Il rischio cardiovascolare nei pazienti oncologici: grave, e sottovalutato

(da OncoNews)   Ancora oggi molti pazienti non muoiono per il tumore che li ha colpiti, ma per una patologia cardiovascolare. Questo il risultato di uno dei più grandi studi mai effettuati sull’argomento, condotto dagli oncologi e cardioncologi del Penn State College of Medicine e del Penn State Cancer Institute di Hershey su dati relativi a 28 tipi di cancro e 3,2 milioni di pazienti americani analizzati per 40 anni (tra il 1973 e il 2012), pubblicato sullo European Heart Journal.  Gli autori hanno preso in esame tutti i dati contenuti nei registri americani SEER relativi, oltreché al tumore, anche alle patologie cardiovascolari e cardiometaboliche, e hanno visto che la media dei decessi non riconducibili alla neoplasia era del 10% con, in alcuni tumori (mammella, prostata, endometrio e tiroide), valori che raggiungevano il 50%.  Nello specifico, i casi valutati sono stati 3,2 milioni: il 38% è deceduto per il tumore, l’11% per una patologia cardiovascolare. Tra questi ultimi, il 76% è morto per una malattia cardiaca, con un picco di mortalità nel primo anno dopo la diagnosi e per diagnosi poste prima dei 35 anni di età (il rischio per le diagnosi avvenute prima dei 55 anni è fino a 10 volte quello della popolazione generale).

Per quanto riguarda le singole forme, quelle più a rischio sono risultate essere il tumore della mammella (oltre 60.000 decessi) e della prostata (oltre 84.000); nel 2012, il 61% di tutti i pazienti deceduti per una malattia cardiovascolare aveva avuto un tumore della mammella, della prostata o della vescica. Ancora, le proporzioni dei diversi tipi più associati ai decessi per patologie cardiovascolari sono state: vescica (19%), laringe (17%), prostata (17%), utero (14%) e mammella (12%). In generale, poi, è emerso che spesso le vittime di una patologia cardiovascolare erano state colpite da tumori più aggressivi e difficili da trattare quali quelli di esofago, ovaio, polmone, fegato, sistema nervoso o pancreas, fatto che non stupisce perché significa che costoro sono presumibilmente stati sottoposti a terapie più cardiotossiche, nel tentativo di salvarli. Infine, per alcuni tumori il rischio di soccombere per una patologia cardiovascolare è risultato sovrapponibile a quello oncologico e di molte volte superiore a quello della popolazione generale; nel tempo, inoltre, esso tende ad assomigliare a quello della popolazione generale solo in alcuni casi ma, più spesso, purtroppo tende ad aumentare.  Gli autori si augurano che il quadro emerso aiuti i medici generici e i pazienti ad avere maggiore consapevolezza, e stimoli i responsabili dei centri oncologici a implementare la cardioncologia con appositi programmi e specialisti.  In questo senso va anche l’editoriale di commento, firmato dal cardiologo della Mayo Clinic di Rochester Jörg Herrmann, che scrive: “I pazienti oncologici hanno un rischio cardiovascolare che è da 2 a 6 volte quello della popolazione generale, evidente in tutto il continuum della cura e caratterizzato da una fase precoce e una cronica. Alla luce di questo, un approccio basato solo sulla presentazione dei sintomi non è più accettabile. Piuttosto, è necessario averne uno proattivo, che inizi con la diagnosi e non sia mai interrotto, per tutta la durata della vita del malato”.

(Sturgeon K et al. A population-based study of cardiovascular disease mortality risk in US cancer patient  European Heart Journal, ehz766   doi:https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehz766

(Jörg Herrmann. From trends to transformation: where cardio-oncology is to make a difference,” by Joerg Herrmann. European Heart Journal.  doi:10.1093/eurheartj/ehz781)