michael Cantor, geriatra con base negli Stati Uniti, in un’intervista a Medscape Medical News. Secondo Cantor, “la pratica migliore è quella di utilizzare un approccio proattivo, integrando le valutazioni della salute mentale nei controlli di routine, collegandosi con i programmi di coinvolgimento comunitario, accogliendo i progressi tecnologici e formando gli operatori a riconoscere e affrontare la solitudine. Queste iniziative assicurano che gli operatori sanitari non si limitino a trattare le condizioni mediche, ma contribuiscano attivamente al benessere generale delle persone anziane”.
Un invito all’azione coordinata
Il percorso dall’isolamento all’inclusione dovrebbe prevedere non solo il riconoscimento del problema, ma anche l’attuazione di politiche e interventi mirati. A livello locale, i programmi comunitari possono essere molto efficaci. Offrono un’ampia gamma di attività e risorse che rispondono a esigenze diverse e creano un ambiente che favorisce la connessione sociale.