OMCEO – RACCOLTA FONDI “SEMPRE CON VOI” INFORMAZIONI

Gentilissimi,
In riferimento alla Raccolta Fondi “Sempre con voi” a sostegno dei familiari degli operatori sanitari deceduti a causa del Covid-19, si comunica, per opportuna conoscenza, che abbiamo avuto conferma dal Dr. Della Valle della proroga della richiesta di erogazione del beneficio fino al termine dello stato di emergenza, attualmente previsto al 30 aprile 2021.
A tal fine si inoltra la modulistica aggiornata, in seguito all’OCDPC 726 del 2020, che dovrà essere utilizzata dagli eventuali richiedenti.
Cordiali saluti
Ufficio Presidenza FNOMCeO
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Farmaci anti-Covid: come usarli e quando evitarli

(da DottNet)   Antibiotici, cortisone ed eparina hanno un ruolo fondamentale per curare il Covid-19, ma questa triade è utilizzata molto spesso a sproposito nei pazienti non gravi. “Riscontriamo un uso improprio di questi strumenti che, se utilizzati al momento sbagliato, creano più danni che benefici. E’ una moda iniziata con la seconda ondata e continua in modo preoccupante”, osserva Massimo Andreoni, direttore dell’UOC Malattie Infettive dell’Ospedale di Tor Vergata a Roma.  “Le prescrizioni dettate dal panico sono una malpractice che serpeggia pesantemente – mette in guardia Matteo Bassetti, primario di Malattie Infettive al San Martino di Genova – e in particolare, con un uso indiscriminato di antibiotici stiamo ponendo le basi di una pandemia da germi resistenti, che sarà il vero post Covid”. Il paziente “si sente rassicurato se vengono prescritti farmaci ma spesso sono controproducenti.

A partire dal cortisone, che andrebbe assunto quando la saturazione dell’ossigeno scende sotto il 92%, mentre molto di frequente viene prescritto senza motivo appena arriva il risultato di un tampone positivo”, chiarisce Andreoni, direttore scientifico della Simit (Società Italiana Malattie infettive e tropicali). I dati di letteratura scientifica però “mostrano che i pazienti che utilizzano cortisone troppo precocemente hanno un andamento peggiore rispetto a chi che lo ha usato quando la malattia si è aggravata, anche perché diminuisce le difese immunitarie dell’organismo”. Altrettanto vale per l’eparina, che aiuta a evitare la formazione di trombi, una delle possibili complicanze del Sars-Cov-2. “E’ utile – dice Andreoni – solo se il paziente è allettato e non si muove o per chi ha un rischio specifico di eccesso di coagulazione del sangue. Ma se usata in chi non ha queste caratteristiche può esporre a problemi emorragici”.

Così come è sbagliato l’uso dell’azitromicina, diventata quasi “il farmaco per trattare Covid” secondo un luogo comune. Gli antibiotici macrolidi, tra cui l’azitromicina, osserva Bassetti, presidente della Società Italiana Terapia Antinfettiva (Sita), “hanno mostrato di avere effetti antinfiammatori, ma attenzione a usarli quando non servono. Vediamo tanti pazienti che fanno a casa 3 giorni di antibiotici come misura preventiva, mentre vanno usati solo se ci sono segni radiologici di polmoniti o in pazienti ospedalizzati in cui c’è il rischio che il virus apra la porta a un batterio, altrimenti aumentiamo la crescita di batteri resistenti, che sono il vero post Covid. La vera eredità della pandemia di Sars-Cov-2 è una pandemia di infezioni resistenti agli antibiotici, a cui stiamo già assistendo in ospedale”.

In caso di febbre o dolori muscolari lievi va bene il paracetamolo. Nel caso in cui serva un antinfiammatorio più forte, prosegue Bassetti, “se non ci sono controindicazioni specifiche, consiglio l’acido acetilsalicilico, che ha anche effetto antiaggregante”.  Infine, riguardo agli integratori, di cui si fa grande uso in questo periodo, Andreoni sottolinea: “non sono una cura, ma è vero che un organismo che presenta carenze di sali minerali e vitamine risponde meno bene alle infezioni. In particolare nel caso del Covid, studi mostrano che chi ha una carenza di vitamina D ha un andamento peggiore rispetto a chi ne ha nel sangue una quantità normale. Quindi le carenze andrebbero evitate e reintegrate”.

Google minaccia il rapporto medico-paziente

da M.D. Digital, modificato)   Tra i numerosi effetti indesiderati della pandemia c’è anche quello della compromissione del rapporto medico-paziente. A lanciare l’allarme è Massimiliano Cavallo, uno dei maggiori esperti italiani di Public Speaking, autore del libro “Parlare in Pubblico Senza Paura” (edito da Anteprima Edizione) e del nuovo volume “Sono solo parole – Crea il tuo discorso top ispirandoti a 10 discorsi che hanno fatto la storia” (edito da Youcanprint). “E’ indubbio che la sovraesposizione della classe medica nei media abbia prodotto in alcuni casi malumori”, spiega. “Questo ha in qualche modo contribuito all’erosione del già fragile rapporto di fiducia che dovrebbe esserci tra medico e paziente. Per molti versi dr Google è diventato più credibile di un camice bianco in carne e ossa”, aggiunge.
La spettacolarizzazione della pandemia è certamente tra le prime cause. “In particolare, nella fase iniziale dell’emergenza quando i messaggi dei tanti medici in Tv – dice Cavallo – erano spesso contraddittori, pur trattandosi di specialisti molto famosi. Il colpo di grazia è arrivato con l’estate quando una parte dei medici che affollavano le trasmissioni televisive affermavano, ad esempio, che il caldo avrebbe ucciso il virus o che il peggio fosse alle spalle. Non è stato così”. Per qualche medico, secondo l’esperto, si è visto un eccesso di protagonismo, in tv e sui social, con conseguente perdita di credibilità. Il rischio è che questo si ripercuota anche sulla credibilità di farmaci e vaccini anti-Covid. “Il medico, quindi, si ritrova da un lato a dover recuperare questo gap di fiducia e dall’altro ad avere una grande responsabilità nell’incrementare la fiducia nelle terapie e nei vaccini approvati”, evidenzia Cavallo.
In realtà, il rapporto medico-paziente è entrato in crisi già qualche anno fa. “Nell’epoca del dr. Google, molti pazienti cercano notizie su Internet relativamente ai propri sintomi, con le conseguenze che ciò può comportare”, dice Cavallo. “Il problema non è Internet, che dà accesso a tante notizie utili, ma l’uso che se ne fa. Per i pazienti – continua – è bene documentarsi e avere più informazioni possibili, ma spesso bisogna saper selezionare le fonti e non basarsi solo sulle notizie della rete perché si potrebbe facilmente incappare in informazioni false, distorte o incomplete”. Questo, temono gli esperti, potrebbe comportare il ritardo di una diagnosi da parte del proprio medico o portare a pericolose soluzioni fai da te con il rischio di serie conseguenze. Da qui nasce da parte dei medici la necessità di recuperare un rapporto di fiducia con i pazienti.  A questo scopo Cavallo elenca una serie di consigli utili per i medici per comunicare meglio con i propri pazienti:

Allearsi con Internet. Il web non è un nemico assoluto. Si possono, ad esempio, sfruttare i social o creare un proprio canale YouTube per fare corretta informazione, divulgare sani stili di vita, informare per prevenire, far capire come riconoscere le fake newsin medicina, fare tutorialper insegnare specifici strumenti o per svolgere esercizi riabilitativi mirati. Inoltre, sui social i medici possono creare un confronto con i pazienti. Chiaramente tutto limitatamente al tempo a loro disposizione e al rispetto delle norme deontologiche.

Vietato il “medichese”. Parlare in modo semplice. Se il medico, infatti, parla il “medichese” creerà solo confusione nel paziente. Per questo il medico deve parlare un linguaggio che sia chiaro e deve accertarsi che il paziente abbia compreso la prescrizione.

Ascoltare di più.  È vero, i tempi di un medico sono sempre ristretti, ma spesso il paziente ha solo bisogno di essere ascoltato e compreso. Per questo anche se il medico ha già intuito la diagnosi dopo le prime parole del paziente, non deve interromperlo e deve lasciarlo continuare. La fase di ascolto deve essere però sincera, non deve quindi prevedere distrazioni del medico, lo sguardo deve essere diretto al paziente e le domande mirate. Ascoltare di più il paziente, concedergli quel minuto in più nella raccolta della diagnosi, permetterà, paradossalmente, di risparmiare tempo successivamente.

Usare messaggi telematici.  Per accelerare i tempi della comunicazione ed evitare troppe visite in presenza, a volte può essere sufficiente un messaggio su whatsapp, o altre messaggistiche, strumenti che sempre più medici usano con i propri assistiti, sempre con le dovute attenzione delle norme di privacy

Essere espliciti. Anche se spetta al medico prescrivere visite e terapie, bisogna evitare di dare l’impressione di voler imporre qualcosa al paziente. Ecco perché il medico deve chiarire gli obiettivi della prescrizione e ripeterla affinché possa assicurarsi che il paziente abbia inteso bene i suoi compiti. Spesso i pazienti non richiedono spiegazioni per non apparire incolti o poco adeguati. Per questo il medico deve essere esplicito.

Mostrare autorevolezza. Il medico dovrebbe sottolineare la propria autorevolezza: spesso il paziente non è a conoscenza della professionalità di chi ha di fronte. Per questo è sempre opportuno mettere in bella mostra nel proprio studio non solo i titoli accademici ma anche locandine di convegni ai quali si è partecipato o pubblicazioni. La stessa “vetrina” può essere concessa dall’uso dei social.

Covid-19, Accademia di medicina di Torino: vitamina D in prevenzione e trattamento

(da Nutrienti e Supplementi)   Sensibilizzare istituzioni, mondo scientifico e opinione pubblica sulle più recenti evidenze scientifiche a sostegno dell’utilità della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento di Covid-19. Questo l’obiettivo di un documento inviato ad autorità sanitarie nazionali e regionali, messo a punto da un gruppo di lavoro di 135 medici istituito dall’Accademia di medicina di Torino, sotto il coordinamento del suo presidente Giancarlo Isaia e di Antonio D’Avolio, docenti, rispettivamente, di geriatria e farmacologia all’Università di Torino.   “A oggi è possibile reperire su PubMed circa 300 lavori, editi nel 2020, con oggetto il legame tra Covid-19 e vitamina D, condotti sia retrospettivamente che con metanalisi, che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti, soprattutto se colpiti in forma severa, e di una più elevata mortalità a essa associata” si legge nel documento. “Tutti questi dati forniscono a nostro giudizio interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana, che in Italia è in larga misura carente di vitamina D”.    Gli Autori hanno così selezionato alcuni dati ritenuti meritevoli di attenzione da parte delle autorità sanitarie, “al fine di considerare l’utilizzo della Vitamina D sia per la prevenzione che per il trattamento dei pazienti Covid-19”.   Sulla base dei risultati dei trial più significativi, si segnala, innanzitutto, come la vitamina D sembri più efficace contro Covid-19 (sia per la velocità di negativizzazione, sia per l’evoluzione benigna della malattia in caso di infezione) “se somministrata con obiettivi di prevenzione, soprattutto nei soggetti anziani, fragili e istituzionalizzati. Il target plasmatico minimo ottimale del 25(OH)D da raggiungere in ambito preventivo sarebbe di 40 ng/mL, per ottenere il quale occorre somministrare elevate dosi di colecalciferolo, anche in relazione ai livelli basali del paziente, e fino a 4.000 UI/die”. 

Sul fronte terapeutico, gli studi randomizzati “indicano l’utilità di un’unica somministrazione in bolo di 80.000 UI di colecalciferolo, oppure di calcifediolo – 0,532 mg il 1° giorno, 0,266 mg il 3°, il 7° giorno e poi una volta alla settimana – oppure ancora di 60.000 UI di colecalciferolo per 7 giorni, con l’obiettivo di raggiungere 50 ng/mL di 25 (OH)D”.  Due le proposte finali con cui si conclude il documento. Innanzitutto, l’invito a promuovere una consensus conference e/o uno studio clinico randomizzato e controllato, promosso e supportato da fondi pubblici, sull’efficacia terapeutica della Vitamina D, a pazienti sintomatici o oligosintomatici, secondo uno dei seguenti schemi:

– colecalciferolo per via orale 60.000 UI/die per 7 giorni consecutivi;

– colecalciferolo in monosomministrazione orale 80.000 (nei pazienti anziani);

– calcifediolo 532 mg (106 gocce) nel giorno 1 e 0,266 mg (53 gocce) nei giorni 3 e 7 e poi in monosomministrazione settimanale.

La somministrazione preventiva, infine, di colecalciferolo orale (fino a 4.000 UI/die) a soggetti a rischio di contagio (anziani, fragili, obesi, operatori sanitari, congiunti di pazienti infetti, soggetti in comunità chiuse).

Vaccino: Galli, dosi a sanitari già guariti? Non ha senso

(da AGI)  “Non ha senso vaccinare i sanitari che hanno già avuto il Covid e sono guariti. Non adesso almeno”. Lo ha detto Massimo Galli, direttore di Malattie Infettive dell’ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano, all’apertura dei lavori del XXII Congresso Nazionale di NeuroPsicoFarmacologia. “Siamo a un milione e mezzo di vaccini somministrati, pari al 2,47% della popolazione, ostinandoci a vaccinare anche i sanitari già guariti. Non ha senso a mio avviso. Non adesso almeno, anche perché di vaccini ne abbiamo pochi non ne abbiamo molti”, ha osservato Galli. Il Regno Unito ha messo in ballo un razionamento da tempo di guerra con il quale non sono d’accordo. Allora cosa li facciamo a fare i lavori? Il vaccino Pfizer è stato tarato per somministrare la seconda dose al 21imo giorno. In questo modo non potremmo mai dire che la sua efficacia attesa è quella del protocollo del 95%”, ha concluso.

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