Corte Costituzionale: se i medici liberi professionisti producono reddito devono pagare il contributo

(da DottNet)    Aveva dunque ragione l’Enpam quando, abolendo l’esonero integrale, costrinse i pensionati e i titolari di altra copertura previdenziale a versare comunque una contribuzione ridotta in favore della Fondazione: in quell’occasione sostenne che, in base al principio che non possono esservi redditi professionali esenti da contribuzione, l’Inps avrebbe potuto comunque richiedere un versamento contributivo alla Gestione Separata. Ora questo principio è sancito addirittura da una sentenza della Corte Costituzionale.   Si tratta della sentenza n. 104 del 22 aprile 2022, nella quale la Consulta ha stabilito che “sono obbligati ad iscriversi alla Gestione separata Inps non solo i soggetti che svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ma anche i soggetti che, pur svolgendo attività il cui esercizio sia subordinato a tale iscrizione, non hanno tuttavia, per ragioni reddituali, l’obbligo di iscriversi alla cassa di previdenza professionale e restano quindi obbligati al versamento del solo contributo cosiddetto integrativo, non anche di quello cosiddetto soggettivo, il solo a cui consegue la costituzione di una vera e propria posizione previdenziale“. 

All’Enpam il contributo integrativo (il 2 o il 4 per cento che noi utenti siamo costretti ad aggiungere alla parcella di avvocati, commercialisti o psicologi), non esiste, per ragioni normative e per scelte politiche; ma il ragionamento della Corte Costituzionale rimane perfettamente applicabile anche ai medici, che soltanto versando la contribuzione soggettiva alla Fondazione possono dunque essere esentati da analoghe pretese dell’Inps.   L’Inps ha ovviamente recepito la sentenza in una disposizione normativa interna, la Circolare n. 107 del 3 ottobre 2022. In tale sede, l’Istituto fa presente che il rapporto tra il sistema previdenziale delle Casse autonome e quello della Gestione separata Inps si pone non in modo alternativo tra loro, ma complementare. La Corte Costituzionale conferma che l’art. 2, comma 26 della legge 335/95 si iscrive in una coerente tendenza dell’ordinamento previdenziale verso la progressiva eliminazione delle lacune rappresentate da residui vuoti di copertura assicurativa, e che ciò non è in contraddizione con l’autonomia regolamentare riconosciuta alle casse categoriali. 

Nella sintesi iniziale del documento Inps, si legge inoltre che è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 26 della legge 335/95, nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui all’art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576, tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’Inps, siano esonerati dal pagamento, a favore dell’Ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore. In altre parole, chi produce un certo reddito e non paga la propria Cassa libero professionale, non solo deve pagare la Gestione Separata dell’Inps, ma deve anche corrispondere le sanzioni per l’evasione contributiva, se il reddito è stato prodotto in epoca successiva al 1995.  

Non solo: la decisione della Consulta spazza via anche una convinzione che continua a circolare fra diversi commercialisti, che cioè, così come avviene per i lavoratori dipendenti Inps, lo svolgimento marginale di un’attività libero professionale sotto una determinata soglia (cinquemila euro) esenterebbe dal versamento contributivo. La Corte Costituzionale dice chiaramente che così non è, perché l’iscrizione ad un Albo certifica lo svolgimento di una certa professione in forma abituale, e questo obbliga al versamento contributivo, anche se il volume d’affari si mantiene di entità irrisoria.