Specializzandi tappabuchi in corsia, dalla Cassazione riflessioni sui rischi per i giovani medici

(da Doctor33)   Il medico specializzando è responsabile per l’attività che svolge e risponde legalmente per le proprie azioni anche quando non è in grado di portare a termine il compito. Dunque, se ravvisa che deve svolgere attività troppo complesse per la sua preparazione, deve dire no, altrimenti in caso di danno al paziente potrà essere responsabile e rispondere, nel caso in questione civilmente. Lo afferma la Corte di Cassazione che con la 3a sezione civile nella sentenza 26311 del 17 ottobre scorso chiama a risarcire un medico in formazione al quale in una casa di cura era stata affidata una gestante con il medico titolare in missione all’estero. La donna si sente male, il medico le prescrive un farmaco e lei abortisce con danno irreversibile, perdendo la capacità di procreare. Per la Suprema Corte, lo specialista gode di piena autonomia: lui, laureato in medicina ed abilitato, è in grado di capire se gli ordini può eseguirli.  La sentenza arriva in un momento “caldo”, la Regione Lombardia ha annunciato che affiancherà ai medici delle corsie degli ospedali del servizio sanitario 2 mila specializzandi al 4° e 5° anno. La stessa regione aveva vinto nel 2018 un braccio di ferro con il Governo sul tema, dopo che l’ex premier Paolo Gentiloni aveva impugnato il meccanismo di “autonomizzazione” degli specializzandi progressivo adottato dagli atenei lombardi, a tre gradini: all’inizio appoggio (lo specializzando assiste il medico strutturato); poi collaborazione (svolge procedure sotto il diretto controllo di tutor interno all’ospedale) e infine autonomia (con tutor disponibile per la consultazione ed eventuale tempestivo intervento). Anche il Veneto ha adottato delibere rivolte ad affiancare gli specializzandi degli ultimi due anni svolgendo specifica attività in ospedale specie là dove si sono… pensionati troppi medici. Per Stefano Guicciardi presidente di FederSpecializzandi, la sentenza conferma la presenza di rischi importanti per lo specializzando impiegato in contesti che vanno molto al di là della formazione. «In nessun caso lo specializzando va pensato come figura sostitutiva del personale di ruolo del Ssn; a regola, deve formarsi con una figura di riferimento al proprio fianco. Ma come certificare la sua competenza? A partire da quando stabilire che è “autonomo”? E in quali contesti o discipline? Questi problemi non li hanno ancora risolti né le leggi nazionali né le regioni, ci sono molte aree ancora grigie», sottolinea Guicciardi. «La sentenza conferma che anche gli interventi più recenti, come il dl Calabria che consente la possibilità di assunzione degli specializzandi al 4° e 5° anno, non sono per niente risolutivi se non si pensa in via prioritaria a istituire un sistema nazionale uniforme e rigoroso di certificazione delle competenze dello specializzando».  Dall’altra parte il Veneto ha anche avviato un percorso che contempla l’ingaggio di medici neolaureati non specializzandi da inserire progressivamente nell’urgenza e in altre discipline. Della serie, se non va lo specializzando un sostituto si trova. «Se di aut-aut si tratta, diciamo no con forza. No all’ingaggio di neolaureati nel Ssn, intanto. È deleterio pensare che la formazione si possa tagliare o accorciare con un tratto di penna, come se fosse un inutile fronzolo; una formazione di qualità richiede tempo, risorse, costanza di apprendimento. Ma è altresì inaccettabile, per soli motivi di risparmio economico candidamente dichiarati, prendere lo specializzando e farlo lavorare in aree dove ci sono carenze, dove è maggiore il rischio che sia lasciato a sé stesso per i vuoti d’organico e lo scarso tempo a disposizione dell’eventuale tutor. Tra l’altro – sottolinea Guicciardi – il sistema non risolve in questo modo il nodo delle carenze; ci sono buone probabilità che dopo qualche anno, di fronte a una chance lavorativa o formativa migliore, il medico specialista abbandoni il posto. Se non si migliorano, a monte, le condizioni lavorative e non si interviene sulla valorizzazione delle aree più critiche saremo presto punto e a capo. Dall’altra parte, per legge, il diploma di specializzazione è conditio sine qua non per lavorare nel Ssn, sinonimo di garanzia per le cure prestate a tutti i pazienti; qualsiasi formazione accelerata sarebbe una scappatoia par sbandierare momentanei tamponamenti, con il rischio poi che intervengano future sanatorie. Non c’è nessuna garanzia per l’intero Ssn nell’avere percorsi paralleli di formazione, uno standard a livello nazionale parametrato a standard europei e altri 21 rapidi ed improvvisati dalla regione o province autonome di turno. Ma si sa, un bravo professionista costa: per cui, secondo molti Governatori regionali, meglio un neolaureato o uno specializzando sottopagato oggi che uno specialista stabilizzato e valorizzato domani».