L’etica del Secondo Parere: medicina basata sulle evidenze, sulle convenienze o sulle eminenze?

(da Doctor33)  Il mondo sanitario, convinto sostenitore della medicina basata sulle prove e conscio delle conseguenze negative della medicina difensiva, riflette sulla propria sostenibilità, sull’approccio “Less is more”, sull’implementazione delle Linee Guida.  Ma tutto ciò sembra non coinvolgere alcuni medici, quando viene chiesto loro un secondo parere. Sono medici che sentono il dovere di giustificare la parcella, oppure di dimostrare che sono veramente bravi e sapienti: devono proporre qualcosa in più, fosse anche solo una PET. La “second opinion”, momento nobile del sapere medico, richiede esperienza e particolare attenzione al contesto in cui viene richiesta: le sue implicazioni possono essere importanti.  
La signora Anna, in trattamento adiuvante con Letrozolo per un tumore mammario, mi dice: “Dottore, lei mi ha spiegato che nel mio caso non sono necessari molti accertamenti, ma nel famoso centro di riferimento dove ho chiesto un secondo parere mi sono stati consigliati: mammografia annuale, ecografia mammaria semestrale, esami ematochimici (emocromo, AST, ALT, bilirubina, azotemia, creatinina, calcio, colesterolo, HDL, LDL, trigliceridi, CEA, CA15.3, estradiolo) ogni 6 mesi, ecografia addome ogni 6 mesi, ecografia TV annuale, Radiografia del torace annuale, MOC su rachide e femore ogni 24 mesi, ecocardiogramma annuale. Come mai questa differenza?”.
La signora Anna è gentile e bene educata, non fa commenti, ma i suoi occhi esprimono il dubbio che ho imparato a riconoscere da tempo: “Volete risparmiare sulla mia pelle?”.
Dico alla signora Anna che tutte le linee guida sono chiare sull’argomento e invio una mail alla collega per avere chiarimenti. La dottoressa risponde: “…i marcatori non sono obbligatori, ma noi preferiamo comunque richiederli. Se preferite non controllarli per me va bene. La tempistica degli esami può variare in accordo alle preferenze della paziente.”
Sono rimasto colpito: “…noi preferiamo”, “…per me va bene”. L’autoreferenzialità non ha limiti! E che significa “preferenze”? Sembra di essere al supermercato.
Poco tempo dopo, vengo contattato dai famigliari della signora Silvia, inquieti e rosi dal dubbio. A Silvia è appena stato diagnosticato un tumore del pancreas molto avanzato, le sue condizioni sono scadute: non è in grado di alzarsi dal letto né di alimentarsi autonomamente. E’ stata subito affidata ai colleghi delle Cure Palliative. I parenti hanno chiesto un parere (attraverso la documentazione clinica, non riuscendo a trasportare la signora) presso lo stesso istituto di cui sopra. Il referto dice: “…è necessario una tipizzazione citologica… suggerisco un consulto con il radioterapista… con l’oncologo… avvierei un trattamento con bifosfonati previa ortopanoramica dentaria… terapia con nabpaclitaxel e gemcitabina…”.
Non facciamo in tempo a incontrare la signora: è già deceduta, lasciando i parenti sgomenti, con un inutile senso di colpa.  La medicina è sempre più complessa, propone infinite possibilità di approfondimento e impone scelte che devono essere discusse e condivise fra tanti: pazienti, famigliari, operatori sanitari. Ben venga, quindi, allargare la discussione attraverso altri pareri.  CIPOMO ritiene che il secondo parere sia un diritto indiscutibile: nel documento “Reti Oncologiche e Percorsi Clinico Assistenziali in Oncologia”, prodotto insieme ad AIOM, si scrive che “le reti oncologiche devono definire le procedure per l’eventuale richiesta di una second opinion da parte del paziente”.  D’altra parte, CIPOMO sta lavorando per proporre anche un’etica della second opinion: il parere non deve essere conseguente all’autoreferenzialità o alla convenienza, deve essere coerente con le linee guida e con le reali necessità assistenziali degli ammalati.
Mario Clerico
Presidente CIPOMO