Coronavirus, corso in tre moduli per aggiornamento medici e infermieri
Cordoglio per la scomparsa del Prof. Amadori Dino
LE SERATE DELL’ORDINE . RINVIO INCONTRO DI AGGIORNAMENTO DEL 27 FEBBRAIO 2020
Coronavirus: ecco le linee guida per la Medicina Generale
Coronavirus: ecco le linee guida per gli Odontoiatri
Restare ottimisti per vivere fino alla vecchiaia
(da Univadis) L’analisi retrospettiva dei dati di due studi di coorte americani (>70.000 partecipanti, monitorati per 10-30 anni) ha notato, dopo la correzione per fattori multipli (condizioni di salute, stile di vita, fattori socio-demografici), una forte correlazione positiva, corretta per gradiente dose-effetto, tra il livello di ottimismo dei partecipanti, valutato utilizzando strumenti psicometrici convalidati, e la loro longevità. La probabilità di vivere ≥ 85 anni era del 50% (donne) fino al 75% (uomini) superiore tra i partecipanti più ottimisti, rispetto ai meno ottimisti.
(Optimism is associated with exceptional longevity in 2 epidemiologic cohorts of men and women https://www.pnas.org/content/116/37/18357)
Nuovo coronavirus: Decalogo Iss e Ministero con Regioni, Ordini professionali e società scientifiche
Il poster e il pieghevole con il decalogo sono stati messi a punto, per informare correttamente i cittadini, dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dal Ministero della salute ed hanno raccolto l’adesione degli ordini professionali medici e delle principali società scientifiche e associazioni professionali, oltre che della Conferenza Stato Regioni. In dieci punti sono state riunite le principali indicazioni di prevenzione contro il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 e le più frequenti fake news circolanti, puntualmente smentite. Chiunque desideri scaricare il decalogo, e/o diffonderlo sui social o “fisicamente” sotto forma di poster o pieghevole, può farlo attraverso i siti dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute. “L’impegno per prevenire l’epidemia da Sars-Cov-2 passa anche attraverso i comportamenti, che devono essere basati su informazioni corrette. Oggi il virus non circola nel nostro paese, ma seguire le misure raccomandate, a partire dal lavaggio delle mani, ci aiuta a prevenire questa e anche altre patologie infettive – ha commentato il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro -. Questo ‘decalogo’ rappresenta anche un bell’esempio di come istituzioni e professionisti garantiscano risposte unitarie ad una possibile minaccia per la nostra salute”. All’iniziativa hanno aderito Conferenza Stato Regioni, FNOMCEO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche), FOFI (Federazione Ordini farmacisti Italiani), FNOVI (Federazione Nazionale Ordini. Veterinari Italiani), CARD (Confederazione Associazioni Regionali di Distretto), FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti), SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera), SIM (Società Italiana di Microbiologia), SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), SIMPIOS (Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie), SITI (Società Italia di Igiene e Medicina Preventiva), FIMMG (Federazione Italiana Medici di Famiglia), SIMMG (Società Italiana di Medicina Generale), ANMDO (Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere), AMCLI (Associazione Microbiologi Clinici Italiani), FEDERFARMA (Federazione nazionale dei titolari di farmacia italiani).
Restare ottimisti per vivere fino alla vecchiaia
Capire le procedure, il primo step per condividere le scelte di cura
(da M.D.Digital) Oltre il 40% dei pazienti inclusi nello studio ha riconosciuto di non comprendere o di non ricordare le informazioni ricevute prima della PCI, l'intervento più comune eseguito nei paesi ad alto e medio reddito. Il consenso informato, cioè fornire dettagli su una procedura, inclusi rischi e benefici, è un requisito legale ed etico. I pazienti dovrebbero ricevere informazioni sufficienti relativi alle diverse opzioni disponibili in modo da fare una scelta consapevole e priva di costrizioni. Gli operatori sanitari devono inoltre confermare che il paziente ha la capacità sufficiente per decidere in quel momento.Circa il 60% dei pazienti con malattia coronarica sottoposti a PCI elettiva per ricanalizzare un'arteria ha pensato che la procedura avrebbe curato la coronaropatia. Quasi tutti i pazienti (95%) credevano che avrebbe ridotto il rischio di un futuro infarto e il 91% pensava che avrebbe prolungato la durata della vita. Ciò in aperto contrasto con le finalità del procedimento, in quanto la PCI elettiva è indicata principalmente per il sollievo dei sintomi, sottolinea l’autore dello studio. Aggiungendo anche che i servizi sanitari dovrebbero essere riconfigurati per consentire tempo sufficiente ai pazienti e ai medici per discutere il trattamento proposto e le potenziali alternative. Il paziente spesso riceve tutte le informazioni contemporaneamente. Si sente quindi sovraccarico, il che contribuisce a far dimenticare o non comprendere ciò che ascoltano. Quasi la metà (47%) avrebbe gradito la presenza di un familiare nel momento in cui venivano fornite le spiegazioni sul trattamento offerto. Quasi un terzo (31%) dei pazienti dello studio necessitava di un certo grado di aiuto per comprendere le informazioni scritte relative alla salute. L'alfabetizzazione sanitaria, aggiunge ancora l’autore, è una questione trascurata. Il materiale informativo dovrebbe adottare un linguaggio semplice. Inoltre, i medici dovrebbero chiedere ai pazienti se hanno bisogno di aiuto per leggere o comprendere le informazioni fornite. Lo studio sottolinea la necessità per i pazienti e per gli operatori sanitari di lavorare insieme con l’obiettivo di sviluppare e valutare nuovi approcci mirati alla condivisione delle informazioni e del processo decisionale. L’autore raccomanda che cardiologi e infermieri ricevano una formazione in modo da interloquire con il paziente fornendo frammenti di informazioni e quindi chiedendo ai pazienti di spiegarli con parole proprie per definire quanto è stato compreso sull’argomento. È ovvio che tale sistema di procedere necessita di tempo, motivo per cui i percorsi dei pazienti dovrebbero essere configurati in tal senso. Le linee guida ESC sulle procedure di rivascolarizzazione sottolineano come la partecipazione attiva dei pazienti al processo decisionale dovrebbe essere incoraggiata, in cui è essenziale l’utilizzo di una terminologia che il paziente comprende, in modo che rischi e benefici vengano discussi a fondo e chiariti.
(Astin F, et al. Cardiologists’ and patients’ views about the informed consent process and their understanding of the anticipated treatment benefits of coronary angioplasty: a survey study. Eur J Cardiovasc Nurs 2019: doi:10.1177/1474515119879050)
(Neumann FJ, et al. 2018 ESC/EACTS Guidelines on myocardial revascularization. Eur Heart J 2019; 40: 87-165. doi:10.1093/eurheartj/ehy394)
Per il controllo metabolico, telemedicina e visita medica hanno efficacia sovrapponibile
(da Doctor33) Tra i pazienti con diabete di tipo 1 (DM1) che hanno un controllo glicemico subottimale, sostituire una visita di controllo dal medico con una sessione di telemedicina non influisce sulla prognosi, almeno secondo quanto conclude uno studio pubblicato su 'Diabetes Care'. Per giungere a queste conclusioni Maria Ruiz de Adana, dell'Ospedale regionale universitario di Malaga in Spagna, e colleghi hanno assegnato in modo casuale 379 pazienti con DM1 e valori di emoglobina glicata [HbA1c] inferiori a 8% a uno dei seguenti trattamenti: tre visite mediche di controllo svolte faccia a faccia con il medico (gruppo di controllo, 167 pazienti); sostituzione di una delle visite con una sessione di telemedicina (gruppo di studio; 163 pazienti). «Le prime esperienze di telemedicina sono iniziate negli anni sessanta in campo radiologico e dermatologico per la trasmissione di immagini e, successivamente, in ambito pneumologico per la trasmissione di reperti auscultatori toracici. In diabetologia la telemedicina è stata impiegata a partire dagli anni Ottanta dopo l'introduzione dell'autocontrollo nella pratica clinica, e rappresenta un mezzo efficace ed economico per seguire pazienti con diabete mellito altamente motivati» spiegano gli autori, che hanno valutato le variazioni medie dei livelli di HbA1c dal basale al sesto mese di follow-up, oltre ad alcuni altri parametri di efficacia e sicurezza. Così facendo hanno scoperto al sesto mese una riduzione media dei livelli di HbA1c di 0,04 punti percentuali nel gruppo di controllo e 0,01 nei pazienti seguiti anche con la telemedicina. Nei due gruppi, il numero di persone che hanno raggiunto valori di HbA1c inferiori a 7% è stato rispettivamente di 73 e 78, senza significative differenze per quanto riguarda gli endpoint di sicurezza. «Infine, non sono state osservate differenze di rilievo nei cambiamenti nella qualità della vita correlata allo stato di salute dalla prima visita a quella di fine studio. E anche le differenze rispetto alla paura dell'ipoglicemia sono rimaste invariate» conclude Ruiz de Adana.
(Diabetes Care 2020. Doi: 10.2337/dc19-0739 https://doi.org/10.2337/dc19-0739)
Demenza: assolte dieta povera e inattività, il responsabile è l’obesità
(da M.D.Digital) Un ampio studio che ha seguito più di un milione di donne per quasi due decenni ha scoperto che l'obesità nella mezza età è collegata a un maggior rischio di demenza in futuro. Al contrario, la cattiva alimentazione e la mancanza di esercizio fisico sarebbero assolte. Alcuni studi precedenti avevano suggerito che una dieta povera o la mancanza di esercizio fisico aumenterebbero il rischio di demenza, ha illustrato l’autrice, tuttavia, questi nuovi risultati sembrano dimostrare che questi fattori sono privi di collegamento con il rischio a lungo termine di demenza. Le associazioni a breve termine tra questi fattori e il rischio di demenza probabilmente riflettono i cambiamenti nel comportamento, come mangiare male ed essere inattivi, che sono tra i primi sintomi di demenza. Il nuovo studio, pubblicato su Neurology, ha coinvolto circa 1.137.000 donne, con un'età media di 56 anni e non presentavano segni di demenza all'inizio dello studio. Sono stati raccolti dati su altezza, peso, dieta ed esercizio fisico. Secondo i criteri dello studio un BMI tra 20 e 25 era considerato desiderabile e un BMI di 30 o superiore era indice di obesità; le donne che facevano esercizio fisico meno di una volta alla settimana sono state considerate inattive; la dieta abituale delle donne è stata utilizzata per calcolare l'apporto calorico. Le donne incluse nello studio sono state seguite per una media di 18 anni. Dopo 15 anni dall'inizio dello studio, a 18.695 donne è stata diagnosticata la demenza. Dopo adeguamento dei risultati per età, istruzione, fumo e molti altri fattori è emerso che le donne che al basale erano obese avevano, a lungo termine, un rischio maggiore di demenza del 21% rispetto alle donne con un BMI desiderabile. Tra le donne obese, nel 2.1% dei casi (3.948 su 177.991 donne), è stata diagnosticata la demenza. A confronto invece nelle donne con BMI desiderabile la percentuale di casi di demenza è risultata dell'1.6% delle donne (7.248 su 434.923 donne). Mentre l'assunzione di calorie basse e l'inattività sono state associate a un rischio più elevato di demenza durante i primi 10 anni di studio, queste associazioni si sono indebolite in modo sostanziale e, dopo 15 anni, nessuna delle due era fortemente legata al rischio di demenza. Altri studi hanno dimostrato che le persone diventano inattive e perdono peso fino a un decennio prima che venga diagnosticata la demenza, ha illustrato l’autrice, aggiungendo che i legami a breve termine tra demenza, inattività e basso apporto calorico sono probabilmente il risultato dei primi segni della malattia, prima che i sintomi inizino a manifestarsi. L'obesità nella mezza età ha un collegamento con la comparsa di demenza a distanza di 15 anni o più: l'obesità è un ben noto fattore di rischio per la malattia cerebrovascolare patologia in grado di contribuire in maniera significativa all’insorgere della demenza. Poiché lo studio è stato condotto su una popolazione femminile, rimane ancora da stabilire se il medesimo nesso è valido anche per gli uomini.
(Floud S, et al. Body mass index, diet, physical inactivity, and the incidence of dementia in 1 million UK women. Neurology 2020; 94: e123-e132. doi: 10.1212/WNL.0000000000008779)
Indagine civica “Il giusto ritmo del cuore”
Concorso Letterario dell’Ordine: la 5a edizione si apre ai colleghi di Ravenna e Rimini
Violenze contro medici, da Cassa Galeno arriva fondo vittime
(da Adnkronos Salute) Un fondo per supportare i medici vittime di aggressioni. È stato messo a disposizione da Cassa Galeno, la società mutua cooperativa e fondo sanitario integrativo dei medici e degli odontoiatri. "Solo nel 2019 in Italia sono state circa 1.200 le violenze denunciate dagli operatori sanitari, come ci racconta il 'Dossier violenza' realizzato da Fimmg continuità assistenziale - ha affermato Aristide Missiroli, presidente di Cassa Galeno - Parliamo di tre aggressioni in media al giorno, allora come cooperativa nata per tutelare i medici e gli odontoiatri non potevamo restare in silenzio di fronte a un fenomeno del genere, purtroppo così attuale". Il fondo, in particolare, offrirà un contributo per le spese sostenute dai soci della cooperativa in caso di aggressione e sarà utilizzato per finanziare attività di prevenzione, formazione e sostegno specifico attraverso coperture di tipo economico, assistenziale, assicurativo e legali. Il lancio dell'iniziativa, che si è svolta nella sala assembleare dell’Enpam, ha coinciso anche con un appuntamento dal valore simbolico: il 'Premio Galeno Cantamessa', arrivato alla sua sesta edizione, che ogni anno assegna ai giovani medici (sotto i 40 anni) tre borse di studio (per progetti inerenti la formazione, la ricerca e il volontariato) del valore di 4 mila euro ciascuna in ricordo della ginecologa Eleonora Cantamessa, medaglia d'oro al valor civile e alla sanità pubblica, che nel 2013 perse la vita fermandosi a soccorrere un uomo pestato in strada.
Contro l’ictus, quanto sonno?
(da Univadis) l rischio di ictus, in particolare di tipo ischemico, aumenta in caso di sonni notturni o pisolini pomeridiani particolarmente lunghi. Anche una cattiva qualità del sonno incrementa il rischio, così come un cambio delle abitudini del sonno da una durata media a una più prolungata. Una corretta durata e una buona qualità del sonno sono importanti strategie di prevenzione del rischio di ictus.
Descrizione dello studio Nello studio sono stati inclusi 31.750 soggetti (età media al basale: 61,7 anni) della coorte Dongfeng-Tongji. Le informazioni su durata e qualità del sonno sono state raccolte attraverso questionari, quelle sull’ictus attraverso registri delle assicurazioni sanitarie. Gli hazard ratio (HR) per ictus incidente sono stati stimati utilizzando modelli di regressione di Cox. Fonte di finanziamento: National Natural Scientific Foundation of China; National Key Research and Development Program of China.
Risultati principali Il rischio di ictus è risultato maggiore nelle persone che dormivano 9 o più ore/notte rispetto a quelle con sonni notturni compresi tra 7 e meno di 8 ore/notte (HR 1,23). Un sonno notturno di durata inferiore a 6 ore non sembra avere un effetto significativo sul rischio di ictus. Il rischio totale di ictus è risultato maggiore anche con pisolini pomeridiani superiori ai 90 minuti vs pisolini compresi tra 1 e 30 minuti (HR 1,25). Per il solo ictus ischemico sono stati ottenuti risultati simili.
Il rischio di ictus totale, ischemico ed emorragico è aumentato rispettivamente del 29%, 28% e 56% nei soggetti con sonno di scarsa vs buona qualità. Sono stati osservati effetti congiunti sull’aumento del rischio di ictus totale per sonni notturni uguali o superiori alle 9 ore + pisolini superiori a 90 minuti (HR 1,85) e per sonni notturni uguali o superiori alle 9 ore + scarsa qualità del sonno (HR 1,82). Rispetto al mantenimento di un sonno di 7-9 ore/notte, un sonno costantemente uguale o superiore a 9 ore/notte o il passaggio da 7-9 ore/notte a 9 o più ore/notte sono risultati associati a un aumento del rischio di ictus totale.
Limiti dello studio Le informazioni su durata e qualità del sonno non sono state misurate, ma riferite dai partecipanti. Non sono stati raccolti dati su disturbi del sonno come l’apnea notturna. La generalizzabilità dei risultati è limitata. Non è possibile escludere la presenza di altri fattori confondenti oltre a quelli presi in considerazione.
Perché è importante Gli studi che mettono in associazione durata e qualità del sonno con rischio di ictus hanno portato a risultati contrastanti. Pochi studi hanno analizzato eventuali differenze nel rischio di ictus emorragico e ischemico associato a durata e qualità del sonno. Comprendere meglio il legame sonno-ictus potrebbe aiutare a mettere in campo strategie di prevenzione efficaci.
(Zhou L, Yu K, et al. Sleep duration, midday napping, and sleep quality and incident stroke. The Dongfeng-Tongji cohort. Neurology 2020. Doi: 10.1212/WNL.0000000000008739 )
“Anche i medici devono sentirsi responsabili della salute dell’ambiente”. Il documento di Fnomceo, Isde, Cipomo e Slow Medicine”
"Le conoscenze a nostra disposizione - si spiega nel documento - rendono ormai eticamente ed economicamente inaccettabile occuparsi solo degli aspetti clinici della medicina, continuando a trascurare le enormi potenzialità della prevenzione primaria e le conseguenze sulla salute dell’ambiente, dei cambiamenti climatici, della produzione di energia, dei mezzi di trasporto, delle tecniche agricole e di allevamento, del modo di alimentarsi e della qualità dei cibi, delle scelte economiche, delle sempre più evidenti disuguaglianze sociali” Leggi l'articolo completo al LINK
http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=81093&fr=n