Visite frequenti, e se fosse endometriosi?

(da Univadis)    Messaggi chiave   Nei 10 anni che precedono la diagnosi, le donne con endometriosi ricorrono all’assistenza primaria e secondaria più spesso delle altre donne.   In media le donne con endometriosi non diagnosticata effettuano circa il 30% di visite di medicina generale in più.   Riconoscere questo comportamento potrebbe aiutare il medico a prender in considerazione il sospetto di endometriosi e potenzialmente a ridurre il ritardo diagnostico.

Perché è importante   L’endometriosi è una patologia cronica che colpisce il 5-10% delle donne in età fertile.   I sintomi più comuni dell’endometriosi sono dolore pelvico severo, dolore dopo/durante i rapporti sessuali, mestruazioni dolorose, fatigue e infertilità; i sintomi possono essere confusi con quelli di altre condizioni ginecologiche e gastrointestinali.  L’aspecificità dei sintomi e l’invasività della procedura diagnostica (laparoscopia) ostacolano la diagnosi dell’endometriosi.   È possibile che al ritardo diagnostico, che può arrivare a 10 anni, possa contribuire la scarsa conoscenza della malattia da parte del medico che porta a una valutazione non esaustiva del caso e alla mancata consultazione del giusto specialista.

Come è stato condotto lo studio      Utilizzando un registro nazionale danese sono stati identificati 21.616 casi di endometriosi, ciascuno dei quali è stato appaiato (matched) a cinque controlli.   Si è andati a verificare l’accesso alle prestazioni sanitarie nei 10 anni precedenti la diagnosi.   Lo studio ha riguardato solo casi con diagnosi ospedaliera, non è stato possibile includere le donne a cui l’endometriosi è stata diagnosticata dal medico di medicina generale o dal ginecologo.

Risultati principali     Le donne con endometriosi mediamente contattano il proprio medico di medicina generale 9,99 volte all’anno, mentre le donne senza endometriosi lo fanno 7,85 volte (Incidence Rate Ratio [IRR] 1,28; 95%CI 1,27-1,29).   Le donne a cui sarà diagnosticata l’endometriosi effettuano anche più visite in ospedale; l’aumento delle visite è contenuto nei primi 9 anni, ma aumenta nettamente nell’anno che precede la diagnosi (IRR 2,26; 2,28-2,31).

(Melgaard A, Høstrup Vestergaard C, et al. Utilization of healthcare prior to endometriosis diagnosis: a Danish case–control study. Human Reproduction. 2023 Aug 15. doi:10.1093/humrep/dead164)

‘Svapare’ con le sigarette elettroniche restringe i testicoli e abbassa la conta degli spermatozoi

‘Svapare’ con le sigarette elettroniche restringe i testicoli e abbassa la conta degli spermatozoi

(da ilfattoquotidiano.it)  Lo svapo potrebbe abbassare il numero di spermatozoi, indebolire la libido e ridurre i testicoli, secondo quanto emerge da un nuovo studio. Esperti turchi hanno testato su ratti maschi gli effetti dell’esposizione al fumo delle sigarette elettroniche e delle sigarette normali. Hanno misurato la quantità di sperma che gli animali potevano produrre, l’aspetto dei loro testicoli al microscopio e gli indicatori di stress nel sangue e nei genitali. Secondo gli studiosi: “Va considerato che il liquido della sigaretta elettronica potrebbe aumentare lo stress ossidativo e causare cambiamenti morfologici nel testicolo.” Le sigarette normali sono risultate anche peggiori in termini di riduzione del numero di spermatozoi e di interruzione della funzione sessuale. Uno dei limiti principali dello studio è il fatto che sia stato condotto su cavie. Gli autori dello studio ritengono che sia necessaria un’indagine molto più approfondita sugli effetti dello svapo sui maschi umani. Ad ogni modo le loro risultanze si aggiungono ad altre precedenti. Uno studio del 2020 condotto in Danimarca su oltre 2.000 uomini ha rilevato che gli utilizzatori giornalieri di sigarette elettroniche avevano un numero totale di spermatozoi significativamente inferiore rispetto ai non utilizzatori. La nicotina è stata a lungo collegata alla riduzione del numero di spermatozoi e alla bassa densità degli stessi.

Si teme inoltre che le sostanze chimiche tossiche utilizzate per conferire ai vaporizzatori il loro sapore fruttato o di menta danneggino la produzione di sperma da parte del corpo. Nell’ultimo studio, i ricercatori dell’Università Cumhuriyet di Sivas, in Turchia, hanno esaminato tre gruppi di ratti. Un gruppo è stato esposto al fumo di sigaretta tradizionale, mentre un altro è stato esposto al vapore di un vaporizzatore. Un terzo gruppo, quello di controllo, non è stato esposto a nessuno dei due. Hanno posizionato i ratti di ciascun gruppo sotto una campana di vetro appositamente progettata dove sono stati esposti al fumo di sigaretta o al vapore di sigaretta elettronica due volte al giorno per un’ora ogni volta.

I ricercatori hanno controllato i livelli di urina dei ratti per una sostanza chiamata cotinina, che è un sottoprodotto del metabolismo della nicotina nel corpo. Hanno misurato i cambiamenti nel numero degli spermatozoi, nonché la dimensione dei loro testicoli, utilizzando una misurazione nota come indice gonadosomatico (GSI). I ratti esposti al vapore della sigaretta elettronica avevano un numero di spermatozoi inferiore, misurando 95,1 milioni di spermatozoi per millilitro rispetto a 98,5 milioni per millilitro per il gruppo di controllo. I ratti esposti al fumo di sigaretta tradizionale avevano una conta spermatica di circa 89 milioni di spermatozoi/ml. Un numero di spermatozoi più elevato si traduce in genere in una maggiore probabilità di causare una gravidanza. I ratti esposti al fumo di sigaretta avevano testicoli più piccoli e più leggeri rispetto ai ratti esposti alla sigaretta elettronica e ai gruppi non esposti.

Oltre a misurare il numero degli spermatozoi, il peso e le dimensioni dei testicoli e la mobilità degli spermatozoi, i ricercatori hanno esaminato la struttura dei testicoli di ciascun gruppo al microscopio per valutare eventuali cambiamenti nella salute delle cellule nei testicoli. Stavano anche cercando cambiamenti nelle aree in cui vengono prodotti gli spermatozoi, segni di morte cellulare, atrofia dei tessuti e altri indicatori di impatti negativi sulla salute. Cinque degli otto ratti esposti al fumo di sigaretta elettronica hanno mostrato cambiamenti strutturali ai testicoli quando esaminati al microscopio. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista medica spagnola “Revista Internacional de Andrología” .

Altini (Simm): Trattamento dei dati sanitari, proponiamo al Ministro della Salute di rivedere la normativa sulla privacy

(da DottNet - riproduzione parziale)       Il trattamento dei dati sanitari è regolato dalla normativa in materia di protezione dei dati personali e dalle disposizioni in materia sanitaria. L’uso dei dati è fondamentale per la programmazione sanitaria e per una gestione più efficace dei pazienti. Tuttavia, la circolazione dei dati sanitari per la cura sul territorio nazionale risulta difficoltosa per molte ragioni. Per questo la SIMM, al XV Congresso ‘SIMMNERGIE, integrazioni, intersezioni, allineamenti a sostegno del SSN’, organizzato da Over Group, ha presentato un’iniziativa per discutere le proposte da portare al Ministro della Salute per una revisione dell’applicazione della normativa  privacy che porterà nei prossimi giorni alla realizzazione di una consensus conference

"Proponiamo un’adesione alle sigle della sanità per aprire un tavolo di lavoro con le Istituzioni, affinché ascoltino la voce di chi ogni giorno svolgere al meglio il proprio lavoro in favore dei pazienti. La medicina d’iniziativa diventerà parte integrante della cura, come previsto in numerosi atti di programmazione del SSN. Le informazioni devono essere disponibili a chi ha in cura i pazienti evitando i fraintendimenti e vincoli legati al trattamento automatizzato. è necessaria la revisione dell’approccio tenuto dal GP fino ad oggi al fine di integrarlo con le normative delle PA", dichiara Mattia Altini, Direttore Assistenza Ospedaliera della Regione Emilia-Romagna e Presidente SIMM 

C’è un legame tra inquinamento atmosferico e antibioticoresistenza

(da M.D.Digital) La resistenza agli antibiotici è un problema globale in aumento, che causa ogni anno milioni di morti in tutto il mondo. Il particolato (PM)2.5 presenta diversi elementi che contribuiscono all’aumento dell’antibioticoresistenza e un recente studio, pubblicato su Lancet Planet Health, si è dedicato a valutare e presentare le prime stime globali del fenomeno e del carico di morti premature attribuibili alla resistenza agli antibiotici derivante dall'inquinamento da PM2.5.

Per questa analisi, sono stati raccolti dati su molteplici potenziali predittori (ovvero inquinamento atmosferico, uso di antibiotici, servizi igienico-sanitari, economia, spesa sanitaria, popolazione, istruzione, clima, anno e regione) in 116 paesi dal 2000 al 2018 per stimare il effetto del PM2.5 sulla resistenza agli antibiotici. I dati sono stati ottenuti da ResistanceMap, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, Atlante di sorveglianza (fonti sulla resistenza antimicrobica) e dalla piattaforma di informazione sanitaria PLISA per le Americhe. I futuri trend globali della resistenza agli antibiotici e della mortalità prematura derivati dal PM2.5 in diversi scenari (ad esempio, uso di antibiotici ridotto del 50% o PM2.5 controllato a 5 mcg/m³) sono stati proiettati fino al 2050.

Il set di dati finale comprendeva più di 11.5 milioni di isolati testati. I dati grezzi sulla resistenza agli antibiotici includevano nove agenti patogeni e 43 tipi di antibiotici. Correlazioni significative tra PM2.5 e resistenza agli antibiotici erano coerenti a livello globale nella maggior parte dei batteri resistenti agli antibiotici (p<0.0001) e le correlazioni si sono rafforzate nel tempo.

La resistenza agli antibiotici derivata dal PM2.5 ha causato circa 0.48 milioni di morti premature e 18.2 milioni di anni di vita persi nel 2018 in tutto il mondo, corrispondente a una perdita annua di welfare di 395 miliardi di dollari a causa di morti premature. Si stima che l’obiettivo di 5 mcg/m³ di concentrazione di PM2.5 nelle linee guida sulla qualità dell’aria stabilite dall’Oms, se raggiunto nel 2050, ridurrebbe la resistenza agli antibiotici del 16.8% ed eviterebbe il 23.4% delle morti premature attribuibili alla resistenza agli antibiotici, equivalente a un risparmio di 640 miliardi di dollari.

(Zhenchao Zhou, et al. Association between particulate matter (PM)2·5 air pollution and clinical antibiotic resistance: a global analysis. Lancet Planet Health 2023; 7: e649–59. doi: 10.1016/S2542-5196(23)00135-3.)

Pubblicazione Graduatorie Regionali PROVVISORIE Medicina Generale, Pediatria di libera scelta e Specialistica Ambulatoriale Interna valevoli per l’anno 2024

Si comunica che le graduatorie regionali provvisorie per la Medicina Generale e la Pediatria di Libera Scelta valevoli per l'anno 2024 sono pubblicate nel BUR - parte terza - n.263 del 29 settembre 2023, al seguente link:

https://bur.regione.emilia-romagna.it/dettaglio-bollettino?b=d01ddf27808e4849a119a56c39b2c331

Nel medesimo numero sono pubblicate anche le graduatorie provvisorie per gli Specialisti Ambulatoriali Interni, Veterinari ed altre professionalità sanitarie (Biologi, Chimici, Psicologi) valevoli per l’anno 2024, al seguente link:

https://bur.regione.emilia-romagna.it/dettaglio-inserzione?i=e71e6d914e714498ad5b671136334b65

Si evidenzia che, così come previsto all’art.19, comma 5 dell’ACN per la Medicina Generale 28.04.2022 e all’art.19, comma 6 dell’ACN per la Pediatria di Libera Scelta 28.04.2022, nonché all’art. 19 dell’ACN per la Specialistica Ambulatoriale Interna 31.03.2020 e s.m.i., i medici che vorranno presentare istanza motivata di riesame della loro posizione in graduatoria avranno a disposizione 15 giorni. Pertanto, la scadenza per la presentazione di tali istanze è fissata nel 14 ottobre p.v.

Cordiali saluti.

Alfonso Buriani

Tumori, dieta ricca di fibre “potenzia” la risposta immunitaria

(da Fimmg.org - riproduzione parziale)   Mele, pere, prugne e kiwi; ma anche noci, pistacchi e arachidi; fagioli, ceci, lenticchie; carote, melanzane, carciofi; cereali e addirittura il cioccolato fondente: sono tutti alimenti ricchi di fibre in grado di “nutrire” il nostro microbioma - l’insieme dei microrganismi che ognuno di noi ospita nel proprio intestino - e di conseguenza possono aumentare l’efficacia dell’immunoterapia. Sono infatti sempre più numerose le evidenze scientifiche secondo le quali quello che mettiamo in tavola può influire in modo significativo sulla risposta dell’organismo ai trattamenti antitumorali, compresa l'immunoterapia. In particolare, numerosi studi in corso in tutto il mondo mostrano un legame tra una dieta ricca di fibre e una maggiore efficacia dell’immunoterapia. Entro il prossimo anno, è in programma al San Raffaele di Milano un nuovo trial clinico che prevede la somministrazione di una dieta controllata ricca di fibre nei pazienti con mieloma indolente. Sono inoltre in corso ricerche sui trapianti fecali e studi che hanno come obiettivo quello di confermare i potenti effetti che gli acidi grassi esercitano sulla risposta immunitaria contro i tumori. A fare il punto sulle ultime novità sulla immunoterapia dei tumori e su come questa possa essere modulata dal microbioma intestinale sono oltre mille scienziati arrivati da oltre 38 nazioni del mondo al CICON23 International Cancer Immunotherapy Conference (cancerimmunotherapyconference.org), evento organizzato da società scientifiche internazionali insieme al Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori (NIBIT) e in corso a Milano “L'immunoterapia ha rivoluzionato la cura di molti tumori - spiega Pier Francesco Ferrucci, direttore dell’Unità di Bioterapia dei Tumori presso l’istituto Europeo di Oncologia e presidente del Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori (NIBIT, nibit.org) -. Tuttavia, non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo. Da qui l'ipotesi, che ormai è diventata una certezza, che la composizione del microbioma intestinale di un paziente influenzi il successo del trattamento immunoterapico. In sostanza, i pazienti che ospitano determinati batteri intestinali sembrano rispondere meglio all’immunoterapia rispetto ai pazienti che ne sono privi”.

Ancora più sorprendente l’ipotesi, basata su recenti evidenze scientifiche, che somministrare ai pazienti una dieta ricca di fibre potrebbe aumentare le probabilità che il trattamento contro il cancro sia più efficace. “Che il microbioma sia una parte cruciale del nostro sistema immunitario lo sappiamo ormai da tempo - aggiunge Vincenzo Bronte, direttore scientifico dell’Istituto Oncologico Veneto e next-president di NIBIT -. Secondo alcune stime, oltre il 60% delle cellule immunitarie del nostro corpo risiedono nell'intestino. Ma solo di recente abbiamo accumulato sufficienti evidenze secondo le quali questi microbi possono essere ‘modificati’ per influenzare positivamente l’esito dei trattamenti contro il cancro, compresa l’immunoterapia”.

Alcuni gruppi di ricerca stanno cercando di superare la resistenza all’immunoterapia effettuando trapianti fecali: i microbi intestinali “buoni” vengono prelevati da campioni di feci di pazienti che hanno risposto bene ai farmaci per poi essere trapiantati tramite colonscopia a un altro paziente. Un’altra strada è quella di disegnare diete ad hoc, ricche di fibre, in grado di modificare il microbiota in modo da renderlo “alleato” dell’immunoterapia. “A questo proposito stiamo pianificando un trial clinico su pazienti affetti da mieloma indolente - afferma Matteo Bellone, responsabile dell’Unità di Immunologia Cellulare presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, tra gli organizzatori di CICON23 -. Ai pazienti proporremo una dieta controllata ricca di fibre con l'obiettivo di comprenderne gli effetti, non solo sulla composizione del microbioma intestinale, ma anche sulle modificazioni metaboliche dell’organismo, sul decorso e sulla prognosi della malattia".

Stanchi, insoddisfatti e poco pagati, i medici italiani secondo l’indagine Univadis Medscape

(da Univadis)  Quanto guadagnano e quanto amano il proprio lavoro i medici italiani? A distanza di due anni e passata la situazione pandemica, Univadis Medscape Italia torna indagare gli aspetti che riguardano motivazioni e soddisfazioni della classe medica.   L'indagine è stata svolta su un campione di 1169 operatori sanitari impiegati a tempo pieno, ovvero che lavorano in media 44 ore settimanali e una media di 56 pazienti a settimana. Il quadro che emerge trova coerente riscontro nell’attualità raccontata dai media italiani: quella di una sanità pubblica in cui i medici sono stanchi e stressati. 

Secondo i risultati della nuova indagine, infatti, il rapporto con i pazienti e l’amore per il proprio lavoro rappresentano ancora la fonte principale di appagamento e soddisfazione per larga parte dei medici intervistati, ma coesiste anche una crescente fetta di professionisti che ritiene di non guadagnare abbastanza e di non apprezzare più come prima il proprio lavoro, a causa di un maggior carico in termini di ore lavorative, registrato in questi ultimi anni. Il 57% dei rispondenti ha affermato che il carico di lavoro è infatti aumentato e solo nel 27% dei casi è stato assunto nuovo personale all’interno della struttura ospedaliera. Inoltre, se nell’indagine del 2020 la burocrazia era considerata come l’ostacolo principale per i medici (ora viene citata solo dal 17% del campione), nel 2022 è la mancanza di personale ad affliggere chi lavora nel 35% dei casi.   Il malessere è comunque peggiorato dal fatto che l’89% dei medici ritiene di non essere pagato abbastanza. 

I medici italiani guadagnano in media 60.000 euro l’anno, ma esiste una grande differenza tra gli ospedalieri e chi opera soprattutto in ambulatorio, inclusi i medici di medicina generale: se per i primi si arriva in media a 56.000 euro l’anno, chi riceve pazienti in ambulatorio ne guadagna fino a 79.000€, ben 23.000 euro in più. Le donne poi sono una categoria che viene ulteriormente (e severamente) penalizzata: in media guadagnano circa 20.000 euro all’anno in meno dei colleghi uomini, con l’aggravante di pagare spesso anche il conto più salato in termini di equilibrio tra vita privata e professionale. 

Lo scenario è quindi quello di un’insoddisfazione per la propria situazione economica, destinata a crescere anche in considerazione di ulteriori fattori. Da una parte, infatti, risultano scarse le opportunità di guadagno integrativo, inclusi bonus e incentivi ai quali solo un medico su due riesce ad aver accesso. Dall’altra, si è registrato un aumento dell’inflazione – per il 77% dei rispondenti il potere d’acquisto è diminuito rispetto al 2021 , e per il 75% la situazione non migliorerà nei prossimi due anni – così come un aumento delle spese generali, incluse quelle relative al la sottoscrizione di contratti di assicurazione integrativa che i l 73% dei medici dipendenti paga di tasca propria. 

Cause strutturali  -   Malumore e scontento stanno quindi caratterizzando il clima ospedaliero in questo momento: la quasi totalità del campione che lavora nel SSN (più di 8 su dieci) dichiara che nell’ultimo anno lavorare per la sanità pubblica è diventato sempre più difficile. Il 60% dei medici confermerebbe ancora oggi la scelta della propria professione, ma rispetto al 2020 questo dato è calato di 12 punti percentuali.    La pandemia di COVID-19 ha portato a vari cambiamenti negli orari e nei salari, ma non è più la principale fonte di problemi all'interno degli ospedali. Le cause sono più strutturali e organizzative: c'è carenza di personale, bassa sicurezza per i medici, aumento delle aggressioni, diminuzione dei benefici, mentre gli stipendi restano sempre uguali. La conseguenza è che sempre più medici, soprattutto i più giovani, sono spinti ad andare a lavorare all’estero, verso Paesi come Svizzera e Inghilterra. Oppure, per ovviare alle difficoltà, si guarda alla sanità privata, un settore che attira sempre maggiore attenzione (per il 32% del campione), cosi come per la prima volta, abbiamo registrato una consistente percentuale di medici che pensa di mettersi in proprio (17%)”. 

A compensare almeno in parte i sentimenti negativi rimane la centralità e l’importanza della relazione con i pazienti, che per il 31% del campione resta uno degli aspetti più gratificanti del proprio lavoro (nell’indagine 2020 il dato era del 33%). Altri motivi di soddisfazione personale sono la consapevolezza della propria bravura (26%), l’aver contribuito a rendere il mondo un posto migliore (12%) e l'orgoglio di essere medico (9%).   Inoltre, rispetto all’indagine del 2020, un aspetto degno di nota è quello relativo alla telemedicina: nel precedente report si era registrato scettiscismo rispetto all’utilizzo dei nuovi strumenti digitali nell’ambito della salute, mentre adesso risulta in netta crescita chi utilizza strumenti di telemedicina (36%) e ne è soddisfatto (il 71% degli intervistati), tanto che il 20% prevede di estendere la telemedicina alla teleconsultazione (e il 38% ci sta pensando).

Potete visualizzare l'intera indagine al LINK  https://www.medscape.com/slideshow/6016706?src=mkm_ret_221115_mscpmrk_it_globalcompensation&faf=1

Campagna di sensibilizzazione sui danni da plastica proposta da ISDE Italia

Con l'intenzione di accrescere la consapevolezza dei danni alla salute umana, all’ecosistema e all’ambiente riconducibili alla presenza di plastica, al rilascio di sostanze tossiche e alla diffusione delle micro e nano plastiche nonché di accrescere la capacità di contribuire alla riduzione dell’uso e del consumo della plastica, ISDE Italia e Rete Italiana Medici Sentinella (RIMSA) in collaborazione con la Società Italiana Medici Endocrinologi (SME), la Federazione Italiana Medici di medicina Generale (FIMMG), l’Associazione Culturale Pediatri (ACP), la Società Italiana di Pediatria (SIP), la Federazione Italiana medici Pediatri (FIMP), Choosing Wisely Italy e Università degli studi di Scienze gastronomiche  di Pollenzo (CN) propongono una campagna di sensibilizzazione rivolta in primis ai medici e tramite loro ai pazienti, sui danni alla salute provocati dalla plastica.

La campagna prevede l'invio a tutti i medici della richiesta di compilazione di un questionario (https://it.surveymonkey.com/r/WWYRMNN), volto  a rilevare il livello di conoscenza del problema e ad aderire alla campagna, e di un link al sito (https://www.isde.it/progetto-plastica/) dove i medici (e successivamente anche i pazienti) potranno scaricare il Manifesto da esporre negli studi medici e altri materiali informativi che il gruppo di lavoro produrrà.

Nel mese di gennaio 2024 è prevista la realizzazione di un corso di formazione con ECM dedicato ai medici che aderiranno al progetto.

Le conoscenze acquisite dovrebbero essere utili ai medici per poter informare, con maggiore consapevolezza, i propri pazienti e a medici e pazienti per accrescere la capacità di contribuire, in prima persona, ad una riduzione dell’uso e del consumo della plastica, con effetti positivi sia sulla riduzione dell’esposizione a sostanze chimiche rilasciate dalla plastica sia sul danno ambientale.

Di seguito è possibile consultare anche la lettera inviata ai medici

Colpa medica, depenalizzare è difficile. Tra le ipotesi scudo penale e stop alle liti temerarie

(da Doctor33)    Depenalizzare la colpa medica non si può. Ma si può rendere più tranquilla l'attività di tutti i giorni evitando che i medici siano coinvolti in contenziosi legali. È l'obiettivo della Commissione istituita dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e guidata dal giudice Adelchi D'Ippolito che sta incontrando ordini ed associazioni lungo l'Italia, e valuta istanze ed eventuali proposte. Dopo Milano e Roma è stato il turno di Palermo, poi arriveranno Bari, Venezia, Siena. La tappa a Palermo offre un primo panorama delle cose che si possono fare.

La Commissione starebbe valutando l'ipotesi di rendere reato la lite temeraria intentata senza particolari motivi contro il sanitario, che già esiste nel civile, e di imporre una sanzione pecuniaria in caso di condanna; inoltre, si parla della possibilità di richiedere allegata alla querela una consulenza tecnica sul presunto errore medico affinché la denuncia non sia a costo zero.

Ci sarebbero altre due strade percorribili. La prima è introdurre un preventivo giudizio di ammissibilità delle cause contro i medici, che ridurrebbe drasticamente il numero delle liti; la seconda è una modifica organizzativa, che implicherebbe la rotazione dei consulenti medici del pubblico ministero così da scongiurare il rischio di monopoli o di comportamenti più compiacenti verso le tesi del piemme che verso insospettate verità. Ulteriore proposta al vaglio della Commissione è il "fondo vittime dell'alea terapeutica" per indennizzare le vittime di complicanze imprevedibili quali le infezioni nosocomiali: quasi 700 mila eventi che si trasformano in decessi nell'1% dei casi: comunque 6-7 mila persone.
Se la colpa medica non fosse più un reato, si eviterebbe al medico l'imputabilità per omicidio o lesioni colpose nei casi in cui si verificano la morte o un danno per il paziente. Ma il presidente dell'Ordine di Palermo Toti Amato avverte:«E' vero che l'ipotesi di reato non è contemplata nella maggioranza degli stati, ma l'ordinamento italiano non sembra offrire margini per depenalizzare», spiega Amato. «Noi chiediamo piuttosto misure mirate capaci di generare in tempi contenuti un cambiamento culturale. Va fatto capire che gli errori medici esistono ma sono di gran lunga inferiori rispetto alla rappresentazione collettiva. È importante a mio avviso scoraggiare le liti temerarie. La richiesta di una sanzione, sia essa 2 mila o 10 mila euro, potrebbe fare da deterrente, per i familiari della vittima di un evento fortuito alla ricerca di avvocati pronti all'azione giudiziaria. E potrebbe contribuire a ridurre i contenziosi».
In Italia si confermano oltre 35 mila per anno le azioni legali intentate per colpa medica. Nel 90-95% dei casi il medico è assolto. Ma, per prevenire guai giudiziari, fioccano visite ed esami inutili, che incidono sulle casse della sanità pubblica e sulle liste d'attesa: in ultima analisi, allontanano la sanità dal cittadino. Poco ha potuto la legge Gelli che depenalizzava la colpa lieve e per imperizia se il medico aveva seguito le linee guida. Dal 2017 -anno d'entrata in vigore -ad oggi, se più strutture di prima sono state chiamate in causa, i problemi per il singolo professionista non sono diminuiti in quanto quest'ultimo è spesso chiamato in causa dalla struttura e ne rischia l'azione di rivalsa in caso di condanna. «Tra le risposte che il legislatore potrebbe prendere in considerazione, la Federazione degli Ordini con il Presidente Filippo Anelli ha proposto in audizione lo scudo penale», ricorda Amato. «La tesi è che si potrebbero giustificare con il concetto di "emergenza", dovuto al mancato finanziamento o a dissesti organizzativi, situazioni che si verificassero in reparti - o ad esempio in pronti soccorso - con un numero di medici e sanitari sotto organico. Lo "scudo" si è fatto ed ha funzionato per il Covid-19 dove l'imprevedibilità della malattia pandemica giustificava la non punibilità del medico in caso di eventi avversi ai pazienti. L'impressione che ho tratto negli ultimi mesi è che anche in questo campo sia un percorso praticabile».

Arresto cardiaco: sintomi “premonitori” diversi per uomini e donne

(da Quotidiano Sanità)    Circa una persona su due che va incontro ad arresto cardiaco accusa sintomi significativi 24 ore prima dell’evento. Sintomi che sono diversi tra uomini e donne, con i primi che avvertono dolore al petto e le seconde un’improvvisa mancanza di respiro. Alcuni sottogruppi di entrambi i sessi, invece, accusano palpitazioni, attività simil-convulsivante e sintomi simil-influenzali.  È quanto emerge da una ricerca condotta da scienziati dello Smidt Heart Institute Cedars-Sinai (USA), guidate da Sumeet Chugh, e pubblicata dal 'The Lancet Digital Health'.

Lo studio     Il team ha preso in considerazione due studi sviluppati dagli stessi ricercatori: lo studio Prediction of Sudden Death in Multi-Ethnic Communities (PRESTO) – condotto in California su 823 persone – e l’Oregon Sudden Unexpected Death Study (SUDS). Entrambe le ricerche hanno raccolto dati dalla comunità per prevedere al meglio l’arresto cardiaco improvviso. In questi studi è stata valutata la presenza dei sintomi individuali e dei sintomi complessivi segnalati prima dell’arresto cardiaco improvviso. Le informazioni raccolte sono state confrontate con quelle ottenute da gruppi di controllo che avevano richiesto assistenza al pronto soccorso.  “Considerare i sintomi premonitori per eseguire il triage potrebbe portare a un intervento precoce e a prevenire la morte”, sottolinea Sumeet Chugh, secondo il quale i risultati della ricerca “potrebbero portare a un nuovo paradigma per la prevenzione della morte cardiaca”.

Lo studio pubblicato dal The Lancet Digital Health apre la strada a ulteriori studi prospettici che potranno combinare i sintomi con altre caratteristiche, per migliorare la previsione dell’arresto cardiaco improvviso.

(https://www.thelancet.com/journals/landig/article/PIIS2589-7500(23)00147-4/fulltext)

Cinquecento professionisti della sanità lasciano l’Italia per i Paesi arabi (dove si guadagnano fino a 20mila euro al mese)

(da Fimmg.org)   Non solo Cristiano Ronaldo, Neymar e l'ex Ct della nazionale Roberto Mancini. Sono oltre 500 i professionisti della sanità che negli ultimi tre mesi hanno deciso di lasciare l'Italia per prestare servizio nei Paese Arabi. Si tratta di 250 medici specialisti, 150 infermieri, 100 tra medici generici, fisioterapisti, farmacisti, podologi e dietisti. Per i medici ci sono salari tra i 14.000 a 20.000 euro, con servizi e casa, inserimento scolastico per i figli, agevolazioni fiscali, burocrazia snella e veloce. Per gli infermieri si va dai 3.000 a 6.000 euro. A calcolarlo sono l'Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) e l'Unione medica euro mediterranea (Umem), secondo cui le specializzazioni più richieste sono dermatologia, chirurgia generale, medicina estetica, ortopedia, gastroenterologia, ginecologia, pediatria, oculistica, emergenza, chirurgia plastica, otorinolaringoiatra, dentisti; oltre agli infermieri specializzati, fisioterapisti, farmacisti e dietisti. Il 90% dei professionisti della sanità in Arabia Saudita è di origine straniera (europei, paesi arabi e africani, indiani, asiatici, cubani, sudamericani), lo stesso vale per gli altri Paesi del golfo.

Entro il 2030 in Arabia Saudita serviranno 44.000 medici e 88.000 infermieri per la crescita del numero della popolazione e l'avanzamento dell'età. Trentamila pazienti dai paesi del golfo vanno a curarsi all'estero (principalmente in Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Francia) con una spesa annua più di 20 miliardi. Inoltre, hanno fatto sapere le due associazioni, circa il 10% del Pil dei paesi del golfo è dedicato alla sanità ,servizi e industria sanitaria con ospedali e cliniche private all'avanguardia. Per la ricerca dei professionisti della sanità in Arabia Saudita ci sono più di 3000 siti Facebook, Telegram ed altri canali come mediatori.

Sistema Tessera Sanitaria, entro il 2 ottobre l’invio dei dati per il primo semestre 2023

(da DottNet)     Il 30 settembre scade il termine per inviare le spese sanitarie relative al primo semestre 2023. Termine che slitta al 2 ottobre, lunedì.  Si ricorda che dal 2023 è possibile accedere anche con SPID e CIE, oltre che con le proprie credenziali del Sistema Tessera Sanitaria.  Entro quella data si inviano al Sistema Tessera Sanitaria i dati del primo semestre 2023; mentre, entro il 31 gennaio 2024 si invieranno quelli relativi al secondo semestre 2023. La cadenza della trasmissione è libera e può avvenire anche giornalmente, settimanalmente, mensilmente o semestralmente. Inoltre entro il 31 ottobre, chi interessato, dovrà regolarizzare il mancato o tardivo invio della comunicazione dei dati negli anni pregressi fino a quelle riferite al primo semestre 2022 utilizzando la sanatoria per le irregolarità formali.

Nel caso in cui la mole dei dati sia consistente si consiglia di procedere con più invii antecedenti alla scadenza semestrale, in quanto il file di invio ha un limite massimo di dimensioni pari a 5Mb. In caso di errato, omesso o tardivo invio è prevista una sanzione pari ad euro 100,00 per ogni documento di spesa errata (senza possibilità di applicare il cumulo giuridico) con un massimo di euro 50.000,00.  Il calendario delle comunicazioni dei dati al sistema tessera sanitaria si presenta secondo il seguente prospetto:

PRIMO SEMESTRE 2023   >>>>>  entro il 2 Ottobre 2023

SECONDO SEMESTRE 2023  >>>>> entro il 31 gennaio 2024

DAL 1 GENNAIO 2024  >>>> entro la fine del mese successivo alla data di emissione 

È possibile effettuare la trasmissione dei dati secondo le seguenti modalità:

• utilizzo di una pagina web dedicata sul sito www.sistemats.it, per l’inserimento manuale di ogni singola spesa;

• trasmissione puntuale di ogni singola spesa, effettuata dal proprio software gestionale mediante il webservice sincrono;

• trasmissione massiva di un file Xml, contenente uno o più documenti, effettuata dal proprio software gestionale mediante il webservice asincrono.

Particolarmente rigoroso risulta essere il trattamento sanzionatorio in caso di eventuali violazioni dell’obbligo in commento. L’art. 3, comma 5-bis, del D.lgs. n. 175/2014 prevede quanto segue:

- in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati si applica la sanzione di 100 euro per ogni comunicazione fino a un massimo di 50.000 euro;

- nei casi di errata comunicazione dei dati la sanzione non si applica se la trasmissione dei dati corretti è effettuata entro i 5 giorni successivi alla scadenza, ovvero, in caso di segnalazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, entro i 5 successivi alla segnalazione stessa;

- la comunicazione correttamente trasmessa entro 60 giorni dalla scadenza prevista comporta la riduzione della sanzione a un 1/3 con un massimo di 20.000 euro.

È da tenere in debita considerazione il documento di prassi n. 22/2022 dell’Agenzia delle Entrate che ha chiarito il concetto di “comunicazione” contenuto nella norma sanzionatoria, stabilendo che debba riferirsi ad ogni singolo documento di spesa errato, omesso, o tardivamente inviato al Sistema tessera sanitaria, a nulla rilevando il mezzo di trasmissione (uno o plurimi file), o il numero di soggetti cui i documenti si riferiscono. Vale a dire, la sanzione di 100 euro si applica per ogni singolo documento di spesa, senza possibilità, per espressa previsione normativa, di applicare il cumulo giuridico di cui all’articolo 12 del d.lgs. n. 472/1997.

Più della metà degli italiani non ha competenze digitali. Siamo al quart’ultimo posto in Europa

(da Quotidiano Sanità)   Nel 2021 poco meno della metà delle persone di 16-74 anni residente in Italia ha competenze digitali almeno di base (45,7%). Il divario tra i diversi Paesi europei risulta piuttosto elevato. L’Italia occupa le ultime posizioni della graduatoria europea.  Lo rileva l’Istat in un rapporto dedicato. Le competenze digitali rientrano nel piano d'azione del pilastro europeo dei diritti sociali e in quello per l'istruzione digitale.

L’obiettivo target fissato per il 2030 è l'80% di cittadini (utenti di Internet negli ultimi 3 mesi e tra i 16 e i 74 anni) con competenze digitali almeno di base (per tutti i 5 domini individuati dal framework 2.0, ossia “alfabetizzazione all'informazione e ai dati”, “comunicazione e collaborazione”, “creazione di contenuti digitali”, “sicurezza” e “risoluzione dei problemi”). Nel 2021 tale quota a livello europeo è pari al 53,9%. Le competenze digitali almeno di base sono caratterizzate da un forte divario di genere a favore degli uomini, che, nel nostro Paese è di 5,1 punti percentuali. Va però sottolineato che fino ai 44 anni tale distanza si annulla e in alcuni casi si inverte di segno.  Il divario tra i diversi Paesi europei risulta piuttosto elevato, con un campo di variazione di 51,4 punti percentuali. In fondo alla graduatoria si colloca la Romania con il 27,8%, preceduta dalla Bulgaria (31,2%), dalla Polonia (42,9%) e dall’Italia (45,7%).  La Finlandia (79,2%) e l’Olanda (78,9%) già nel 2021 presentano valori quasi in linea con l’obiettivo target del 2030. 

Per raggiungere il medesimo obiettivo il nostro Paese dovrà far registrare nei prossimi anni un incremento medio annuo di 3,8 punti percentuali.  Si tratterebbe di un incremento piuttosto elevato in un lasso di tempo limitato, che si è finora registrato per l’indicatore sull’uso regolare della rete durante gli anni della pandemia (2020-2021) dove la quota è passata dal 76,4% al 80,1%.   Un’accelerazione, questa, che ha consentito all’Italia di ridurre considerevolmente il gap con gli altri paesi europei in riferimento al divario digitale di primo livello.  Nel nostro Paese è presente un forte gradiente tra Centro-Nord e Mezzogiorno, ad eccezione della Sardegna, che si attesta sul valore medio. Le regioni dove le competenze digitali almeno di base sono più diffuse sono il Lazio (52,9%), seguito dal Friuli-Venezia Giulia (52,3%) e dalla Provincia Autonoma di Trento (51,7%).    L’80,3% delle persone di 25-54 anni con un’istruzione terziaria possiede competenze digitali almeno di base, valore quasi in linea con quello medio EU27 (83%), mentre tale quota cala al 25% per quelli con titolo di studio primario, con una distanza di circa 8 punti percentuali rispetto al valore medio EU27.   Nel 2021 le persone hanno competenze digitali più avanzate per e-skill legati ai domini della “Comunicazione e collaborazione” (75,8%) e dell’“Alfabetizzazione su informazioni e dati” (58,5%) rispetto a quelli legati alla “Risoluzione di problemi” (47%), alla “Creazione di contenuti digitali” (41%) e alla “Sicurezza” (36%).   Le competenze digitali specialistiche interne alle imprese sono appannaggio di quelle con almeno 250 addetti (75,0%) e di quelle del settore ICT (64,1%). Le PMI italiane sono tra le prime in Europa a esternalizzare la gestione delle funzioni ICT (il 57,2% utilizza solo consulenti esterni)

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