Poli-pillole stampate 3D per chi assume più farmaci al giorno

(da DottNet)     Ricercatori australiani hanno usato la tecnologia di stampa 3D, usata correntemente per produrre giocattoli, calchi dei denti e ricambi auto, per combinare farmaci multipli in una 'poli-pillola', e così alleviare l'impegno di chi deve assumere più farmaci ogni giorno. Un problema diffuso, che si aggrava con l'invecchiare della popolazione: con l'avanzare dell'età possono essere prescritti più farmaci ogni giorno, con il rischio di sottodosaggi o di overdose. Studiosi dell'Università del Queensland hanno sviluppato un modo di usare stampanti 3D per produrre pillole multiple su misura del paziente. I farmaci sono combinati in un polimero bio-compatibile per poter essere rilasciati nell'organismo in tempi differenti. "Si possono includere farmaci differenti in una pillola, da prendere una sola volta al giorno, riducendo così la probabilità di overdose o di sottodose, scrive il professor Amirali Polat della Scuola di Farmacia sul sito dell'università stessa. Le pillole sono prodotte uno strato alla volta e il medicinale viene disciolto e combinato con altri ingredienti per aiutare l'assorbimento nello stomaco. I farmaci stampati in 3D potranno aiutare i genitori offrendo pillole più piccole o più 'attraenti' per i bambini, usando forme o colori diversi. Potranno inoltre assistere persone non vedenti o ipovedenti. "Si potrà cambiare il colore per renderle più identificabili, aggiungere simboli come il sole e la luna per le dosi del mattino e della sera, o stampare in braille sulla pillola per facilitare il riconoscimento. Si potrà facilitare notevolmente il trattamento per il paziente, è un importante passo avanti", scrive Polat. Il ricorso alle stampanti 3D potrà anche essere di particolare beneficio nelle comunità remote, dove vi può essere carenza di medicinali o ritardi di consegne. "Se vi è la possibilità di produrle dove il farmacista può farlo sul posto, si potrà offrire migliore assistenza sanitaria in quelle comunità", aggiunge.  

Vaccinazione COVID-19 durante la gravidanza, nessun aumento del rischio di anomalie congenite

da Doctor33)     L'infezione da SARS-CoV-2 durante la gravidanza è associata a un aumento del rischio di complicazioni e aborto spontaneo, motivo per cui è raccomandata la vaccinazione contro il COVID-19 per le donne. I dati iniziali non hanno mostrato un aumento del rischio di complicazioni legate al vaccino. Un nuovo studio, pubblicato sulle pagine del BMJ, sul rischio di anomalie congenite dopo la vaccinazione durante la gravidanza ne evidenzia ulteriormente la sicurezza. Condotto utilizzando dati provenienti da Svezia, Danimarca e Norvegia, lo studio ha coinvolto quasi 350.000 bambini concepiti tra marzo 2020 e febbraio 2022. L'obiettivo dello studio era valutare il rischio di anomalie congenite correlato all'infezione o alla vaccinazione durante il primo trimestre di gravidanza. L'analisi è stata limitata ai vaccini a mRNA, BNT162b2 di Pfizer-BioNTech e mRNA1273 di Moderna. Del totale dei partecipanti, il 5,2% dei bambini ha presentato una grave anomalia congenita nei 9 mesi successivi alla nascita (516 su 10.000 nati vivi). Durante il primo trimestre di gravidanza, il 3% delle donne ha contratto un'infezione da SARS-CoV-2, ma non è stato identificato un aumento del rischio di anomalie congenite gravi dopo questa infezione. Allo stesso modo, tra i più di 150.000 bambini esposti al vaccino durante la gravidanza, di cui il 20% esposto durante il primo trimestre, non è stato osservato un aumento del rischio di anomalie congenite gravi associato a questa vaccinazione. I risultati sono rimasti invariati anche includendo i decessi neonatali o gli aborti spontanei. Questi dati, coerenti con quelli di studi precedenti, confermano quindi la sicurezza dell'uso del vaccino COVID-19 durante la gravidanza per prevenire l'infezione da SARS-CoV-2, e prevenire le complicazioni in gravidanza. (https://www.bmj.com/content/386/bmj-2024-079364)

La fiducia nei medici è in crisi

(da Univadis)  È finita l’epoca nella quale la parola del medico non veniva in alcun modo messa in discussione. Oggi il rapporto medico-paziente è completamente cambiato e non di rado il medico si trova a dover “convincere” il paziente che ha di fronte la bontà e l’appropriatezza delle sue prescrizioni e indicazioni. È quanto accaduto anche nell’episodio riportato in un articolo del 'New England Journal of Medicine' a cura di Barron H. Lerner della New York University Grossman School of Medicine di New York. L’articolo si apre così: un uomo di 75 anni si è recato dal suo medico di base, che gli ha comunicato che presto sarebbe stato disponibile un nuovo booster di vaccino anti-COVID. “Il paziente ha raccontato al medico che, mentre ascoltava la radio per sentire ‘opinioni opposte’, aveva appreso che era più probabile morire per gli effetti collaterali del vaccino Covid che per la malattia” si legge. Di fronte a queste parole il medico ha riassunto al suo paziente tutti i dati scientifici disponibili sulla sicurezza e l'efficacia della vaccinazione, ma il paziente è comunque rimasto riluttante ad accettare. La competenza e le spiegazioni scientifiche del medico non sono quindi bastate a convincere l’anziano signore a sottoporsi alla vaccinazione. Come mai? Siamo dunque di fronte a una perdita di fiducia nelle capacità del medico e nella sua autorevolezza in ambito di salute? “L’episodio descritto riguarda gli Stati Uniti. In Italia, tutte le indagini demoscopiche rilevano una grande fiducia nel rapporto medico-paziente (anche superiori all’80%), ma al di là di questi numeri in realtà il problema esiste anche nel nostro Paese” spiega Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCEO). “Come Federazione, abbiamo provato ad affrontare questo problema negli ultimi anni, tanto che nel 2018 abbiamo indetto gli Stati Generali partendo proprio dal presupposto di una crisi del medico in questo sistema” aggiunge. Diritti e libertà per un cambiamento rivoluzionario Secondo quanto riportato da Lerner, la crescente sfiducia nella classe medica non arriva dal nulla, ma è il risultato di un processo storico complesso che, negli Stati Uniti, chiama in causa i movimenti sociali degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, legati alla guerra in Vietnam o all’avvento del femminismo. In quegli anni ha preso il via la tendenza a sfidare le istituzioni consolidate, inclusa la medicina tradizionale la quale, accanto a scoperte scientifiche fondamentali (per esempio il vaccino contro la poliomielite o i primi trapianti di cuore), si è “macchiata” di alcuni comportamenti poco etici. Tra gli esempi più noti, lo studio sulla sifilide di Tuskegee, in cui i ricercatori del Servizio Sanitario Pubblico statunitense hanno deliberatamente negato cure mediche a uomini afroamericani per studiare gli effetti della malattia, o l’atteggiamento paternalistico dei medici che spesso ricorrevano alla mastectomia radicale pur senza prove a sostegno della sua necessità. Con l’epidemia di AIDS, inoltre, molti attivisti hanno acquisito una grande competenza “laica” che ha portato a battaglie per sperimentazioni e terapie innovative e più accessibili. “Abbiamo vissuto un'epoca nella quale ai medici si insegnava che il loro giudizio sostanzialmente non si poteva mettere in dubbio” afferma Anelli. “Oggi stiamo vivendo un cambio epocale che vede il passaggio dal paternalismo all'alleanza terapeutica tra medico e paziente. Il medico deve trovare una collocazione in questa ‘società diritti’ per giungere a quella che è la ‘democrazia del bene’, nella quale il medico garantisce il bene dei cittadini” aggiunge. Come ricorda il presidente FNOMCEO, questo passaggio rivoluzionario è in qualche modo sancito dalla Costituzione italiana che mette al centro il diritto alla salute dei cittadini e li accosta alla libertà di scegliere ciò che è meglio per loro. Il medico di domani “Noi medici vogliamo collocarci all'interno di questa società come professionisti che mettono le loro competenze a disposizione del cittadino perché acceda ai suoi diritti legittimi contraddicendo quello che era il paternalismo, verso una decisione condivisa” precisa Anelli. “Pensiamo solo all’appropriatezza prescrittiva: a volte il trattamento ‘migliore’ dal punto di vista scientifico non è il migliore per quello specifico paziente” spiega. E in questi casi spetta al medico proporre un’alternativa (se disponibile) cercando di comprendere le esigenze del suo paziente e puntando quindi a curare la persona e non solo la sua malattia. Per arrivare a questo tipo di rapporto serve, in primo luogo, un atteggiamento non giudicante da parte del medico, ma serve anche tempo. “Una visita di 10 minuti non è quasi mai sufficiente a comprendere davvero cosa si nasconde dietro un sintomo all’apparenza banale” aggiunge Anelli, che ricorda anche l’importanza della comunicazione. “Il tempo di comunicazione è tempo di cura, lo dice anche la legge 219 del 2017” afferma. Non è un caso che la Federazione sia impegnata in numerosi progetti per migliorare la comunicazione medico-paziente e mettere al riparo i cittadini dalle fake news, partendo dai corsi di insegnamento nelle facoltà di medicina e passando inevitabilmente per internet e social media. Un esempio su tutti il portale “Dottore, ma è vero che?” a cura di FNOMCEO e dedicato proprio a fare chiarezza su alcune delle fake news mediche più diffuse. Ultimo ma non certo meno importante è il discorso del conflitto di interesse e dell’etica professionale. FNOMCEO sta lavorando al codice di deontologia medica, per descrivere al meglio la figura del medico di domani e il suo ruolo nella società. Ma che fine ha fatto il paziente riluttante alla vaccinazione anti-COVID? Attraverso una conversazione non giudicante e l'ascolto attivo, il medico è riuscito a far emergere una riflessione più profonda nel paziente, che alla fine ha deciso di accettare il vaccino, pur mantenendo un certo grado di scetticismo. In un certo senso, un lieto fine in favore della scienza e del buon rapporto tra medico e paziente.

Lancet quantifica l’impatto della pandemia su mortalità globale e speranza di vita

(da Doctor33)    Secondo il Global Burden of Disease Study 2021, appena pubblicato da un gruppo di esperti sotto la direzione di Eve Wool e Christopher Murray dell'Institute for Health Metrics and Evaluation dell'Università di Washington a Seattle (USA), nel periodo tra il 1990 e il 2021 la pandemia di COVID-19 ha modificato profondamente l’andamento della mortalità globale e della speranza di vita. Lo studio, pubblicato sulla rivista The Lancet, evidenzia l'incremento significativo della mortalità legato al COVID-19, che ha alterato la classifica delle principali cause di morte a livello globale, posizionandosi come la seconda causa di morte più frequente nel 2021 con 94,0 decessi per 100.000 abitanti. Nonostante una tendenza generale all'aumento della speranza di vita tra il 1990 e il 2019, si è registrato un calo netto di 1,6 anni tra il 2019 e il 2021, dovuto principalmente ai decessi attribuibili a COVID-19 e altre cause connesse alla pandemia. In particolare, il tasso di mortalità standardizzato per età da COVID-19 nel 2021 è stato il più elevato in Africa subsahariana e America Latina e Caraibi, rispettivamente con 271,0 e 195,4 decessi per 100.000 abitanti. La variazione regionale nella speranza di vita è stata notevole, con l'Asia sudorientale, est asiatica e Oceania che ha registrato l'aumento maggiore di speranza di vita dal 1990 e la riduzione più modesta dovuta a COVID-19, pari solo a 0,4 anni. Lo studio ha utilizzato il modello Cause of Death Ensemble (CODEm) per stimare le morti specifiche per causa, integrando i dati da 56.604 fonti diverse, tra cui registrazioni vitali e autopsie. Nonostante gli approcci metodologici avanzati, gli autori segnalano limitazioni legate alla disponibilità e qualità dei dati in alcune regioni, che potrebbero influenzare la precisione delle stime di mortalità. “La pandemia di COVID-19 ha alterato profondamente i pattern di mortalità globale” commentano Wool e colleghi. “Questi dati non solo mettono in luce l'urgenza di strategie sanitarie mirate per combattere il COVID-19 e altre patologie gravi, ma offrono anche una base cruciale per migliorare le politiche sanitarie a livello globale”. Lo studio mette in luce come, nonostante i progressi compiuti in varie aree della salute globale nel corso degli anni, eventi pandemici come quello di COVID-19 possano rapidamente invertire i trend positivi, incidendo drasticamente sulla mortalità e sulla speranza di vita a livello globale. Il lavoro sottolinea l'importanza di una preparazione efficace e di risposte sanitarie coordinate a livello internazionale per fronteggiare future emergenze di salute pubblica. Infine, le evidenze presentate nel documento supportano l'urgenza di investimenti continui nella ricerca e nello sviluppo di sistemi sanitari che siano non solo capaci di gestire le malattie esistenti ma anche di adattarsi rapidamente a nuove minacce. (Lancet 2024. Doi: 10.1016/S0140-6736(24)00367-2   https://doi.org/10.1016/S0140-6736(24)00367-2)

Meno casi di infarto e ictus dopo il vaccino Covid

(da DottNet)   L’incidenza di attacchi cardiaci e ictus era più bassa dopo la vaccinazione COVID-19, rispetto a prima o senza vaccinazione. Lo rivela una ricerca, condotta dalle Università di Cambridge, Bristol e Edimburgo e realizzata dal British Heart Foundation, BHF, Data Science Centre presso Health Data Research UK, riportata su 'Nature Communcations'. Lo studio ha preso in esame le cartelle cliniche anonime di 46 milioni di adulti in Inghilterra, tra l’8 dicembre 2020 e il 23 gennaio 2022. Gli scienziati hanno confrontato l’incidenza delle malattie cardiovascolari dopo la vaccinazione con l’incidenza prima o senza vaccinazione, durante i primi due anni del programma di vaccinazione. Lo studio ha dimostrato che l’incidenza delle trombosi arteriose, come infarti e ictus, era fino al 10% più bassa fra le 13 e 24 settimane successive alla prima dose di vaccino COVID-19. Dopo la seconda dose, l’incidenza è risultata inferiore fino al 27% dopo aver ricevuto il vaccino di AstraZeneca e fino al 20% dopo il vaccino di Pfizer/Biotech. L’incidenza di eventi trombotici venosi comuni, soprattutto embolia polmonare e trombosi venosa profonda degli arti inferiori, ha seguito un andamento simile. “Abbiamo studiato i vaccini COVID-19 e le malattie cardiovascolari in quasi 46 milioni di adulti in Inghilterra e abbiamo riscontrato una minore incidenza di malattie cardiovascolari comuni, come infarti e ictus, in seguito a ciascuna vaccinazione rispetto a prima o senza vaccinazione”, ha detto Samantha Ip, ricercatrice associata presso l’Università di Cambridge e coautrice dello studio. “Questa ricerca supporta ulteriormente l’ampio numero di prove sull’efficacia del programma di vaccinazione COVID-19, che ha dimostrato di fornire protezione contro il COVID-19 grave e ha salvato milioni di vite in tutto il mondo”, ha continuato Ip. Ricerche precedenti hanno rilevato che l’incidenza di rare complicazioni cardiovascolari è più elevata dopo alcuni vaccini COVID-19. Ad esempio, sono state segnalate incidenze di miocardite e pericardite in seguito a vaccini a base di mRNA, come il vaccino Pfizer/Biotech, e di trombocitopenia indotta da vaccino in seguito a vaccini a base di adenovirus, come il vaccino AstraZeneca. Questo studio conferma questi risultati, ma soprattutto non ha identificato nuove condizioni cardiovascolari avverse associate alla vaccinazione COVID-19 e offre un’ulteriore rassicurazione sul fatto che i benefici della vaccinazione superano i rischi. L’incidenza di malattie cardiovascolari è maggiore dopo la vaccinazione COVID-19, soprattutto nei casi più gravi. Questo potrebbe spiegare perché l’incidenza di infarti e ictus è inferiore nelle persone vaccinate rispetto a quelle non vaccinate, ma ulteriori spiegazioni esulano dallo scopo dello studio. “Il programma di vaccinazione COVID-19 è iniziato con forza nel Regno Unito, con oltre il 90% della popolazione di età superiore ai 12 anni vaccinata con almeno una dose entro gennaio 2022”, ha spiegato William Whiteley, direttore associato del BHF Data Science Centre e professore di neurologia ed epidemiologia all’Università di Edimburgo. “Questo studio condotto in tutta l’Inghilterra rassicura i pazienti sulla sicurezza cardiovascolare della prima, seconda e terza dose di vaccino COVID-19, dimostrando che i benefici della seconda dose di vaccino COVID-19 sono stati riscontrati anche in Italia”, ha osservato Whiteley. “La ricerca dimostra che i benefici della seconda dose e di quella di richiamo, con un minor numero di eventi cardiovascolari comuni, tra cui infarti e ictus, dopo la vaccinazione, superano le complicanze cardiovascolari molto rare”, ha precisato Whiteley. “Dato il ruolo importante dei vaccini COVID-19 nel proteggere le persone dal COVID-19, è necessario continuare a studiare i benefici e i rischi ad essi associati”, ha affermato Venexia Walker, ricercatrice presso l’Università di Bristol e coautrice del lavoro. “La disponibilità di dati a livello di popolazione ci ha permesso di studiare diverse combinazioni di vaccini COVID-19 e di considerare rare complicazioni cardiovascolari”, ha aggiunto Walker. “Questo non sarebbe stato possibile senza i dati molto ampi a cui abbiamo avuto il privilegio di accedere e senza la nostra stretta collaborazione interistituzionale”.

I pesticidi sono cancerogeni quanto il fumo

(da AGI)  Le sostanze chimiche utilizzate come pesticidi possono avere effetti negativi sulla vita vegetale e animale, causando esiti cancerogeni con percentuali simili a quanto rilevato per il fumo. Questo allarmante risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista 'Frontiers in Cancer Control and Society', condotto dagli scienziati della Rocky Vista University, e del College of Osteopathic Medicine in Colorado. Il team, guidato da Isain Zapata, ha confrontato l''aumento del rischio di cancro dovuto all''uso di pesticidi con quello associato all''abitudine del fumo. Nell''agricoltura moderna, diverse sostanze chimiche vengono usate per garantire raccolti sufficientemente elevati e sicurezza alimentare. Nonostante ciò, questi prodotti possono provocare serie conseguenze sulla salute umana. Gli autori hanno scoperto che l''impatto derivante dall''uso di pesticidi potrebbe rivaleggiare con quello del fumo, specialmente per alcune forme di cancro. L''associazione più forte è emersa in caso di linfoma non-Hopkins, leucemia e cancro alla vescica. "Alcuni tumori - sostiene Zapata - sembrano essere particolarmente correlati all''esposizione ai pesticidi. Ad ogni modo, il nostro lavoro suggerisce che è la combinazione dell''uso di diverse sostanze, piuttosto che un singolo prodotto, a influenzare negativamente la salute". Il gruppo di ricerca ha valutato 69 pesticidi di cui lo United States Geological Survey aveva raccolto i dati di utilizzo. "Generalmente - aggiunge l''esperto - le persone vengono esposte a un cocktail di pesticidi piuttosto che una singola sostanza. È difficile spiegare l''entità di un problema senza presentare alcun contesto, quindi abbiamo incorporato i dati sul fumo. Siamo rimasti sorpresi nel vedere stime in intervalli simili". I ricercatori hanno scoperto che l''impatto del fumo e dei pesticidi variava notevolmente in base alle coordinate geografiche. Nelle regioni in cui si coltivano più raccolti, come il Midwest, famoso per la produzione di mais, le associazioni tra pesticidi e incidenza del cancro erano più evidenti. "Il nostro obiettivo - sostiene Zapata - è quello di sensibilizzare il pubblico sui problemi che l''uso dei pesticidi pone in un contesto più ampio. Quando compriamo del cibo, dovremmo pensare alla filiera con cui raggiungono gli scaffali dei supermercati. Sapere che alcune persone rischiano la propria salute per coltivare determinate specie vegetali potrebbe anche facilitare la riduzione di sprechi".

Il sonno migliora grazie all’esercizio fisico serale

(da Univadis)    Bastano 3 minuti di attività fisica serale ogni mezz’ora per guadagnare quasi trenta minuti di sonno. È quanto emerge da uno studio recentemente pubblicato su 'BMJ Open Sport & Exercise Medicine' dai ricercatori guidati da Jennifer T Gale dell’Università di Otago, in Nuova Zelanda.

“Un sonno insufficiente è stato associato a un aumento del rischio di problemi cardiometabolici, incluso anche il diabete di tipo 2” spiegano gli autori. “Alti livelli di attività fisica durante il giorno in genere migliorano il sonno, ma le attuali raccomandazioni sconsigliano l'esercizio fisico ad alta intensità prima di andare a letto perché l'innalzamento della temperatura corporea e della frequenza cardiaca indotti dall'esercizio fisico potrebbero determinare una peggiore qualità del sonno” aggiungono Gale e colleghi ricordando che attualmente non sono disponibili dati sull'impatto dell'interruzione della sedentarietà serale con brevi esercizi di resistenza sulla qualità e la durata del sonno.

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Una dieta sana e povera di zuccheri potrebbe avere effetti antiaging

(da DottNet)   Una dieta ricca di vitamine e sali minerali ma povera di zuccheri potrebbe avere effetti anti-aging, Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Jama Network Open e condotto presso l'Università di San Francisco. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti raccomanda agli adulti di consumare non più di 50 grammi di zucchero aggiunto al giorno. I ricercatori hanno esaminato come tre diversi tipi di alimentazione influenzassero l'esito di un test biochimico usato per stimare la salute di un individuo e l'età del suo corpo (biologica) e hanno scoperto che migliori erano le abitudini alimentari (ovvero maggiore il contenuto in vitamine A, C, B12 ed E, acido folico, selenio, magnesio, fibre alimentari e isoflavoni, minore il consumo di zuccheri aggiunti nella dieta) delle persone, più le cellule del loro corpo sembravano giovani. Inoltre, a parità di dieta sana, ogni grammo di zucchero in più consumato si collegava a un aumento dell'età biologica. Lo studio è uno dei primi a mostrare un legame tra lo zucchero aggiunto e l'invecchiamento del corpo, nonché il primo a coinvolgere persone di mezza età di varie etnie. "Lo studio approfondisce la nostra comprensione del perché lo zucchero sia così dannoso per la salute, sottolinea la co-autrice senior Elissa Epel. "Sapevamo che alti livelli di zuccheri aggiunti sono collegati a un peggioramento della salute metabolica e a malattie precoci, forse più di qualsiasi altro fattore alimentare", continua Epel. "Ora sappiamo che l'invecchiamento accelerato delle cellule è alla base di questa relazione, e questo è probabilmente uno dei tanti modi in cui un eccessivo consumo di zucchero limita una longevità sana. Dato che i pattern di invecchiamento cellulare sembrano essere reversibili, potrebbe essere che eliminare 10 grammi di zucchero aggiunto al giorno sia come riavvolgere l'orologio biologico di 2,4 mesi, se la diminuzione del consumo è mantenuta nel tempo", sottolinea la co-autrice senior Barbara Laraia, della UC Berkeley. "Concentrarsi su alimenti ricchi di nutrienti chiave e poveri di zucchero aggiunto potrebbe essere un nuovo modo per motivare le persone a mangiare bene per vivere più a lungo", conclude.

Adolescenti, social media e rischio depressione

(da Univadis)  L’uso dei social media non ha lo stesso impatto su tutti gli adolescenti. A dirlo è uno studio americano in cui quasi 500 ragazzi sono stati seguiti per 8 anni. Gli autori della ricerca, pubblicata sul 'Journal of Adolescence', hanno identificato alcuni fattori che influenzano l’effetto dei social sulla salute mentale in questa fase delicata della crescita. È un’informazione che può aiutare medici, famiglie e scuole a intercettare tempestivamente i soggetti a rischio e a intervenire nel modo più efficace. Un’analisi incentrata sulla persona     I ricercatori della Brigham Young University hanno preso in esame 488 partecipanti al Flourishing Families Project, uno studio longitudinale sull’adolescenza, che avevano circa 13 anni all’arruolamento. Tra i dati raccolti vi era il tempo di utilizzo quotidiano dei social media (autoriferito). L’uso dei media è stato messo in relazione con la traiettoria della depressione nel follow-up.    I ricercatori hanno identificato cinque gruppi di adolescenti: classe dei maschi ad alto rischio, classe delle femmine ad alto rischio, classe a rischio moderato, classe a rischio basso, classe a rischio molto basso. A caratterizzare ogni classe erano alcune caratteristiche personali e ambientali, che potevano rappresentare fattori protettivi o di rischio: per esempio, il calore materno era un fattore protettivo, mentre un atteggiamento ostile da parte del genitore era un fattore predisponente. In estrema sintesi, l’uso dei social media si associava a un aumento della depressione per gli adolescenti che sperimentavano genitorialità ostile, bullismo da parte dei pari, ansia, elevata reattività ai fattori di stress e basso controllo dei media da parte dei genitori. Intervenire dove serve       Nell’articolo vengono proposti alcuni interventi personalizzati per ciascuna classe. Per esempio, è emerso che le femmine ad alto rischio raramente discutevano dei contenuti fruiti con i genitori e che questi ultimi non stabilivano limiti all’utilizzo dei social, il che aumentava la probabilità che il tempo passato sui media potesse essere dannoso.   “Un intervento per le femmine ad alto rischio potrebbe essere aiutare i genitori a imparare a interagire con i propri figli per diventare consumatori sani dei media” suggeriscono gli autori. “Ciò può essere particolarmente importante dato che le adolescenti di questo gruppo hanno un livello di ansia più elevato e possono essere più suscettibili quando interagiscono con i social media: anche pochi incidenti negativi sui social media possono avere un impatto enorme, inducendole a rimuginare su tali eventi per lunghi periodi di tempo”.

Accademia di Medicina Tradizionale Cinese a Forlì

Riceviamo e volentieri pubblichiamo L’Accademia di medicina cinese si è recentemente trasferita da Bologna  a Forlì, come è stato riferito da il Resto del Carlino del 25 luglio. La sede si trova presso il poliambulatorio Kripton, dove si svolgono le lezioni frontali e la didattica ambulatoriale. I corsi triennali sono aperti solo ai medici. Caratteristica distintiva della nostra scuola è la possibilità di frequentare gli ambulatori didattici in piccoli gruppi di 2-3 colleghi. Poter contattare direttamente casi clinici reali rende l’apprendimento più rapido ed efficace. Non si tratta di acquisire solamente una tecnica terapeutica, ma una vera e propria medicina, non alternativa ma perfettamente integrabile nell’ambito della medicina moderna. Lo dimostrano le esperienze ospedaliere portate avanti nei centri di analgesia di Forli, Cesena e Rimini dal momento che l’agopuntura è entrata nei LEA regionali. Tali centri vedono come protagonisti nostri allievi, che continuano a mantenere un costante contatto con la nostra scuola. Si tratta di una medicina caratterizzata da un procedimento diagnostico che ha, come prospettiva, la globalità della persona (“si cura il malato, non la malattia”). La terapia si basa sull’impiego dell’agopuntura e della fitoterapia; quest’ultima, molto praticata in Cina, viene particolarmente proposta dalla nostra scuola, perché sorprendentemente efficace anche in alcune patologie organiche, come l’endometriosi, la colite ulcerosa, il morbo di Crohn, sempre rispettando i canoni della medicina moderna. In linea di massima l’agopuntura, coadiuvata dalla fitoterapia nei casi più difficili, trova la sua applicazione nell’ambito delle cefalee, sia emicraniche sia muscolo-tensive, nelle sindromi reumatiche, nelle lombalgie, nelle patologie definite come psicosomatiche e funzionali, nell’incremento delle difese immunitarie. Cerco di convincere tutti gli interessati che la medicina cinese è accessibile tramite una didattica semplice e razionale. Mantengo vivo lo scopo di continuare a formare medici esperti in materia perché questo patrimonio culturale non vada perso, ma sempre più diffuso e valorizzato. Propongo, quindi, ai colleghi desiderosi di apprendere questa medicina la possibilità di un salto qualitativo culturale, un arricchimento graduale ma entusiasmante della propria professionalità. L’invito è particolarmente rivolto ai colleghi del nostro Ordine. Giorgio Di Concetto giorgio.diconcetto@libero.it        

Studio medico associato, le spese comuni per la gestione dell’attività sono esenti Iva

(da DottNet)    Il riaddebito delle spese comuni sostenute da un’associazione di medici per la gestione dell’attività, come quelle relative all’assicurazione, manutenzione, pulizia, segreteria, può beneficiare del regime di esenzione dall'Iva (articolo 10, comma 2 del Dpr n. 633/1972). È in sintesi il chiarimento fornito dall’Agenzia con la risposta n.61 del 26 luglio 2024. Lo riporta il sito Fisco Oggi. L’associazione istante è composta da quattro medici di medicina generale che operano nell'ambito della “assistenza primaria”, all'interno dello stesso territorio e non svolgono attività di “libera professione strutturata” per un orario superiore a cinque ore settimanali. La forma associativa da loro assunta è disciplinata dall'articolo 40 del Dpr 270/2000 e dall'accordo collettivo nazionale della medicina generale del 22 marzo 2005. Chiede quindi se può fruire dell’esenzione Iva per le spese sostenute per la gestione comune, nel momento in cui saranno ripartite pro quota. L’Agenzia ricorda la norma che prevede l’esenzione Iva per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dei consorziati o soci da consorzi, incluse le società consortili e le cooperative con funzioni consortili (articolo 10, comma 2, Dpr n. 633/1972). La misura di favore è stata emanata in recepimento della direttiva comunitaria che ha introdotto l’esenzione Iva per “le prestazioni di servizi effettuate da associazioni autonome di persone che esercitano un'attività esente o per la quale non hanno la qualità di soggetti passivi, al fine di rendere ai loro membri i servizi direttamente necessari all'esercizio di tale attività, quando tali associazioni si limitano ad esigere dai loro membri l'esatto rimborso della parte delle spese comuni loro spettante, a condizione che questa esenzione non possa provocare distorsioni della concorrenza” (direttiva 2006/211/CE). La norma comunitaria, in pratica, vuole evitare che i soggetti che svolgono attività esenti, siano penalizzati dall'indetraibilità dell'Iva assolta sugli acquisti necessari alla gestione del loro lavoro. La normativa interna, quindi, ha espressamente tutelato i consorzi (costituiti anche in forma societaria) e le cooperative con funzioni consortili ritenendole strutture associative assimilabili alle generiche “associazioni autonome di persone” individuate dalla norma comunitaria. Per quanto riguardala prassi, l’Agenzia ricorda la circolare n. 23/2009 che ha equiparato al consorzio le “organizzazioni di origine comunitaria aventi finalità analoghe, quali i gruppi economici di interesse europeo (GEIE)…”. Stessa linea interpretativa, inoltre, con la risoluzione n. 30/2012 sulle società cooperative costituite fra soggetti esercenti l'attività sanitaria, in cui viene precisato che per l’esenzione non è rilevante la forma giuridica assunta dalla struttura associativa, ma l'oggetto sociale. Secondo la stessa risoluzione poi il fatto che l'articolo 10, comma 2, del decreto Iva citato si riferisca alle sole strutture associative di tipo consortile, non può costituire una scriminante rispetto ad altri schemi associativi autonomi costituiti per rendere dei servizi comuni agli associati, funzionali alla loro attività. Alla luce del quadro normativo delineato (comunitario e interno) e dei chiarimenti forniti della prassi, l’Agenzia ritiene che la misura di favore stabilita per i consorzi possa valere anche per l’associazione di medici istante. Di conseguenza la ripartizione delle spese di gestione comuni, necessarie allo svolgimento dell’attività, non sarà assoggettata all’Iva. Risposta n. 161_2024

Oblio oncologico. In GU le modalità e forme per la certificazione della sussistenza dei requisiti necessari per la richiesta

(da Quotidiano Sanità)  Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 luglio 2024 il Decreto del Ministero della Salute 5 luglio 2024 recante "Disciplina delle modalità e delle forme per la certificazione della sussistenza dei requisiti necessari ai fini della normativa sull'oblio oncologico".

Nel testo all'articolo 1 si spiega che ai fini dell'applicazione delle disposizioni della legge 7 dicembre 2023, n. 193, il soggetto interessato, già paziente oncologico, debba presentare istanza, eventualmente corredata dalla relativa documentazione medica, di rilascio del certificato che attesta l'avvenuto "oblio oncologico".

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