Salumi e alcol come le sigarette: l’Ue propone etichette anti-cancro

(da Nutrienti e Supplementi)   L’Europa dichiara guerra al cancro e si prepara a una battaglia fatta anche di etichettatura dei prodotti alimentari ritenuti fattori di rischio. La proposta è contenuta all’interno del Piano europeo per la lotta al cancro presentato a Bruxelles lo scorso 3 febbraio.

Così la commissaria alla Salute, Stella Kyriakides: “L’Ue proporrà un’etichettatura nutrizionale obbligatoria e armonizzata nella parte anteriore della confezione per consentire ai consumatori di fare scelte alimentari informate, sane e sostenibili. Siamo pronti a sostenere gli Stati membri nel favorire i loro sforzi sulla riformulazione e sull’attuazione di politiche efficaci per ridurre la commercializzazione di prodotti alimentari malsani”. A questo proposito, inoltre, “la Commissione sta intraprendendo una revisione della politica di promozione dei prodotti agricoli, nell’ottica di potenziare il proprio contributo alla produzione e al consumo sostenibili e in linea con il passaggio a una dieta con più frutta e verdura e meno carni rosse e lavorate e altri alimenti legati al rischio di cancro”.  Nel mirino, dunque, carni rosse e salumi ma anche l’alcol. Il progetto partirà nel 2022-2023 e ci saranno fondi per gli Stati membri per uniformarsi per 4 miliardi di euro. Potrebbero comparire scritte come sui pacchetti di sigarette e chi non rispetterà la direttiva europea vedrà meno le risorse destinate al piano di prevenzione.  La scelta ha scatenato la rabbia dei produttori. Il vino, però, pare non sarà etichettato. Ci ha pensato Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione UE, a scongiurare il rischio: “L’Ue non ha intenzione di proibire il vino, né di etichettarlo come una sostanza tossica, perché fa parte dello stile di vita europeo”.   Così Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, in una lettera inviata al Commissario europeo per gli affari economici Paolo Gentiloni: “L’Unione europea vuole cancellare i fondi per la promozione di carne, salumi e vino, prevedendo su questi prodotti etichette allarmistiche come per i pacchetti di sigarette. Una proposta che nasce con la scusa di tutelare la salute che, invece, va salvaguardata promuovendo una dieta equilibrata e varia, senza criminalizzare singoli alimenti. Una scelta che colpisce prodotti simbolo del Made in Italy come il vino, di cui l’Italia, principale produttore, è il più ricco di piccole tipicità tradizionali, che hanno bisogno di sostegni per farsi conoscere sul mercato, e che rischiano invece di essere condannate all’estinzione”.

L’insulina resiste un mese a temperatura ambiente

(da DottNet)   Una volta aperti i flaconi di insulina possono essere tenuti per un mese a temperatura ambiente senza che il farmaco perda di efficacia. Lo afferma uno studio di Medici Senza Frontiere e dell’università di Ginevra pubblicato dalla rivista ‘Plos One’, particolarmente utile nelle situazioni in cui i pazienti non hanno un frigorifero, come nei campi profughi.  I ricercatori hanno registrato le temperature nel campo profughi di Daghaley, in Kenya, per una settimana, trovando una minima di 25 gradi di notte e una massima di 37 di giorno. Queste condizioni sono state riprodotte in laboratorio per quattro settimane, periodo che impiegano i pazienti di solito a finire una confezione di insulina. Attualmente le indicazioni sono di conservare il farmaco tra 2 e 8 gradi. “La stabilità dell’insulina conservata in queste condizioni – conclude lo studio – è la stessa del farmaco conservato in frigo. Questo permette alle persone con diabete di gestire la patologia senza andare in ospedale molte volte. Questo può cambiare le pratiche di gestione del diabete dove ci sono poche risorse, visto che i pazienti non dovrebbero andare in ospedale ogni giorno per l’iniezione”.

Chi non si vaccina, non cura

(da Quotidiano Sanità)   Gentile Direttore, leggo con soddisfazione che il Presidente della FNOMCEO, FIlippo Anelli, ha dichiarato pubblicamente e con grande chiarezza che i medici hanno l’obbligo morale di sottoporsi alla vaccinazione anticovid e che, ove avessero rifiutato, avrebbero dovuto essere allontanati dal servizio di cura.
L’ovvia conseguenza di questa decisione, adottata dalle ASL perché suffragata dall’evidente inidoneità alla mansione a causa della possibilità di nuocere proprio a chi si affida alle cure del personale sanitario, comporterebbe l’assegnazione a compiti lontani dal rapporto col paziente.
Questa forte e doverosa posizione che onora la Federazione, si fonda su basi inoppugnabili, riconosciute e esposte anche su QS in varie occasioni.
I più importanti costituzionalisti hanno già rilevato la costituzionalità di una legge che prevedesse l’obbligo vaccinale per alcune categorie, i giuslavoristi e i medici legali hanno ampiamente dimostrato il fondamento giuridico di una norma che riconosca l’esigenza di essere vaccinati per il personale del SSN quale onere di servizio che dimostra l’idoneità alla mansione. Il personale sanitario non vaccinato è semplicemente inidoneo a operare a contatto con i malati.
Aggiungo a questo quadro una sola annotazione. La dichiarazione del Presidente della Fnomceo ha una fortissima rilevanza deontologica.
E lo dico perché, a mio avviso, gli Ordini debbono farsi carico di valutare caso per caso la renitenza vaccinale dei propri iscritti. L’articolo 1 del vigente Codice Deontologico “in armonia con i principi etici di umanità e solidarietà, impegna il medico nella tutela della salute individuale e collettiva…”; il testo è chiarissimo e è sufficiente a chiamare il medico in audizione. Il medico è obbligato a tutelare la salute di tutti in base al principio etico della solidarietà che già è richiamata nell’articolo 2 della Costituzione come dovere di ogni cittadino.
Il medico non può non sentire questa doverosità come essenziale alla professione e ove mancasse questa sensibilità, è chiara l’infrazione disciplinare. Inoltre il medico ha l’obbligo in base all’articolo 14 del CD, di “garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente”, il che ovviamente non potrà fare se, ad esempio, non ha provveduto all’opportuna copertura vaccinale personale durante la pandemia.
In conclusione, ci sono gli estremi per valutare i medici renitenti alla vaccinazione sul piano deontologico. Mi auguro che non ce ne sia mai bisogno e che il richiamo del Presidente Anelli sia sufficiente, ma ove ciò non fosse, gli Ordini debbono essere garanti di fronte alla cittadinanza del rispetto da parte dei medici degli obblighi morali insiti nella professione.
Antonio Panti

Medici no vax. Omceo di Bologna: “I ‘si dice’ non sono accettabili”

In un documento redatto dalla commissione Vaccini e condiviso da varie personalità della sanità arrivano le rassicurazioni alla popolazione, ma anche un monito verso i medici che pubblicamente manifestano tesi distanti da posizioni scentifiche. Il presidente Bagnoli: “Non c’è un’intenzione di aprire procedimenti, ma non possiamo ignorare da un punto di vista ordinistico quanti lanciano messaggi alla popolazioni non supportate dalla scienza”.    Leggi L’articolo completo al LINK

Gli anticorpi Covid durano sei mesi nella maggior parte dei guariti

(da DottNet)   In circa l’88% delle persone guarite dal Covid-19, gli anticorpi nel sangue rimangono per 6 mesi. Lo indica lo studio condotto dalla biobanca britannica Uk Biobank, una delle più grandi al mondo per gli studi sul Covid, che ha analizzato i campioni biologici di quasi 1700 persone, come segnala la Bbc.  La Uk Biobank raccoglie sangue, urina, campioni di saliva, dati genetici e esami di cuore e cervello di circa mezzo milione di persone, che hanno acconsentito a far analizzare le loro informazioni per aiutare la ricerca medica. Quasi 20.000 di questi volontari hanno fornito un campione di sangue ogni mese tra il 27 maggio e 4 dicembre scorso. Di questi, 1699 sono risultati positivi agli anticorpi al SarsCov2 in questo periodo, indicando un’infezione passata. Molti di loro erano già risultati positivi al coronavirus nel primo mese dello studio, suggerendo quindi che il contagio fosse avvenuto nella prima ondata pandemica.    Sei mesi dopo, è così emerso che l’88% di loro aveva ancora gli anticorpi al virus rilevabili nel sangue, confermando così quando osservato in studi più piccoli condotti sugli operatori sanitari. E’ inoltre possibile che alcuni o tutti quelli di quel 12%, i cui test da positivi sono diventati negativi, abbiano comunque mantenuto una qualche protezione contro una successiva infezione, anche se la loro quantità di anticorpi era troppo bassa per essere rilevata. L’indagine ha mostrato anche i sintomi più ricorrenti vissuti dai malati: il 26% ha avuto tosse, il 28% febbre, il 43% ha perso gusto o olfatto, mentre il 40% non ne ha avuto nessuno di questi e il 20% è stato asintomatico.Nel gruppo di chi aveva gli anticorpi al SarsCov2, il 13,% era under30, mentre il 6,7% aveva più di 70 anni. “Anche se non possiamo essere certi di come la presenza degli anticorpi sia collegata all’immunità – commenta Naomi Allen, responsabile scientifico della Uk Biobank – i risultati suggeriscono che le persone possono essere protette da una nuova infezione per almeno 6 mesi dopo la prima”. Un follow up più lungo, conclude, “ci permetterà di determinare quanto dura questa protezione”.

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