Circolare lavoratori “fragili”. Nessun automatismo tra età e condizione di fragilità
(da “Il Sole 24Ore) Nella circolare n. 13 del 4 Settembre 2020, emessa congiuntamente dai ministeri del Lavoro e della Salute, si legge che «la maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione va intesa congiuntamente alla presenza di comorbilità (ovvero alla coesistenza di più patologie) che possono integrare una condizione di maggiore rischio». In pratica non basta aver superato i 55 anni per sentirsi a rischio e chiedere di essere esentati da alcune attività.
Nella circolare si legge che i dati più consolidati sulla infezione da Covid-19 hanno messo in luce una serie di aspetti: il rischio di contagio da Sars-Cov non è significativamente differente nelle varie fasce di età lavorativa; il 96,1% dei soggetti deceduti presenta una o più comorbilità e precisamente il 13,9% presentava una patologia, il 20,4% due patologie, il 61,8% ne presentava tre o più.
Le patologie più frequenti erano rappresentate da malattie cronico degenerative a carico degli apparati cardiovascolare, respiratorio, renale e da malattie dismetaboliche. L’andamento crescente dell’incidenza della mortalità all’aumentare dell’età è correlabile alla prevalenza maggiore di queste patologie nelle fasce più elevate dell’età lavorativa.
In aggiunta a queste patologie, ne sono state riscontrate altre a carico del sistema immunitario e oncologiche non necessariamente correlabili all’aumentare dell’età.
Ecco perché, secondo la circolare, il concetto di fragilità «va individuato in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto». «Non è dunque rilevabile – si legge in un altro passaggio – alcun automatismo tra le caratteristiche anagrafiche e di salute del lavoratore e la eventuale condizione di fragilità». Spetta al medico appurare, tramite visita, la condizione di fragilità.
Come previsto dalle leggi sulla sicurezza del lavoro, alcuni datori devono avere la figura del medico competente, che deve occuparsi dei dipendenti. Non tutte le scuole lo hanno. E dove non c’è, il datore può indirizzare il lavoratore all’Inail. Oppure la circolare introduce altre due possibilità: ci si può infatti rivolgere anche «alle aziende sanitarie locali o ai dipartimenti di medicinale legale e di medicina del lavoro delle università». Valutate le mansioni del lavoratore il medico esprimerà un «giudizio di idoneità».
Ma l’esenzione dal lavoro non sarà ad ogni modo automatica. Al medico spetta infatti il compito di fornire «in via prioritaria l’indicazione per l’adozione di soluzioni maggiormente cautelative per la salute del lavoratore o della lavoratrice per fronteggiare il rischio Covid».
Il giudizio di «non idoneità temporanea», con relativo esonero dal lavoro, è limitato ai casi «che non consentano soluzioni alternative». Ad ogni modo «resta ferma la necessità di «ripetere periodicamente la visita, anche alla luce dell’andamento epidemiologico e dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche in termini di prevenzione, diagnosi e cura».