Ancora su Certificazioni malattia INPS

La comunicazione seguente è stata inviata ieri dalla Direzione INPS Regionale:

Alla luce del DPCM del 17 marzo 2020, e dell’articolo 26 in particolare, siamo in attesa di nuovo messaggio Inps che regolerà la certificazione di malattia in caso di quarantena a causa di COVID-19 e di isolamento fiduciario, nonché della certificazione in caso di patologie croniche associate ed immunosoppressione.

Le indicazioni date fino ad oggi, sono pertanto da considerarsi temporanee, le certificazioni già emesse sono considerate valide, come indica il DPCM all’art. 26, per le indicazioni future siamo in attesa del Messaggio INPS

Nel frattempo, soprattutto per chi viene allontanato dal lavoro a causa di patologie croniche o immunodepressione, non è necessario inserire alcun codice nosologico ma si prega di specificare, in campo diagnosi, ogni dato utile per fare emergere la gravità del quadro clinico.

Si prega di dare la maggior visibilità possibile a tale comunicazione, anche le altre sedi provinciali riceveranno la comunicazione

Grazie per la collaborazione

Dott.ssa Lucia Zanardi

Il testo integrale dell’Art. 26 del DPCM 17/03/2020 è a questo LINK: https://www.notiziedellascuola.it/legislazione-e-dottrina/indice-cronologico/2020/marzo/DL_20200317_18/tit2-cap2-art26

Speriamo, a questo punto che l’INPS Nazionale emani prima possibile un messaggio definitivo, chiaro e dettagliato su quali patologie croniche sono riconducibili alle condizioni dell’ormai ex codice V07, affinché i medici di famiglia possano emettere certificati di malattia corretti per i loro assistiti affetti da patologia cronica e/o immunodepressi con un rischio maggiore di contrarre la malattia da Covid-19

Mascherine, sale la protesta. Con linee guida Iss la salute dei medici non è preservata

(da Doctor33)  Troppo pericolose per il personale sanitario le norme che estendono l’uso di mascherine chirurgiche, senza filtrante, alle situazioni dove il rischio di contagio è elevato: i medici ospedalieri del sindacato Cimo Fesmed chiedono all’Istituto superiore di sanità di modificarle, e di cambiare la legge, e un intervento degli ordini a tutela di tutti i medici italiani. Nel mirino del presidente Cimo Guido Quici, il Rapporto Covid-19 2/2020 dell’Iss che ha consentito al Governo, in particolare nel decreto legge Gualtieri del 2 marzo scorso, di usare mascherine chirurgiche quali dispositivi idonei alla protezione.
Il retroscena – Il decreto consente all’articolo 34 alla Protezione civile di acquistare mascherine chirurgiche in luogo delle mediche e di usare anche mascherine prive del marchio Ce previo ok dell’Istituto superiore di sanità. Quici ricorda che le mascherine chirurgiche, non avendo funzione filtrante in fase inspiratoria, non proteggono dall’inalazione di particelle aeree di piccole dimensioni; invece limitano la diffusione in ambiente di particelle potenzialmente infettanti da parte di chi le indossa, infettivo o potenzialmente tale. L’Organizzazione mondiale della sanità, nelle linee guida del 27 febbraio che sono fonte dell’articolo, permette la sostituzione di mascherine mediche con mascherine chirurgiche. Con un’eccezione: le procedure in cui i pazienti liberano aerosol con le particelle di saliva. Da parte sua, nel Rapporto Covid 2/2020 che traduce le linee guida Oms, l’Iss afferma che, in caso di disponibilità limitata di mascherine Ffp2 e Ffp3 con filtrante, “eÌ possibile programmare l’uso della mascherina chirurgica o del filtrante per assistere pazienti Covid 19 “raggruppati nella stessa stanza, purché la mascherina non sia danneggiata, contaminata o umida”. Alle stesse condizioni, “i filtranti possono essere utilizzati per un tempo prolungato, fino a 4 ore al massimo”. Nella tabella successiva, l’Iss esemplifica poi che la mascherina chirurgica può andare bene se si fa assistenza diretta ai pazienti Covid: se si portano i pasti, si prende la temperatura, etc. E può andar bene anche per eseguire il tampone se non ci sono mascherine con filtrante. Ma non va bene per le procedure che generano aerosol. Infatti, per nebulizzare farmaci, intubare, rianimare, indurre l’espettorato, eseguire broncoscopie e ventilazioni non invasive servono Ffp2 o Ffp3.
Le prese di posizione – Con riferimento al risultato legislativo, Quici è sconcertato: «Che un simile provvedimento sia opera di colleghi medici, non impegnati in prima linea negli ospedali, negli ambulatori del territorio o sui mezzi di soccorso è di una gravità assoluta perché non solo non preserva la salute dei medici e di tutti gli operatori sanitari ma consente in modo inconsapevole di contribuire ulteriormente alla diffusione del virus. Vorremmo conoscere quali sono le evidenze scientifiche cui fanno riferimento i colleghi dell’Iss». A venire incontro alle sue preoccupazioni sono, in un documento di ieri, i presidenti degli ordini dei medici toscani. A loro volta in apprensione per il numero degli operatori contagiati in regione, gli ordinisti della Federazione regionale-Ftom ricordano come l’Inail, ente preposto alla tutela dei lavoratori dagli infortuni, nel fact sheet “Covid 19 e protezione degli operatori sanitari” di qualche giorno fa citi come “precauzioni standard da applicarsi in tutte le strutture sanitarie” i seguenti due gradi di protezione: per il personale sanitario non direttamente esposto a procedure generanti aerosol, mascherine con filtranti respiratori Ffp2, protezione facciale/occhiali, camice impermeabile a maniche lunghe e guanti; e per il personale esposto filtranti respiratori Ffp3, oltre alle altre protezioni. Gli ordini toscani chiedono altre precauzioni. Le Asl dovrebbero comunicare al medico di famiglia il nominativo dei suoi pazienti positivi al virus. E, in carenza di dispositivi idonei, non andrebbe usata la mascherina chirurgica ma va modificato l’assetto organizzativo assistenziale. Intanto, il Sindacato medici italiani ha lanciato una sottoscrizione nazionale per l’acquisto di Dpi per i medici, si aderisce anche con un contributo minimo da versare sul cc n. IT 89 D 02008 05119 000400439844, causale “Acquisto mascherine per i medici”.

Anaao, 10mila medici in più con laurea abilitante? ‘Non esiste’

(da Adnkronos Salute)  Diecimila medici in più grazie all’abolizione dell’esame di abilitazione per i laureati in medicina? L’Anaao Assomed si dichiara “stupefatta” per le recenti dichiarazioni rese dal ministro dell’Università Gaetano Manfredi sulla stampa. Il ministro “annuncia con toni trionfalistici l’abolizione, che Ordini dei medici ed organizzazioni sindacali mediche chiedevano da anni”. E aggiunge che “a ore i neolaureati potranno essere impiegati subito nei servizi territoriali, nelle sostituzioni della Medicina generale, nelle case di riposo. Libereranno diecimila medici che saranno trasferiti nei reparti”. “Ma il ministro – denuncia l’Anaao – immagina automatismi occupazionali che non esistono, tantomeno un gioco di vasi comunicanti che vede migliaia di medici di medicina generale liberati per dirigersi, al ritmo della fanfara dei bersaglieri, verso il Pronto soccorso o l’attività ospedaliera in genere”.    Soprattutto in un momento come questo, “in cui occorrono conoscenze, competenze ed esperienza specialistica. Peraltro, in una immagine semplicistica dei servizi sanitari territoriali come terreno ideale per stagisti alla prima esperienza. Spiace, inoltre, rivelare al ministro che con questo decreto non è stato accorciato di otto, nove mesi l’ingresso nel mondo del lavoro dei laureati in Medicina. È stato, invece, allargato quell’imbuto formativo che già oggi tiene imprigionate speranze e aspettative di 8000 giovani medici, cui di fatto è impedita la possibilità di completare il percorso formativo – evidenzia il sindacato – Il ministro capirà facilmente, infatti, la differenza tra l’essere, dopo un percorso di sei anni, immediatamente medico ed essere specialista, cioè in possesso dell’unico requisito previsto dalla normativa vigente per accedere al lavoro nel Ssn”.    Insomma, “se non convince il Mef ad aumentare in maniera consistente, come gli ha già chiesto il presidente Fnomceo Filippo Anelli, il numero dei contratti di formazione specialistica e delle borse di studio in medicina generale, la soppressione dell’esame di abilitazione si rivelerà un buco nell’acqua e la sua proposta di incrementare a 13.500 gli accessi al corso di laurea un disastro, formativo ed occupazionale. Perché è questo provvedimento che chiedevano, e chiedono, gli studenti, i camici bianchi, i sindacati e gli ordini professionali per rispondere al bisogno di medici specialisti, diventato in Italia negli ultimi anni un’urgenza che la emergenza epidemiologica ha messo a nudo”.    “Se veramente ci si vuole adeguare agli standard europei, questa è la cruna dell’ago attraverso la quale si deve passare, con o senza il mondo universitario”, conclude il sindacato.

Coronavirus, in vigore il decreto Cura-Italia. Gli interventi economici lasciano indietro i medici

(da Doctor33)    Il decreto Cura-Italia, fatto per salvare l’economia in tempi di coronavirus, rischia di andare di traverso a chi l’Italia la cura davvero e cioè ai medici. Sia agli autonomi sia ai dipendenti. Ai primi, se liberi professionisti iscritti Enpam, nega di appoggiarsi al Fondo di garanzia al quale attingono tutte le categorie iscritte Inps ma contribuiscono tutte le casse previdenziali, inclusa la Fondazione. Ai secondi, iscritti Inps, se pubblici dipendenti aumenta l’importo degli straordinari, che però di rado sono fruibili e se fruiti sono stangati fiscalmente.
Liberi professionisti – In base al DL 9 del 2 marzo scorso, ai lavoratori autonomi iscritti Inps spetta un assegno di inattività già da marzo di 600 euro al mese per 3 mesi. Come ha scritto il presidente Enpam Alberto Oliveti al premier Conte, l’assegno doveva andare anche agli iscritti Enpam perché sia Inps sia Enpam contribuiscono al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione da cui sono tratte le risorse per l’assegno. Ci si aspettava una correzione. Invece, annuncia ora Oliveti, non c’è stata. I soldi arriveranno agli iscritti Inps, «per tutti gli altri iscritti a Ordini e collegi (compresi medici, odontoiatri e sanitari liberi professionisti e convenzionati), è stato istituito un “Fondo per il reddito di ultima istanza”, con una dotazione pro-capite molto inferiore e con tempi, criteri e modalità di attribuzione lasciati all’incertezza». Commento di Oliveti, che è anche presidente dell’associazione delle casse dei professionisti (Adepp): «E’ uno schiaffo a chi sta mettendo a rischio la propria vita per arginare la pandemia. Non solo ci vengono negati gli stessi diritti riconosciuti a tutti gli altri contribuenti, ma addirittura agli Enti previdenziali dei professionisti viene impedito di utilizzare risorse proprie per fronteggiare l’emergenza. Sembra che lo Stato consideri il patrimonio delle Casse intoccabile solo dai legittimi proprietari, mentre è toccabilissimo quando si tratta di sottoporlo a tassazione. Solo l’Enpam l’anno scorso ha pagato 180 milioni di euro di imposte sul proprio patrimonio. E ci vengono a dire che ai sanitari in prima linea non possiamo dare nemmeno una frazione di questi importi?».
Dipendenti – Il decreto Cura-Italia all’articolo 1 per i dipendenti del Servizio sanitario incrementa i fondi contrattuali per le condizioni di lavoro della dirigenza medica e sanitaria e per il personale del comparto. Non dice quanto prenderà ogni medico o infermiere in più all’ora: si tratta di 750 milioni e li suddivide tra le regioni secondo criteri preesistenti: 124 milioni alla Lombardia, 72 al Lazio, 70 alla Campania e poi a scendere. Le richieste dei medici in corsia erano un po’ diverse. Le ha riassunte in una lettera Giuseppina Fera della segreteria nazionale Cisl Medici: «Ricominciamo con una detassazione immediata delle retribuzioni e continuiamo, se e quando finirà l’epidemia, con un immediato rinnovo contrattuale adeguato, dando il giusto riconoscimento a chi lo merita». «La detassazione – dice Fera – dovrebbe avvenire su tutto il reddito, o almeno su quella parte di quota variabile rappresentata dagli incentivi, come l’indennità di risultato che ci viene versata annualmente e che però, nell’Irpef, cumulandosi con il reddito è tagliata di oltre il 50%. La risposta giunta dal Cura-Italia persiste nell’errore di premiare la produttività con incrementi su ore di lavoro straordinario. Ma per lo più gli straordinari non vengono pagati e se lo sono vengono supertassati a differenza che nel privato; giusto qualcosa si vede per gli straordinari in guardia, alimentati dal Fondo di disagio. A differenza degli infermieri, che se li vedono riconosciuti (a fronte di un lavoro spesso ancor più massacrante del nostro) noi medici in genere non ne fruiamo. Le ore, passato un po’ di tempo, ci vengono azzerate. In alcune aziende abbiamo ottenuto di recuperarle al momento di pensionarci. Darci soldi che poi non vediamo non serve a niente».
Meno critica Cosmed; la confederazione guidata da Giorgio Cavallero che raggruppa Anaao-Assomed, Aaroi-Emac, Fvm, Fedirets, Anmi Assomed-Sivemp Fpm, Aiic comunica: « È un primo limitato intervento ma non dobbiamo accontentarci: il Paese deve ripartire dai servizi pubblici. Tutti gli straordinari vanno retribuiti, inclusi quelli dei dirigenti; il 23 comma 2 del D.lgs. 75 (tetto al trattamento accessorio ndr) va abolito per tutte le categorie perché contiene penalizzazioni assurde su disagio, produttività e merito; sono necessari più medici specialisti e più dirigenti; vanno sospese le penalizzazioni dei dipendenti pubblici in caso di malattia. E va perseguita l’evasione».

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