I pesticidi sono cancerogeni quanto il fumo

(da AGI)  Le sostanze chimiche utilizzate come pesticidi possono avere effetti negativi sulla vita vegetale e animale, causando esiti cancerogeni con percentuali simili a quanto rilevato per il fumo. Questo allarmante risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista 'Frontiers in Cancer Control and Society', condotto dagli scienziati della Rocky Vista University, e del College of Osteopathic Medicine in Colorado. Il team, guidato da Isain Zapata, ha confrontato l''aumento del rischio di cancro dovuto all''uso di pesticidi con quello associato all''abitudine del fumo. Nell''agricoltura moderna, diverse sostanze chimiche vengono usate per garantire raccolti sufficientemente elevati e sicurezza alimentare. Nonostante ciò, questi prodotti possono provocare serie conseguenze sulla salute umana. Gli autori hanno scoperto che l''impatto derivante dall''uso di pesticidi potrebbe rivaleggiare con quello del fumo, specialmente per alcune forme di cancro. L''associazione più forte è emersa in caso di linfoma non-Hopkins, leucemia e cancro alla vescica. "Alcuni tumori - sostiene Zapata - sembrano essere particolarmente correlati all''esposizione ai pesticidi. Ad ogni modo, il nostro lavoro suggerisce che è la combinazione dell''uso di diverse sostanze, piuttosto che un singolo prodotto, a influenzare negativamente la salute". Il gruppo di ricerca ha valutato 69 pesticidi di cui lo United States Geological Survey aveva raccolto i dati di utilizzo. "Generalmente - aggiunge l''esperto - le persone vengono esposte a un cocktail di pesticidi piuttosto che una singola sostanza. È difficile spiegare l''entità di un problema senza presentare alcun contesto, quindi abbiamo incorporato i dati sul fumo. Siamo rimasti sorpresi nel vedere stime in intervalli simili". I ricercatori hanno scoperto che l''impatto del fumo e dei pesticidi variava notevolmente in base alle coordinate geografiche. Nelle regioni in cui si coltivano più raccolti, come il Midwest, famoso per la produzione di mais, le associazioni tra pesticidi e incidenza del cancro erano più evidenti. "Il nostro obiettivo - sostiene Zapata - è quello di sensibilizzare il pubblico sui problemi che l''uso dei pesticidi pone in un contesto più ampio. Quando compriamo del cibo, dovremmo pensare alla filiera con cui raggiungono gli scaffali dei supermercati. Sapere che alcune persone rischiano la propria salute per coltivare determinate specie vegetali potrebbe anche facilitare la riduzione di sprechi".

Il sonno migliora grazie all’esercizio fisico serale

(da Univadis)    Bastano 3 minuti di attività fisica serale ogni mezz’ora per guadagnare quasi trenta minuti di sonno. È quanto emerge da uno studio recentemente pubblicato su 'BMJ Open Sport & Exercise Medicine' dai ricercatori guidati da Jennifer T Gale dell’Università di Otago, in Nuova Zelanda.

“Un sonno insufficiente è stato associato a un aumento del rischio di problemi cardiometabolici, incluso anche il diabete di tipo 2” spiegano gli autori. “Alti livelli di attività fisica durante il giorno in genere migliorano il sonno, ma le attuali raccomandazioni sconsigliano l'esercizio fisico ad alta intensità prima di andare a letto perché l'innalzamento della temperatura corporea e della frequenza cardiaca indotti dall'esercizio fisico potrebbero determinare una peggiore qualità del sonno” aggiungono Gale e colleghi ricordando che attualmente non sono disponibili dati sull'impatto dell'interruzione della sedentarietà serale con brevi esercizi di resistenza sulla qualità e la durata del sonno.

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Una dieta sana e povera di zuccheri potrebbe avere effetti antiaging

(da DottNet)   Una dieta ricca di vitamine e sali minerali ma povera di zuccheri potrebbe avere effetti anti-aging, Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Jama Network Open e condotto presso l'Università di San Francisco. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti raccomanda agli adulti di consumare non più di 50 grammi di zucchero aggiunto al giorno. I ricercatori hanno esaminato come tre diversi tipi di alimentazione influenzassero l'esito di un test biochimico usato per stimare la salute di un individuo e l'età del suo corpo (biologica) e hanno scoperto che migliori erano le abitudini alimentari (ovvero maggiore il contenuto in vitamine A, C, B12 ed E, acido folico, selenio, magnesio, fibre alimentari e isoflavoni, minore il consumo di zuccheri aggiunti nella dieta) delle persone, più le cellule del loro corpo sembravano giovani. Inoltre, a parità di dieta sana, ogni grammo di zucchero in più consumato si collegava a un aumento dell'età biologica. Lo studio è uno dei primi a mostrare un legame tra lo zucchero aggiunto e l'invecchiamento del corpo, nonché il primo a coinvolgere persone di mezza età di varie etnie. "Lo studio approfondisce la nostra comprensione del perché lo zucchero sia così dannoso per la salute, sottolinea la co-autrice senior Elissa Epel. "Sapevamo che alti livelli di zuccheri aggiunti sono collegati a un peggioramento della salute metabolica e a malattie precoci, forse più di qualsiasi altro fattore alimentare", continua Epel. "Ora sappiamo che l'invecchiamento accelerato delle cellule è alla base di questa relazione, e questo è probabilmente uno dei tanti modi in cui un eccessivo consumo di zucchero limita una longevità sana. Dato che i pattern di invecchiamento cellulare sembrano essere reversibili, potrebbe essere che eliminare 10 grammi di zucchero aggiunto al giorno sia come riavvolgere l'orologio biologico di 2,4 mesi, se la diminuzione del consumo è mantenuta nel tempo", sottolinea la co-autrice senior Barbara Laraia, della UC Berkeley. "Concentrarsi su alimenti ricchi di nutrienti chiave e poveri di zucchero aggiunto potrebbe essere un nuovo modo per motivare le persone a mangiare bene per vivere più a lungo", conclude.

Adolescenti, social media e rischio depressione

(da Univadis)  L’uso dei social media non ha lo stesso impatto su tutti gli adolescenti. A dirlo è uno studio americano in cui quasi 500 ragazzi sono stati seguiti per 8 anni. Gli autori della ricerca, pubblicata sul 'Journal of Adolescence', hanno identificato alcuni fattori che influenzano l’effetto dei social sulla salute mentale in questa fase delicata della crescita. È un’informazione che può aiutare medici, famiglie e scuole a intercettare tempestivamente i soggetti a rischio e a intervenire nel modo più efficace. Un’analisi incentrata sulla persona     I ricercatori della Brigham Young University hanno preso in esame 488 partecipanti al Flourishing Families Project, uno studio longitudinale sull’adolescenza, che avevano circa 13 anni all’arruolamento. Tra i dati raccolti vi era il tempo di utilizzo quotidiano dei social media (autoriferito). L’uso dei media è stato messo in relazione con la traiettoria della depressione nel follow-up.    I ricercatori hanno identificato cinque gruppi di adolescenti: classe dei maschi ad alto rischio, classe delle femmine ad alto rischio, classe a rischio moderato, classe a rischio basso, classe a rischio molto basso. A caratterizzare ogni classe erano alcune caratteristiche personali e ambientali, che potevano rappresentare fattori protettivi o di rischio: per esempio, il calore materno era un fattore protettivo, mentre un atteggiamento ostile da parte del genitore era un fattore predisponente. In estrema sintesi, l’uso dei social media si associava a un aumento della depressione per gli adolescenti che sperimentavano genitorialità ostile, bullismo da parte dei pari, ansia, elevata reattività ai fattori di stress e basso controllo dei media da parte dei genitori. Intervenire dove serve       Nell’articolo vengono proposti alcuni interventi personalizzati per ciascuna classe. Per esempio, è emerso che le femmine ad alto rischio raramente discutevano dei contenuti fruiti con i genitori e che questi ultimi non stabilivano limiti all’utilizzo dei social, il che aumentava la probabilità che il tempo passato sui media potesse essere dannoso.   “Un intervento per le femmine ad alto rischio potrebbe essere aiutare i genitori a imparare a interagire con i propri figli per diventare consumatori sani dei media” suggeriscono gli autori. “Ciò può essere particolarmente importante dato che le adolescenti di questo gruppo hanno un livello di ansia più elevato e possono essere più suscettibili quando interagiscono con i social media: anche pochi incidenti negativi sui social media possono avere un impatto enorme, inducendole a rimuginare su tali eventi per lunghi periodi di tempo”.

Accademia di Medicina Tradizionale Cinese a Forlì

Riceviamo e volentieri pubblichiamo L’Accademia di medicina cinese si è recentemente trasferita da Bologna  a Forlì, come è stato riferito da il Resto del Carlino del 25 luglio. La sede si trova presso il poliambulatorio Kripton, dove si svolgono le lezioni frontali e la didattica ambulatoriale. I corsi triennali sono aperti solo ai medici. Caratteristica distintiva della nostra scuola è la possibilità di frequentare gli ambulatori didattici in piccoli gruppi di 2-3 colleghi. Poter contattare direttamente casi clinici reali rende l’apprendimento più rapido ed efficace. Non si tratta di acquisire solamente una tecnica terapeutica, ma una vera e propria medicina, non alternativa ma perfettamente integrabile nell’ambito della medicina moderna. Lo dimostrano le esperienze ospedaliere portate avanti nei centri di analgesia di Forli, Cesena e Rimini dal momento che l’agopuntura è entrata nei LEA regionali. Tali centri vedono come protagonisti nostri allievi, che continuano a mantenere un costante contatto con la nostra scuola. Si tratta di una medicina caratterizzata da un procedimento diagnostico che ha, come prospettiva, la globalità della persona (“si cura il malato, non la malattia”). La terapia si basa sull’impiego dell’agopuntura e della fitoterapia; quest’ultima, molto praticata in Cina, viene particolarmente proposta dalla nostra scuola, perché sorprendentemente efficace anche in alcune patologie organiche, come l’endometriosi, la colite ulcerosa, il morbo di Crohn, sempre rispettando i canoni della medicina moderna. In linea di massima l’agopuntura, coadiuvata dalla fitoterapia nei casi più difficili, trova la sua applicazione nell’ambito delle cefalee, sia emicraniche sia muscolo-tensive, nelle sindromi reumatiche, nelle lombalgie, nelle patologie definite come psicosomatiche e funzionali, nell’incremento delle difese immunitarie. Cerco di convincere tutti gli interessati che la medicina cinese è accessibile tramite una didattica semplice e razionale. Mantengo vivo lo scopo di continuare a formare medici esperti in materia perché questo patrimonio culturale non vada perso, ma sempre più diffuso e valorizzato. Propongo, quindi, ai colleghi desiderosi di apprendere questa medicina la possibilità di un salto qualitativo culturale, un arricchimento graduale ma entusiasmante della propria professionalità. L’invito è particolarmente rivolto ai colleghi del nostro Ordine. Giorgio Di Concetto giorgio.diconcetto@libero.it        

Studio medico associato, le spese comuni per la gestione dell’attività sono esenti Iva

(da DottNet)    Il riaddebito delle spese comuni sostenute da un’associazione di medici per la gestione dell’attività, come quelle relative all’assicurazione, manutenzione, pulizia, segreteria, può beneficiare del regime di esenzione dall'Iva (articolo 10, comma 2 del Dpr n. 633/1972). È in sintesi il chiarimento fornito dall’Agenzia con la risposta n.61 del 26 luglio 2024. Lo riporta il sito Fisco Oggi. L’associazione istante è composta da quattro medici di medicina generale che operano nell'ambito della “assistenza primaria”, all'interno dello stesso territorio e non svolgono attività di “libera professione strutturata” per un orario superiore a cinque ore settimanali. La forma associativa da loro assunta è disciplinata dall'articolo 40 del Dpr 270/2000 e dall'accordo collettivo nazionale della medicina generale del 22 marzo 2005. Chiede quindi se può fruire dell’esenzione Iva per le spese sostenute per la gestione comune, nel momento in cui saranno ripartite pro quota. L’Agenzia ricorda la norma che prevede l’esenzione Iva per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dei consorziati o soci da consorzi, incluse le società consortili e le cooperative con funzioni consortili (articolo 10, comma 2, Dpr n. 633/1972). La misura di favore è stata emanata in recepimento della direttiva comunitaria che ha introdotto l’esenzione Iva per “le prestazioni di servizi effettuate da associazioni autonome di persone che esercitano un'attività esente o per la quale non hanno la qualità di soggetti passivi, al fine di rendere ai loro membri i servizi direttamente necessari all'esercizio di tale attività, quando tali associazioni si limitano ad esigere dai loro membri l'esatto rimborso della parte delle spese comuni loro spettante, a condizione che questa esenzione non possa provocare distorsioni della concorrenza” (direttiva 2006/211/CE). La norma comunitaria, in pratica, vuole evitare che i soggetti che svolgono attività esenti, siano penalizzati dall'indetraibilità dell'Iva assolta sugli acquisti necessari alla gestione del loro lavoro. La normativa interna, quindi, ha espressamente tutelato i consorzi (costituiti anche in forma societaria) e le cooperative con funzioni consortili ritenendole strutture associative assimilabili alle generiche “associazioni autonome di persone” individuate dalla norma comunitaria. Per quanto riguardala prassi, l’Agenzia ricorda la circolare n. 23/2009 che ha equiparato al consorzio le “organizzazioni di origine comunitaria aventi finalità analoghe, quali i gruppi economici di interesse europeo (GEIE)…”. Stessa linea interpretativa, inoltre, con la risoluzione n. 30/2012 sulle società cooperative costituite fra soggetti esercenti l'attività sanitaria, in cui viene precisato che per l’esenzione non è rilevante la forma giuridica assunta dalla struttura associativa, ma l'oggetto sociale. Secondo la stessa risoluzione poi il fatto che l'articolo 10, comma 2, del decreto Iva citato si riferisca alle sole strutture associative di tipo consortile, non può costituire una scriminante rispetto ad altri schemi associativi autonomi costituiti per rendere dei servizi comuni agli associati, funzionali alla loro attività. Alla luce del quadro normativo delineato (comunitario e interno) e dei chiarimenti forniti della prassi, l’Agenzia ritiene che la misura di favore stabilita per i consorzi possa valere anche per l’associazione di medici istante. Di conseguenza la ripartizione delle spese di gestione comuni, necessarie allo svolgimento dell’attività, non sarà assoggettata all’Iva. Risposta n. 161_2024

Oblio oncologico. In GU le modalità e forme per la certificazione della sussistenza dei requisiti necessari per la richiesta

(da Quotidiano Sanità)  Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 luglio 2024 il Decreto del Ministero della Salute 5 luglio 2024 recante "Disciplina delle modalità e delle forme per la certificazione della sussistenza dei requisiti necessari ai fini della normativa sull'oblio oncologico".

Nel testo all'articolo 1 si spiega che ai fini dell'applicazione delle disposizioni della legge 7 dicembre 2023, n. 193, il soggetto interessato, già paziente oncologico, debba presentare istanza, eventualmente corredata dalla relativa documentazione medica, di rilascio del certificato che attesta l'avvenuto "oblio oncologico".

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Boom di farmaci per l’estate, traina il semaglutide

(da Ansa.it)   Il consumo di farmaci non va in vacanza, anzi per alcune categorie i consumi aumentano: nel secondo trimestre del 2024 in farmacia sono state vendute 444,6 milioni di confezioni di medicinali per un valore di 4,5 miliardi di euro, con un aumento dell'1,5% dei volumi e del 2,5% del valore rispetto al trimestre precedente. I dati arrivano da un'analisi di Pharma Data Factory, che monitora i dati di vendita del 95% delle farmacie italiane. A guidare la classifica dei farmaci più venduti è il comune antipiretico Tachipirina, con un valore di vendite pari a 66 milioni di euro. Seguono l'antibiotico Augmentin (37 milioni) e la vitamina D Dibase (36 milioni). Nella top ten anche il farmaco contro l'asma e la Bpco Foster; l'antidiabetico Rybelsus; l'integratore per la flora batterica Enterogermina; il farmaco per disturbi psichici Xanax; l'antibiotico intestinale Normix; la Cardioaspirina; il farmaco contro asma e Bpco Revinty Ell e il farmaco per vene e capillari Daflon. Il trend che salta più all'occhio è però la forte crescita dell'antidiabetico Rybelsus.
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Vitamina D, chi deve misurarla e integrarla: nuove linee guida

(da DottNet)   Anziani, persone in sovrappeso o con osteoporosi e pazienti in cura con certe medicine che disturbano l'assorbimento della vitamina D sono alcune delle categorie a rischio cui dovrebbe essere prescritta l'analisi del dosaggio ematico, per poi impostare, se necessario, un'integrazione vitaminica adeguata. È il cuore delle raccomandazioni pubblicate sulla rivista internazionale 'Endocrin Reviews' in un articolo che raccoglie le più aggiornate raccomandazioni cliniche su perché, quando e come misurare e integrare la Vitamina D. Il documento è opera di una trentina di autori, tra i massimi esperti al mondo in tema di Vitamina D. Il lavoro riassume le conclusioni della sesta International Conference on Controversies in Vitamin D dell'autunno 2022. «È fondamentale misurare i valori circolanti di Vitamina D (più precisamente di 25-idrossivitamina D (25-(OH)D)) - spiega Andrea Giustina, professore ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all'Università Vita-Salute San Raffaele e primario dell'Unità di Endocrinologia all'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, nonché coordinatore della Consensus Conference.  Questo permette di effettuare correttamente la diagnosi di ipovitaminosi D e di impostare la terapia più adatta in base alla severità della carenza.

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Dai calcoli renali alla sicurezza, le bufale sull’acqua di casa svelate dall’ISS

(da DottNet)    Dal rischio di calcoli renali all'assenza di controlli, fino alla necessità di apparecchi di trattamento. Le false credenze sull'acqua del rubinetto sono tanti e duri a morire. In occasione della presentazione del suo primo rapporto, il Centro nazionale per la sicurezza delle acque (CeNSiA) dell'Istituto Superiore di Sanità, ha voluto sfatarne alcune di esse. Una delle più diffuse è che essere 'buona' l'acqua del rubinetto deve essere priva di ogni sostanza chimica. "È vero il contrario", precisa l'Iss. "L'acqua contiene molte sostanze chimiche vantaggiose per la salute; eliminarle provocherebbe la riduzione di apporto di elementi essenziali".

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Aifa: monitoraggio a vita per pazienti curati con Car-T

(da Fimmg.org)   I pazienti che si sono sottoporsi a terapie anti-cancro Car-T "devono essere monitorati per tutta la vita" poiché hanno un rischio più alto di sviluppare un nuovo tumore anche anni dopo il trattamento. È quanto afferma l'Agenzia Italiana del Farmaco in una nota informativa importante concordata con le autorità regolatorie europee e indirizzata ai medici. "Sono state segnalate neoplasie secondarie maligne originate da cellule T, incluse neoplasie maligne positive al recettore dell'antigene chimerico (Car), che si sono verificate in un periodo di tempo che va da alcune settimane fino a diversi anni dopo il trattamento" con una terapia cellulare Car-T, spiega l'Agenzia. Fino ad aprile 2024, nel mondo circa 42.500 pazienti sono stati trattati con questi medicinali, a oggi approvati per il trattamento di diverse neoplasie ematologiche, dalla leucemia acuta a cellule B, a sottotipi specifici di linfoma a cellule B e al mieloma multiplo. Fino ad aprile 2024, l'Agenzia Europea per i Medicinali (Ema) ha valutato 38 casi di tumori delle cellule T insorti dopo il trattamento con terapie cellulari Car-T. Tra questi, in 7 casi è stato rilevato il 'costrutto Car', cioè il recettore inserito nelle cellule immunitarie per riconoscere selettivamente le cellule tumorali. "Ciò suggerisce che la terapia cellulare Car-T sia stata coinvolta nello sviluppo della malattia", spiega l'Aifa. La possibilità di sviluppare neoplasie secondarie è un rischio noto di queste terapie ed è inserito tra le informazioni a fin dalla loro approvazione, precisa l'Agenzia.

Per molte infezioni respiratorie l’antibiotico è inefficace

(da M.D.Digital)  Lo studio, condotto da ricercatori del Georgetown University Medical Center, è stato pubblicato sul Journal of General Internal Medicine.  "Le infezioni del tratto respiratorio superiore di solito includono il comune raffreddore, mal di gola, sinusiti e infezioni dell'orecchio e esistono metodi ben consolidati per determinare se è necessario somministrare antibiotici", afferma l'autore principale dello studio, Dan Merenstein, professore di medicina di famiglia alla Georgetown Scuola Universitaria di Medicina. "Le infezioni del tratto respiratorio inferiore tendono ad essere potenzialmente più pericolose, poiché circa il 3-5% di questi pazienti ha la polmonite. Ma non tutti hanno un facile accesso ad una prima visita che include una radiografia, questo potrebbe essere il motivo per cui i medici continuano a somministrare antibiotici senza alcuna altra prova di un'infezione batterica. Inoltre, i pazienti si aspettano una prescrizione di antibiotico per curare la tosse, anche se questi si rivelano inefficaci: farmaci di base per alleviare i sintomi e il tempo portano a una risoluzione delle infezioni della maggior parte dei casi. In questo studio, gli antibiotici prescritti per le infezioni del tratto inferiore erano tutti antibiotici appropriati e comunemente usati per trattare le infezioni batteriche. Ma l’analisi dei ricercatori ha mostrato che del 29% delle persone a cui è stato somministrato un antibiotico durante la visita medica iniziale, non vi è stato alcun effetto sulla durata o sulla gravità complessiva della tosse rispetto a coloro che non hanno ricevuto una terapia antimicrobica.   “I medici conoscono, ma probabilmente sovrastimano, la percentuale di infezioni batteriche del tratto inferiore; probabilmente sovrastimano anche la loro capacità di distinguere le infezioni virali da quelle batteriche", afferma Mark H. Ebell, un altro autore dello studio. "Nella nostra analisi, al 29% delle persone è stato prescritto un antibiotico mentre solo al 7% è stato somministrato un antivirale. Ma la maggior parte dei pazienti non ha bisogno di antivirali poiché esistono solo due virus respiratori per i quali abbiamo farmaci per curarli: influenza e Sars-CoV2”.  Per determinare se fosse presente un'effettiva infezione batterica o virale, oltre al riferimento della presenza del sintomo tosse, i ricercatori hanno confermato la presenza di agenti patogeni con test di laboratorio avanzati per cercare risultati microbiologici classificati come solo batteri, solo virus, sia virus che batteri o nessun organismo rilevato. Cosa molto importante, per i pazienti con un’infezione batterica confermata, il periodo di tempo fino alla risoluzione della malattia era lo stesso per quelli che avevano ricevuto un antibiotico rispetto a quelli che non ne avevano ricevuto uno: circa 17 giorni. L'uso eccessivo di antibiotici può provocare una serie di effetti indesiderati cui si associa un’altra preoccupazione significativa legata all’insorgenza di resistenze agli antimicrobici. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha rilasciato una dichiarazione il 4 aprile 2024, in cui si afferma che "si prevede che la resistenza antimicrobica incontrollata dovuta all'uso eccessivo di antibiotici ridurrà l'aspettativa di vita e porterà a spese sanitarie e perdite economiche senza precedenti". (Merenstein DJ, et al. Antibiotics Not Associated with Shorter Duration or Reduced Severity of Acute Lower Respiratory Tract Infection. J Gen Intern Med 2024. doi: 10.1007/s11606-024-08758-y.)

La proposta degli Usa: i social come il tabacco, serve l’etichetta sui rischi

(da Ansa.it) I social media sono come il tabacco e l'alcol: devono essere accompagnati da un'etichettatura che metta in guardia i genitori sui rischi che presentano per i loro teenager. La proposta è del capo della sanità americana Vivek Murthy che, in un editoriale sul New York Times, torna a lanciare l'allarme sulle piattaforme social. "La crisi della salute mentale fra i giovani è un'emergenza" a cui i social media hanno offerto un "importante contributo", spiega il Surgeon General mettendo in evidenza come gli adolescenti che trascorrono più di tre ore al giorno sui social corrono il "doppio dei rischi" di soffrire di sintomi di ansia e depressione. Per questo "è giunto il momento di chiedere un'etichetta di avvertimento" in cui si nota che i "social sono associati a significativi danni alla salute mentale". Murthy non può farlo da solo e per questo esorta il Congresso, l'unico con tali potere, a imporre un'etichettatura per ricordare "ai genitori e ai giovani che i social non si sono dimostrati sicuri". L'etichetta, ammette il capo della sanità americana, non è una soluzione magica ma gli studi condotti sul tabacco hanno mostrato che può essere efficace nell'aumentare la consapevolezza e, quindi, spingere a un cambio di comportamento. Nel 1965, dopo uno storico rapporto del Surgeon General, il Congresso votò per richiedere che sui pacchetti di sigarette venduti negli Stati Uniti ci fosse l'avvertenza: l'uso del prodotto "potrebbe essere pericoloso per la salute". L'etichetta fu l'inizio del trend di declino del fumo: se allora i fumatori negli Stati Uniti erano il 42% degli adulti, la percentuale nel 2021 è scesa all'11,5%. Un intervento del Congresso proteggerebbe i "giovani dalle molestie, dagli abusi e dallo sfruttamento online", ma anche dall'esposizione a una violenza eccessiva e a contenuti sessuali, aggiunge Murthy che da anni ritiene i social un pericolo per la salute. "I danni causati dai social media non sono per mancanza di volontà o per cattivi genitori: sono la conseguenza di aver lanciato una potente tecnologia senza adeguate misure di sicurezza, trasparenza e responsabilità", osserva. Fra i ricercatori c'è un ampio dibattito sulla questione dei social e le loro possibili responsabilità dietro la crisi della salute mentale degli adolescenti. Lo psicologo Jonathan Haidt indica l'uscita dell'iPhone nel 2007 come il punto di svolta che ha innescato un aumento dei comportamenti suicidari. Altri invece affermano che non ci sono prove sul fatto che l'ascesa dei social abbia causato un declino del benessere dei giovani. A loro avviso la responsabilità è più delle difficoltà economiche, del razzismo e della crisi degli oppioidi.

Per crescere figli sereni bisogna ridurre i traslochi

(da AGI)   Le persone che traslocano prima dei 15 anni sono associate a un rischio del 40 per cento più elevato di ricevere una diagnosi di depressione durante l''età adulta. Questo, almeno, è quanto emerge da uno studio, pubblicato sul 'Journal of American Medical Association Psychiatry', condotto dagli scienziati dell''Università di Aarhus, in Danimarca, dell''Università di Plymouth e dell''Università di Manchester, in Regno Unito. Il team, guidato da Clive Sabel, ha analizzato tutte le località residenziali di circa 1,1 milioni di persone nate in Danimarca tra il 1981 e il 2001 e che hanno soggiornato nel paese durante i primi 15 anni della loro vita. Gli autori hanno monitorato gli stessi individui per diversi anni. Nell''ambito del campione, almeno 35 mila danesi avevano ricevuto una diagnosi di depressione durante l''età adulta. Il rischio, riportano gli studiosi, sembrava del 10 per cento più elevato tra chi aveva trascorso l''infanzia in quartieri poveri. Chi aveva traslocato una volta tra i dieci e i 15 anni era associato al 41 per cento di probabilità di ricevere una diagnosi di depressione durante l''età adulta rispetto a chi non aveva mai cambiato casa nella stessa fascia d''età. In caso di traslochi multipli, il rischio saliva al 61 per cento. Gli studiosi ipotizzano che un ambiente domestico stabile potrebbe ridurre significativamente il pericolo di determinati disturbi. "Sappiamo che ci sono diversi fattori che possono portare a una malattia mentale - sottolinea Sabel - questo lavoro evidenzia che trasferirsi in un nuovo quartiere durante l''infanzia potrebbe portare a problematiche più avanti negli anni. Negli anni formativi, in effetti, i ragazzi costruiscono le loro reti sociali attraverso la scuola, i gruppi sportivi o altre attività. L''adattamento a qualcosa di nuovo può essere dirompente".
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