Nuovo aggiornamento Ema su AstraZeneca: “Rischio beneficio positivo in tutte le fasce d’età”

L’Ema ha reso note le sue valutazioni di rischio rapportando la possibilità di contrarre le forme rare di trombosi rispetto al rischio di finire in ospedale, in terapia intensiva o di morire per Covid. Tranne che per il rischio di morte per i govani, che resta più basso rispetto al rischio trombosi, in tutti gli altri casi il rapporto è sempre a favore del vaccino e in misura preponderante col crescere dell’età e della diffusione del virus. Confermata inoltre l’indicazione per la seconda dose da fare tra la 4ª e la 12ª settimana.  Leggi L’articolo completo al LINK
http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=94904&fr=n

Ma quale medicina di prossimità, nel Pnrr si afferma la medicina di distanza

(da M.D. Digital) Giuseppe Belleri, medico di medicina generale a Flero (BS) sul suo blog  (mhttp://curprim.blogspot.com) ha riservato un commento molto critico sul nuovo assetto dell’assistenza territoriale, declinato dal Piano di Ripresa e Resilienza.  “Il 30% della popolazione  – sottolinea – risiede in comuni con meno di 10mila abitanti e il 90% dei quasi 8mila comuni ne conta meno di 15mila; in un variegato contesto geografico come quello italiano il Pnrr prevede i seguenti standard, che condizioneranno i passi normativi successivi e l’utilizzo dei fondi UE:

* 2 miliardi per la realizzazione di 1.288 Case della Comunità (1 ogni 45mila abitanti) come punto unico di accesso (PUA) ai servizi da realizzare entro la metà del 2026

* 4 miliardi per 602 Centrali Operative Territoriali (COT: 1 ogni 100mila abitanti) dedicate alla gestione ADI,

* 1 miliardo per 380 Ospedali di Comunità (1 ogni 160mila abitanti, con 20-40 posti letto) sempre entro il 2026.

Con questo programma si passa dalla medicina di prossimità alla medicina di distanza: le case della comunità ogni 45mila abitanti taglieranno fuori le zone disagiate e i piccoli comuni con popolazione sparsa in frazioni che già ora sono abbandonate e penalizzate, dove peraltro è presente in modo capillare la Medicina Generale”.

“Medicina di prossimità – spiega – significa rapporto stretto con il proprio territorio mentre con lo standard previsto per le case della comunità – dove si dovrebbero concentrare decine di Mmg in un’unica struttura, ammesso che accettino di lasciare i propri studi sparsi sul territorio – non si capisce quale possa essere l’area di riferimento nelle zone extra-urbane a bassa densità di popola-zione. Eppure una soluzione razionale e flessibile era a portata di mano: bastava applicare alla rete territoriale il modello di quella ospedaliera a distribuzione Hub&Spoke, attuato in varie regioni come il Veneto e soprattutto l’Emilia, che prevede tre tipologie di Case della Salute in relazione alla varietà dei contesti geografici e demografici. Infine mancano rifeimenti all’integrazione con le norme già esistenti sulle case della salute, con le forme associative dell’Acn o quelle della riforma Balduzzi, peraltro largamente inattuata in molte regioni. Una versione del Pnrr rigida, poco flessibile e adattabile alla varietà dei contesti locali, che peggiora quella anticipata a gennaio, che perlomeno prevedeva uno standard più appropriato, ovvero una casa della comunità ogni 25mila abitanti. Per non parlare della previsione di un ADI ipertecnologico, come se fosse la soluzione per la cura delle persone con polipatologie e non auto-sufficienza, che hanno soprattutto bisogno di assistenza ad personam per l’accudimento quotidiano, ovvero di badanti e di controlli periodici di parametri clinici, aderenza terapeutica, educazione e medicazioni/prelievi etc.. e non certo di una telemedicina difficile da utilizzare. Con le risorse del Pnrr si potranno realizzare le strutture, ma poi con quali finanziamenti si gestiranno e soprattutto verranno retribuiti tutti gli operatori sanitari che dovranno ‘riempire”‘ le case e gli ospedali di comunità per garantire tutti i servizi socio-sanitari?

“Nel testo  – conclude – non vi sono accenni all’ipotesi di passaggio alla dipendenza degli attuali medici convenzionati e mancano obiettivi di salute, definizione di competenze e soprattutto indicatori di efficacia/processo/esito, che dovrebbero essere i parametri di valutazione di una riforma che bada ai risultati, a prescindere dalla tipologia del rapporto/contratto di lavoro degli operatori sanitari”.

Va pagato di più il medico che svolge mansioni superiori a quelle previste nel contratto

(da DottNet)    Una vertenza complessa ma che alla fine ha visto vittorioso il medico. E che potrebbe dare il via a numerose altre cause su casi analoghi. Il camice bianco per 9 anni ha svolto mansioni dirigenziali pur non essendo dirigente medico ma non era equamente retribuito, il giudice del Tribunale del Lavoro di Siracusa ha condannato l’Asp al pagamento di 53mila e 566 euro in suo favore. Ma veniamo ai fatti: il medico aveva denunciato di avere svolto, dal 24 gennaio 2008 al dicembre 2017, mansioni superiori rispetto a quanto previsto dal suo contratto. Solo da gennaio 2018, l’Asp gli avrebbe riconosciuto il corrispettivo economico in più dovuto alla maggiorazione delle mansioni prestate.   L’Azienda sanitaria provinciale aveva contestato le accuse sostenendo che: “non è mai stato formalizzato alcun incarico dirigenziale, con atto valevole giuridicamente, che possa dare titolo al riconoscimento delle mansioni e al diritto alla retribuzione delle differenze salariali”.

L’Asp, ha sottolineato il giudice del Lavoro come riporta L’eco del Sud, avrebbe riconosciuto che “vi erano state varie disposizioni di servizio con le quali veniva disposto che il medico si occupasse “provvisoriamente” di tutte le attività attinenti” al nuovo ruolo, precisando, però, che le “numerose disposizioni di servizio non costituiscono titolo ma hanno solo la funzione di assicurate l’espletamento dell’attività per far fronte all’esigenza in via temporanea”.  Ma per il magistrato giudicante: “le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte ai casi in cui l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente”.

In pratica, per il giudice, l’avere svolto, il denunciante, per ben 9 anni (il che esclude la ‘temporaneità’ delle maggiori mansioni disposte) ma soprattutto il non avere ignorato, da parte dell’Asp, il maggior carico di lavoro svolto dal medico – così come dimostrato dalle disposizioni di servizio – elimina le circostanze sopradescritte come possibili cause di disconosciuto diritto ad ottenere la maggiore retribuzione. Verdetto: “Il ricorrente ha diritto di percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte da gennaio 2008 a dicembre 2017”.  Da gennaio 2018 l’Asp non è in debito con il medico perché gli ha corrisposto quanto dovuto. Intanto gli rimborsi 53mila 566 euro – ha stabilito il giudice -.

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