Vaccinazioni e varianti, le 10 risposte dell’ISS ai dubbi dei medici

(da Univadis)   Le Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione anti-COVID-19 sono appena state aggiornate dall’Istituto superiore di sanità per riflettere la diversa condizione epidemiologica determinata dalla diffusione delle varianti virali. Il documento fornisce anche risposte chiare e semplici ad alcuni dei dubbi espressi dai medici.

– La circolazione delle varianti richiede una modifica delle misure di prevenzione e protezione non farmacologiche (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani) in ambito comunitario e assistenziale?

No, non è indicato modificare le misure di prevenzione e protezione basate sul distanziamento fisico, sull’uso delle mascherine e sull’igiene delle mani; al contrario, si ritiene necessaria una applicazione estremamente attenta e rigorosa di queste misure.

– Test diagnostici e varianti

Per garantire la diagnosi d’infezione sostenuta da varianti virali con mutazioni nella proteina spike, i test diagnostici molecolari real-time PCR devono essere multi-target ovvero capaci di rilevare più geni del virus e non solo il gene spike (S) che potrebbe dare risultati negativi in caso di variante con delezione all’interno del gene S quale la variante inglese.

– I lavoratori vaccinati, inclusi gli operatori sanitari, devono mantenere l’uso dei DPI e dei dispositivi medici, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni sul luogo di lavoro?

Tutti i lavoratori, inclusi gli operatori sanitari, devono continuare a utilizzare rigorosamente i DPI, i dispositivi medici prescritti, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni secondo la valutazione del rischio, indipendentemente dallo stato di vaccinazione e aderire a eventuali programmi di screening dell’infezione.

– Una persona vaccinata, al di fuori dell’ambiente di lavoro, deve continuare a rispettare le misure di prevenzione per la trasmissione del virus (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani)?

Una persona vaccinata con una o due dosi deve continuare a osservare tutte le misure di prevenzione quali il distanziamento fisico, l’uso delle mascherine e l’igiene delle mani, poiché, come sopra riportato, non è ancora noto se la vaccinazione sia efficace anche nella prevenzione dell’acquisizione dell’infezione e/o della sua trasmissione ad altre persone.  Questo ancor più alla luce dell’attuale situazione epidemiologica che vede la comparsa e la circolazione di nuove varianti virali, che appaiono più diffusive rispetto al virus circolante nella prima fase della pandemia e per le quali la protezione vaccinale potrebbe essere inferiore a quella esercitata rispetto al ceppo virale originario.

– Se una persona vaccinata con una o due dosi viene identificata come contatto stretto di un caso positivo, bisogna adottare le misure previste per i contatti stretti?

Se una persona viene in contatto stretto con un caso positivo per SARS-CoV-2, secondo le definizioni previste dalle Circolari del Ministero della Salute, questa deve essere considerata un contatto stretto anche se vaccinata, e devono, pertanto, essere adottate tutte le disposizioni prescritte dalle Autorità sanitarie. Si mantiene la deroga alla quarantena per il personale sanitario, con il rispetto delle misure di prevenzione e protezione dell’infezione, fino a un’eventuale positività ai test di monitoraggio per SARS-CoV-2 o alla comparsa di sintomatologia compatibile con COVID-19.

– Quali casi sono da considerarsi fallimenti vaccinali?

Anche i soggetti vaccinati, seppur con rischio ridotto, possono andare incontro a infezione da SARS-CoV-2 poiché nessun vaccino è efficace al 100% e la risposta immunitaria alla vaccinazione può variare da soggetto a soggetto. Inoltre, la durata della protezione non è stata ancora definita.

– I programmi di screening dell’infezione degli operatori sanitari, inclusi quelli delle strutture residenziali socioassistenziali e sociosanitarie, devono essere modificati dopo l’introduzione della vaccinazione?

Alla luce delle conoscenze acquisite, non si ritiene, al momento, di dovere modificare i programmi di screening dell’infezione da SARS-CoV-2 in atto per gli operatori sanitari mantenendo inalterata la frequenza dei test.

– Opportunità e tempistiche di rilevazione del titolo di anticorpi diretti verso la proteina spike (S) ed eventuale sorveglianza nel tempo nei soggetti vaccinati.

La valutazione e il monitoraggio del titolo anticorpale dopo la vaccinazione anti-COVID-19 non sono indicati nella pratica clinica se non nell’ambito di studi scientifici/epidemiologici.  Poiché, al momento, è impossibile correlare in modo preciso il titolo di anticorpi con il livello di protezione, la presenza di anticorpi all’esame sierologico non esime la persona dall’uso dei DPI e dispositivi medici, nonché dal seguire tutte le precauzioni standard e specifiche per impedire la trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2.    L’identificazione del titolo di anticorpi capace di attività neutralizzante sia nei sieri di pazienti in convalescenza a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2 sia in sieri di individui vaccinati è tuttora in corso per le varianti virali note. Tuttavia, è necessaria la standardizzazione dei test, valutando lo stato immunitario in seguito a infezione naturale e a vaccinazione con i diversi vaccini disponibili e utilizzando le diverse varianti di SARS-CoV-2 identificate.

– I contatti stretti di un caso di COVID-19 quando possono essere vaccinati?

I contatti stretti di COVID-19 dovrebbero terminare la quarantena di 10-14 giorni secondo quanto previsto dalle normative ministeriali vigenti prima di potere essere sottoposti a vaccinazione.

– Chi ha avuto il COVID-19 deve comunque vaccinarsi? È a rischio di avere delle reazioni avverse più frequenti o gravi al vaccino?

La vaccinazione anti-COVID-19 si è dimostrata sicura anche in soggetti con precedente infezione da SARS-CoV-2, e, pertanto, può essere offerta indipendentemente da una pregressa infezione sintomatica o asintomatica da SARS-CoV-2. Ai fini della vaccinazione, non è indicato eseguire test diagnostici per accertare una pregressa infezione. È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e, preferibilmente, entro i 6 mesi dalla stessa. Fanno eccezione i soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, i quali, pur con pregressa infezione da SARS-CoV-2, devono essere vaccinati quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi.

Fanno più vittima obesità e sovrappeso che non il fumo

Fanno più vittima obesità e sovrappeso che non il fumo  (da M.D.Digital)  L’obesità e il sovrappeso potrebbero aver contribuito a più morti in Inghilterra e Scozia rispetto al fumo dal 2014: lo evidenzia una ricerca pubblicata su BMC Public Health.  Tra il 2003 e il 2017 è stato calcolato che la percentuale di decessi attribuibili al fumo sia diminuita dal 23.1% al 19.4% a fronte però di un rilevante aumento delle morti attribuibili all’obesità e al sovrappeso, che sono aumentate dal 17.9% al 23.1%. Percentuali che hanno portato gli autori a sostenere che, nel 2014, le morti attribuibili all’obesità e al sovrappeso abbiano superato quelle attribuibili al fumo.
Per diversi decenni, ha commentato Jill Pell, dell’Università di Glasgow, uno degli autori dello studio, il fumo è stato uno dei principali obiettivi degli interventi di salute pubblica in quanto è una delle principali cause di decessi evitabili. Di conseguenza, nel Regno Unito si è registrata una riduzione della prevalenza del fumo.
Per esaminare i cambiamenti nella prevalenza del fumo, dell’obesità e del sovrappeso negli adulti, gli autori hanno analizzato i dati raccolti tra il 2003 e il 2017 nell’ambito degli Health Surveys for England e Scottish Health Surveys, su 192.239 adulti in Inghilterra e Scozia, che avevano un’età media di 50 anni. Ai partecipanti è stato chiesto se avevano fumato regolarmente mentre altezza e peso sono stati misurati da intervistatori o infermieri addestrati.
I ricercatori hanno combinato questi dati con le stime del rischio di morte per fumo (17 studi) o obesità e sovrappeso (198 studi), per calcolare il numero di decessi attribuibili al fumo, all’obesità e al sovrappeso.
I risultati hanno indicato due tipi di tendenza: mentre l’obesità e il sovrappeso probabilmente hanno causato più morti rispetto al fumo dal 2006 tra gli adulti più anziani, è ancora probabile che il fumo contribuisca a più morti rispetto all’obesità e al sovrappeso tra i giovani adulti. Gli autori suggeriscono che tra le persone di età pari o superiore a 65 anni e tra i 45 e i 64 anni, l’obesità e il sovrappeso hanno contribuito, rispettivamente, al 3.5% e al 3.4% in più di morti stimate rispetto al fumo nel 2017, mentre il fumo ha rappresentato il 2.4% in più di morti stimate rispetto all’obesità e al sovrappeso tra i soggetti di età compresa tra 16 e 44 anni.
Un altro elemento emerso da questa analisi è l’influenza del genere su fumo, obesità e sovrappeso in relazione alle morti stimate. L’obesità e il sovrappeso potrebbero aver causato il 5.2% di decessi in più nel 2017 rispetto al fumo negli uomini, rispetto al 2.2% in più di decessi nelle donne. Si ritiene che le morti stimate dovute all’obesità e al sovrappeso siano aumentate del 25.9% per le donne e del 31% per gli uomini tra il 2003 e il 2017, mentre si ritiene che le morti dovute al fumo siano diminuite del 18.1% per le donne e del 14.9% per gli uomini.
Secondo il parere degli autori l’aumento delle morti stimate dovute all’obesità e al sovrappeso è probabilmente dovuto al loro contributo al cancro e alle malattie cardiovascolari. I risultati, inoltre, suggeriscono che la sanità pubblica e gli interventi politici volti a ridurre la prevalenza del fumo hanno avuto successo e che le strategie nazionali per affrontare l’obesità e il sovrappeso, in particolare concentrandosi su uomini e gruppi di mezza età e anziani, dovrebbero essere una sanità pubblica priorità.
(Ho FK, et al. Changes over 15 years in the contribution of adiposity and smoking to deaths in England and Scotland. BMC Public Health 2021. DOI: 10.1186/s12889-021-10167-

Pressione arteriosa, il limite di normalità femminile è più basso

da M.D.Digital)   Uno studio dello Smidt Heart Institute del Cedars-Sinai pubblicato su Circulation ha dimostra che nelle donne l’intervallo di pressione arteriosa “normale” è inferiore rispetto a quello degli uomini. Lo studio dunque, evidenziando differenze di genere nei valori pressori, è in controtendenza alle definizioni contenute nelle linee guida per la pressione arteriosa, che indicano sia per le donne che per gli uomini lo stesso limite di pressione considerata normale.  Questi risultati, commentano gli autori, suggeriscono che un approccio unico per entrambi i sessi nella definizione di normotensione può essere dannoso per la salute di una donna. Aggiungendo che in base a questi dati sarebbe opportuna una rivalutazione delle linee guida sull’ipertensione che non tengono conto delle differenze di sesso. Per anni, 120 mmHg è stato considerato il limite superiore normale per la PAS negli adulti, al di sopra del quale si definiscono i diversi gradi di ipertensione.  In questo recente studio, il team di ricercatori ha esaminato le misurazioni della pressione arteriosa condotte in quattro studi di comunità, comprendenti più di 27.000 partecipanti, il 54% dei quali erano donne. L’analisi ha permesso di confermare il valore soglia di 120 mmHg nell’uomo mentre nella donna il rischio di sviluppare qualsiasi tipo di malattia cardiovascolare (inclusi infarto, insufficienza cardiaca e ictus) correlato all’ipertensione inizia a manifestarsi con valori superiori a 110 mmHg.    Precedenti studi degli stessi ricercatori avevano suggerito i vasi sanguigni della donna invecchiano più velocemente rispetto a quanto accade nell’uomo, confermando che le donne hanno una biologia e una fisiologia diverse rispetto agli uomini e possono essere più suscettibili di sviluppare alcuni tipi di malattie cardiovascolari e in diversi momenti della vita. In tutti gli studi del team il confronto dei valori pressori è stato effettuato nel medesimo sesso (donne con donne e uomini con uomini) piuttosto che con il modello comune di confronto tra donne e uomini.  Se il range fisiologico ideale della pressione arteriosa femminile è davvero inferiore rispetto a quello maschile, gli attuali approcci terapeutici per il controllo dell’ipertensione devono essere rivalutati.     Il passo successivo cui i ricercatori intendono dedicarsi è valutare se le donne debbano essere trattate per l’ipertensione quando la PAS è superiore a 110 mmHg, ma ancora inferiore al valore di 120 mmHg dell’uomo.

(Hongwei Ji, et al. Sex Differences in Blood Pressure Associations With Cardiovascular Outcomes, Circulation 2021. DOI: 10.1161/CIRCULATIONAHA.120.049360)

Herpes Zoster. Ministero: “In arrivo nuovo vaccino, efficacia fino al 97%”

Con una circolare dalla Salute informa che quest’anno sarà commercializzato in Italia, tramite il canale pubblico, un nuovo vaccino ricombinante adiuvato contro HZ, indicato nelle persone a partire da 50 anni d’età e negli individui ad aumentato rischio di HZ a partire da 18 anni d’età. Ricordiamo che la vaccinazione anti HZ deve essere offerta attivamente ai soggetti di 65 anni d’età e ai soggetti a rischio a partire dai 50 anni di età.  Leggi L’articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=93345&fr=n

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