ll verde che salva il cuore

(da Cardiolink)   La vicinanza ad aree verdi può essere associata a un ridotto rischio di malattie cardiache: è quanto emerge da una recente pubblicazione su Journal of the American Heart Association. Lo studio ha esaminato la relazione tra misure oggettive di aree verdi per quartiere e 4 diagnosi di cardiopatia (infarto miocardico acuto, cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca e fibrillazione atriale) in un campione di assistiti Medicare. La popolazione esaminata comprendeva 249 405 individui di età ≥65 anni, domiciliati nello stesso luogo nel biennio 2010-2011 nella contea di Miami-Dade, in Florida. Le analisi condotte hanno esaminato la relazione tra aree verdi, stimate da immagini satellitari in termini di differenza media normalizzata in vegetazione tra quartieri, e 4 diagnosi di malattie cardiache. Le analisi di regressione, corrette per dati sociodemografici, reddito di quartiere e fattori di rischio biologici (diabete mellito, ipertensione e iperlipidemia), hanno poi esaminato la relazione tra aree verdi e singole diagnosi di cardiopatia. Dallo studio è emerso che una maggiore ecocompatibilità si associa ad una riduzione del rischio di malattie cardiache dopo correzione per dati sociodemografici individuali e reddito di quartiere. Rispetto al tertile più basso, il più alto tertile di vegetazione si associava ad una riduzione del rischio di infarto miocardico acuto pari al 25% (odds ratio [OR] 0.75, IC 95% 0.63-0.90), di cardiopatia ischemica pari al 20% (OR 0.80, IC 95% 0.77-0.83), di insufficienza cardiaca del 16% (OR 0.84, IC 95% 0.80-088) e di fibrillazione atriale del 6% (OR 0.94, IC 95% 0.87-1.00 ). Tali associazioni venivano attenuate dopo l’aggiustamento per i fattori di rischio cardiometabolico, suggerendo che questi ultimi possano in parte mediare la relazione osservata tra aree verdi e malattie cardiache. Gli autori concludono che la vicinanza al verde possa essere associata a un ridotto rischio di malattie cardiache e che le strategie per aumentarne l’estensione possano rappresentare uno strumento per ridurre le malattie cardiache a livello di popolazione.    (Kefeng Wang et al, Journal of the American Heart Association. Marzo 2019 https://doi.org/10.1161/JAHA.118.010258)