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Gestione separata Inps, come utilizzare i contributi versati
(da DottNet) La Gestione Separata dell’Inps è il Fondo concepito dal legislatore per dare una copertura contributiva a tutti i lavoratori privi di una vera e propria collocazione previdenziale: innanzitutto i titolari di un rapporto di collaborazione, ma poi anche tutti quei liberi professionisti senza un ordine ed una Cassa. Con questi presupposti, la Gestione Separata non dovrebbe in nessun caso riguardare i medici e gli odontoiatri che, se dipendenti di ospedali ed Asl, versano alla Gestione Dipendenti Pubblici dell’Inps (ex Inpdap), mentre, se sono dipendenti di case di cura private, hanno una copertura presso il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti.
Ed invece quasi tutti i sanitari hanno una posizione contributiva presso la Gestione Separata dell’Inps, perché a quella gestione sono indirizzati i contributi dei medici con contratto di formazione specialistica (la maggior parte dei neolaureati in medicina), oltre a quelli di coloro che proseguono la carriera universitaria, come i beneficiari di borse di studio per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca e i percettori di assegni di ricerca. Non solo: fino alla stipula di uno specifico accordo fra Enpam ed Inps, che ha chiarito che tutti i contributi in qualche modo riconducibili alla professione medica ed odontoiatrica vanno versati alla specifica Cassa di appartenenza, molti medici hanno alimentato la Gestione Separata con i versamenti riferibili ai propri contratti di collaborazione.
E adesso cosa fare con questi contributi? Va detto innanzitutto che in linea di principio questi contributi non sono oggetto di ricongiunzione, non possono cioè essere trasferiti ad un’altra gestione dell’Inps o dell’Enpam, per il calcolo di un unico trattamento. In realtà, questa posizione è stata recentemente scalfita da alcune sentenze (tra tutte la sentenza di Cassazione n. 26039/2019), ma sinora l’Inps non le ha recepite in una determinazione unitaria, costringendo ogni interessato a fare ricorso giudiziario per vedersi riconosciuto il proprio diritto. A questo inconveniente non da poco, va aggiunta la scarsa convenienza dell’operazione per i liberi professionisti, dato che la Quota B Enpam non prevede la ricongiunzione, mentre la Quota A riconosce benefici piuttosto ridotti.
Se si ha la possibilità, è quindi meglio percorrere la strada di un trattamento autonomo, cioè aggiungere alla pensione Enpam da convenzionato o a quella Inps da dipendente, una diversa pensione erogata dalla Gestione Separata Inps. Ciò avviene nel caso di corsi di specializzazione particolarmente lunghi (almeno 5 anni) oppure quando ai contributi da specializzando si uniscono posizioni pregresse relative a rapporti di collaborazione, anche riferibili a docenze o a cariche ordinistiche. Infatti, la Gestione Separata prevede, attualmente all’età di 71 anni, l’erogazione di una pensione supplementare in presenza anche di soli 5 anni di contributi.
Inoltre, è possibile esercitare, all’atto del pensionamento, la facoltà di computo, che consente, a determinate condizioni, di sommare alla Gestione separata i contributi presenti in altre gestioni obbligatorie (con esclusione delle Casse dei liberi professionisti), sempre per ottenere una pensione calcolata con il sistema contributivo. Per la pensione anticipata a 64 anni occorre aver maturato un importo di pensione pari almeno al triplo dell’assegno sociale (€ 1.603,23 mensili lordi); per la pensione di vecchiaia a 67 anni, basta invece arrivare all’assegno sociale (€ 534,41).
Se poi ad un trattamento autonomo proprio non ci si arriva, rimane l’opzione del cumulo, cioè far conteggiare tutte le posizioni contributive congiuntamente, ai fini del diritto e della misura di un’unica pensione. Ciò comunque comporta che tutti i trattamenti vengano materialmente pagati dall’Inps, anche se l’Enpam trasferisce materialmente all’istituto la propria quota. Di qui l’applicazione delle regole Inps, meno favorevoli di quelle dell’Enpam, in tema di rivalutazione delle pensioni e soprattutto nel campo della reversibilità ai superstiti, con tagli anche consistenti degli importi corrisposti, in presenza di redditi propri del beneficiario (per capirsi, la reversibilità Enpam al coniuge è del 70%, mentre per le pensioni Inps, comprese quelle in cumulo, è al massimo del 60% e scende fino al 30% in presenza di un reddito proprio superiore a 5 volte il minimo Inps, pari a poco meno di 3.000 euro mensili lordi).
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La percezione della vecchiaia è cambiata con l’aumento dell’aspettativa di vita
(da DottNet) Le persone oggi tendono a percepire la vecchiaia più avanti negli anni rispetto a qualche decennio fa. Lo evidenzia uno studio, pubblicato sulla rivista Psychology and Aging, condotto dagli scienziati dell’Università Humboldt di Berlino, dell’Università di Stanford, dell’Università del Lussemburgo e dell’Università di Greifswald. Il team, guidato da Markus Wettstein, ha valutato il modo in cui gli adulti e gli anziani pensano alla vecchiaia. “L’aspettativa di vita è aumentata notevolmente negli ultimi decenni – spiega Wettstein – il che potrebbe contribuire a una visione più tardiva della vecchiaia. Allo stesso tempo, alcuni aspetti della salute sono migliorati, tanto che le persone di una certa età che in passato erano ritenute anziane oggi potrebbero non essere più considerate tali”. Il gruppo di ricerca ha esaminato i dati raccolti da 14.056 partecipanti al 'German Aging Survey', un’indagine longitudinale che comprende abitanti tedeschi nati tra il 1911 e il 1974. I volontari hanno risposto a domande fino a otto volte nell’arco di 25 anni. Nel periodo di studio relativo alle generazioni successive, sono stati reclutati ulteriori partecipanti. Tra le domande del sondaggio, i ricercatori chiedevano a che età una persona potrebbe essere considerata anziana. Il confronto tra i questionari ha rivelato che in media, quando i partecipanti nati nel 1911 avevano 65 anni, fissavano l’inizio della vecchiaia a 71 anni, mentre i nati nel 1956 alla stessa età lo posponevano a 74 anni.
“La tendenza a posticipare la vecchiaia non è lineare – commenta Wettstein – abbiamo anche scoperto che la percezione della vecchiaia tendeva a spostarsi anche con l’aumento dell’età delle persone”. Compiuti i 74 anni, i partecipanti indicavano l’inizio dell’età della vecchiaia a 76,8 anni. Infine, gli esperti hanno esaminato come caratteristiche individuali come il genere e lo stato di salute contribuissero alle differenze nella percezione dell’inizio della vecchiaia. In media, riportano gli scienziati, le donne tendevano a considerare le persone anziane due anni dopo rispetto all’idea delle controparti maschili. Le persone più sole, con condizioni di salute peggiore, indicavano l’inizio della vecchiaia prima di quanto riferito dai coetanei più in forma. Questi risultati, commentano gli autori, potrebbero avere implicazioni su quando e come le persone si preparano al proprio invecchiamento, nonché su come la società percepisce gli anziani in generale. “Non è chiaro in che misura la tendenza a posticipare la vecchiaia rifletta una tendenza verso visioni più positive su questo particolare periodo della vita – conclude Wettstein – i prossimi studi dovrebbero esaminare più approfonditamente questi aspetti, considerando le opinioni di altre comunità e campioni più ampi e diversificati. Tali prospettive potrebbero ricostruire il modo in cui la percezione dell’invecchiamento sia legata a fattori culturali”.