Consegna di farmaci e dispositivi medici al domicilio per ridurre i rischi di contagio Covid 19 legati agli spostamenti

A seguito delle indicazioni regionali e di accordi dell’Ausl Romagna con Associazioni di categoria dei farmacisti e con Croce Rossa, e al fine di contrastare le concentrazioni di persone e quindi di contenere il più possibile la trasmissione del Coronavirus, in questo periodo e fino a nuova comunicazione, sono state attivate nuove modalità di consegna di farmaci e dispositivi medici al domicilio del paziente o presso la farmacia di fiducia  aperta al pubblico. Tale modalità riguarda  anche  medicinali abitualmente ritirati presso la distribuzione diretta nei punti erogativi ospedalieri, se per tali farmaci  non è necessaria rivalutazione da parte dello specialista.

Tutti i pazienti che utilizzano la distribuzione diretta possono rivolgersi alle farmacie territoriali.  Il  servizio di consegna domiciliare – effettuato tramite i volontari di Croce Rossa o altre Associazioni di volontariato – è invece prioritariamente rivolto a: anziani di età superiore ai 65 anni, disabili, immunodepressi, oncologici, persone Covid positive e in generale persone sole o con rete familiare assente o debole.

La consegna  può essere attivata dagli utenti, o da loro congiunti, con le seguenti modalità:

–           contattando direttamente il numero verde della Croce Rossa 800.065.510

–           recandosi presso la farmacia di fiducia con il piano terapeutico che avrebbero portato al punto di distribuzione diretta

–          contattando la distribuzione diretta della farmacia ospedaliera del proprio ambito territoriale ,  ai numeri sotto riportati nei seguenti orari: dal lunedì al venerdì dalle ore 8:30 alle ore 16:30.

Ambito territoriale

 

Num. Telefono Distribuzione Diretta Farmaci

 

Cesena

 

0547 352687

 

 Forlì

 

0543/731100

 

 Ravenna

 

0544/287248 / 285200

 

 Rimini

 

0541/705628 / 705565

 

Azienda USL della Romagna

Offesi, delusi e stanchi

(da M.D.Digital)    Con un comunicato congiunto che da voce a tutte le organizzazioni di categoria, i sindacati hanno espresso la loro ‘rabbia’ e delusione per le affermazioni del dottor Fortunato Paolo D’Ancona, ricercatore dell’Iss secondo cui non si sa se il personale sanitario sia stato contagiato “professionalmente oppure al di fuori del luogo di lavoro”.   “Siamo offesi, delusi e stanchi – scrivono i sindacati – dopo aver sentito, in conferenza stampa, le parole del dottor Fortunato Paolo D’Ancona, ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, arrivare ad affermare che non si sa se il personale sanitario sia stato contagiato “professionalmente oppure al di fuori del luogo di lavoro”, parole non immediatamente smentite dal Capo della Protezione Civile, Borrelli, che sa benissimo quanti, di che tipo e a chi ha consegnato i DPI. Sono giorni in cui medici, infermieri e gli operatori sanitari sono in prima linea nella battaglia contro il Covid 19 e per giunta senza o con inadeguati dispositivi di protezione individuale, considerati necessari, per non rischiare la loro vita e quella dei loro pazienti, ed in alcuni casi purtroppo perdendola la vita, senza per questo tirarsi mai indietro nonostante le palesi negligenze e mancanze organizzativo-gestionali, visibili sia a livello nazionale, regionale e aziendale, che stanno dimostrando una filiera di comando piena di vulnerabilità e di iniquità scaricata solo sul Servizio Sanitario Nazionale. A questo punto non si può che invitare – da un lato – il dottor D’Ancona a dimettersi e ritornare a fare il medico vero, quello che gli ammalati li cura non li conta con il pallottoliere, e quindi invitarlo presso gli studi dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, presso i poliambulatori delle Asl e presso gli Ospedali pieni di pazienti Covid-19, o sospetti tali, ad aiutarci a visitare e curare i cittadini malati con i Dpi ‘invisibili’ forniti sinora e a mani nude. Noi medici, però, siamo contagiati oggi, almeno positivamente, dalla ‘gratitudine ‘dei cittadini che ringraziamo per il Flash Mob di sabato, che ci da la forza di continuare in questa battaglia non facile, così facendo ci hanno fatto capire che sono loro la ‘Repubblica’ di cui parla l’art. 32 della nostra Costituzione, non certo quelli come il dr. D’Ancona e quelli come lui, su cui non contiamo più, ne vogliamo più che contino per noi e per i nostri assistiti. Solo garantendo la salute agli operatori sanitari tutti, con i fatti e non con le parole, avremo la speranza di poter salvare la popolazione e ricordiamo infine che questa era la prima raccomandazione fatta dall’Oms ed è stata, ad oggi, proprio nelle azioni di questi soggetti completamente disattesa”.

Le scuse dell’Istituto superiore di Sanità – In una lettera, inviata alla FNOMCeO, l’epidemiologo dell’Iss Fortunato D’Ancona pone le sue scuse per l’accaduto e precisa: “Mi rendo conto che alcune mie parole sugli operatori sanitari contagiati dal coronavirus, sono state fraintese e hanno suscitato reazioni negative tra il personale sanitario e le associazioni di volontariato. Con mio dispiacere, infatti, ancora poco sappiamo di questi operatori che hanno contratto la malattia per la quasi totalità dei casi nell’ambito dell’attività lavorativa. Il tempo limitato, della conferenza stampa, non ci ha permesso di dare un quadro esaustivo, ma ha fatto prevalere nella comunicazione un dettaglio tecnico su alcune incertezze epidemiologiche rispetto alla sostanziale evidenza che la preminenza della fonte è di natura professionale”.   In un’altra missiva, inviata alla FNOMCeO dal presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, l’Istituto Superiore di Sanità esprime un profondo rammarico per quanto accaduto. “A nome dell’Istituto Superiore di Sanità – scrive Brusaferro – e mio personale esprimo il profondo rammarico per alcune espressioni di un nostro ricercatore durante la conferenza stampa, presso la protezione civile, che, in modo del tutto involontario, hanno potuto dare l’impressione di una sottovalutazione del rischio di contrarre l’infezione in ambito lavorativo per i medici e per tutti i professionisti ed operatori sanitari, rischio che rimane in assoluto quello su cui focalizzare prevenzione e protezione particolarmente laddove la situazione epidemiologica ed assistenziale è più critica”.

COVID-19 e ACE inibitori: la posizione della SIIA

(da Cardiolink)   Con l’unico ed esclusivo scopo di evitare che i pazienti di tutti noi – in terapia con ACE-inibitori o sartani da anni – vengano ulteriormente spaventati (come certamente saprete e come risulta da loro ormai innumerevoli, angosciate telefonate)  da chi diffonde notizie che – in atto – sono solo una suggestione ed una ipotesi, se non una falsa notizia; è uscito un comunicato  stampa ufficiale della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA), presieduta dal Prof. Guido Grassi.  In atto NON esiste alcuna evidenza che gli ACE-inibitori favoriscano l’infezione da SARS-CoV-2 e/o che i sartani facciano lo stesso oppure proteggano dall’infezione stessa.   Due righe in sfavore di queste due classi di farmaci (queste le più note: “the safety and potential effects of antihypertension therapy with ACE inhibitors or angiotensin-receptor blockers in patients with COVID-should be carefully considered” su Nature Review Cardiology) oppure due righe in favore dei medesimi (queste le più note: “A tentative suggestion based on existing therapeutics, which would likely be resistant to new coronavirus mutations, is to use available angiotensin receptor blockers, such as losartan, as therapeutics for reducing the aggressiveness and mortality from SARS-CoV-2 virus infections” di David Gurwitz) possono e devono aprire il campo ad approfondimenti clinici, epidemiologici, fisiopatologici e molecolari, ma non possono ex abrupto divenire realtà.  Credo che molti pazienti – e forse non solo loro – abbiano confuso ACE con ACE-2 e che interessantissime suggestioni – promosse da alcuni ricercatori già al tempo della SARS – siano diventate rapidamente delle inoppugnabili verità; ma credo soprattutto che compito di SIIA e di tutti noi sia anche contribuire a non allarmare inutilmente chi spesso ha già ben più seri motivi di allarme.

Claudio Ferri

Già Presidente SIIA

Full Professor of Internal Medicine

Director of the Chair of Internal Medicine, School of Internal Medicine,

PhD course in Medicine and Public Health – University of L’Aquila, Department MeSVA

U.O.C. of Internal Medicine and Nephrology

Hypertension and Cardiovascular Prevention Unit – San Salvatore Hospital – 67100 Coppito – AQ – Italy

Certificati malattia, ecco quando si può scrivere in tempi di coronavirus. I nodi per il medico di famiglia

(da Doctor33)   Sta succedendo nel mondo del lavoro, nel privato. Lo studio del notaio chiude, il ristorante pure, per esigenze di “distanziamento sociale” da coronavirus. Notaio e proprietario dicono al dipendente: non stare ad aspettare le misure del governo per la cassa integrazione ché chissà quando arrivano, mettiti in malattia. Il dipendente chiede al medico di famiglia di certificare una malattia che non c’è e dunque non si può certificare. È infatti richiesta improprie da rinviare al mittente. Lo specifica ora l’Inps Ravenna nel rispondere a un quesito del presidente dell’Ordine dei Medici di Ravenna Stefano Falcinelli relativo alla circolare del 25 febbraio scorso Hermes 0000716.
Secondo questa circolare, tutte le forme che configurano assenza forzata del lavoratore a causa del coronavirus nel certificato di malattia vanno contrassegnate come quarantena obbligatoria o volontaria, isolamento volontario, sorveglianza attiva ovvero dal codice V 29.0 corrispondente alle suddette fattispecie. Ma il certificato si può scrivere solo quando l’assistito ha ricevuto specifico provvedimento di messa in isolamento etc dal Dipartimento di Prevenzione Asl. I medici non sono tenuti a rilasciare certificati richiesti dai datori di lavoro difformi dalle indicazioni precedenti.
In parallelo, nella Pubblica amministrazione da dipendenti con cardiopatie, diabete, bronco-pneumopatie arrivano richieste per essere posti in malattia. Il decreto 8 marzo raccomanda ad anziani e cronici di evitare di uscire di casa, per via delle conseguenze di un possibile contagio.
Silvestro Scotti segretario Fimmg, ricorda che il mmg redige il certificato non in base alla patologia cronica, che è in genere controllata, ma all’incapacità lavorativa del momento. Il rischio è di fare un falso ideologico. Dovrebbero essere i datori di lavoro a far lavorare questi pazienti da casa.
Si segnalano altri due problemi: le regole d’ingaggio tra dipartimento prevenzione Asl e medico di famiglia o pediatra e la certificazione che il paziente può tornare al lavoro dopo la quarantena. Secondo il decreto 8 marzo, chiunque venga da aree ad alto rischio contagio (ex zone rosse, Cina) da meno di 14 giorni deve avvertire il dipartimento di prevenzione dell’Asl. Quest’ultimo lo contatta e se tracciandone gli incontri lo ritiene “contatto stretto” di pazienti positivi al virus ne dispone quarantena e sorveglianza sanitaria (febbre misurata 2 volte al giorno e comunicata all’Asl nella telefonata quotidiana di quest’ultima). Il comma 2 del decreto afferma “in caso di necessità di certificazione ai fini Inps per l’assenza dal lavoro, (lo stesso Dipartimento di prevenzione Asl) procede a rilasciare una dichiarazione indirizzata all’Inps, al datore di lavoro ed al medico di medicina generale in cui si dichiara che “per motivi di sanità pubblica il Sig Rossi è stato posto in quarantena da… a…” Qui si apre un quesito: il medico Asl avverte sia il mmg sia l’Inps e il datore di lavoro o gli basta avvertire il medico di famiglia per avviare la pratica certificatoria? Mancano risposte dalle Asl, gli stessi mmg dicono che -essendo le linee telefoniche Asl intasate- hanno scritto il codice V29 anche senza pregresso coordinamento con il Dipartimento di prevenzione. Ciò potrebbe comportare che l’Inps neghi validità al certificato e copertura della “malattia forzata”, quindi un diritto. Sull’altro piatto della bilancia -spiegano i medici sui social -c’è il dovere del medico di fare di tutto per evitare l’espandersi dei contagi.

Altro nodo: quando i datori di lavoro chiedono al medico di famiglia di certificare che un paziente che è stato male, per influenza, Covid, altra infezione, è idoneo al rientro al lavoro.
Il medico, pur informato di uno stato di quarantena, come scrive la segretaria Fimmg Paola Pedrini «non è in alcun modo tenuto a redigere nessun tipo di certificazione, né avrebbe facoltà, visto che la certezza della guarigione dall’infezione può essere data solo dall’esecuzione di due tamponi entrambi negativi. La sola valutazione clinica non ha infatti la possibilità di accertare quanto richiesto. Il mmg al quale, nella sua pratica clinica, venga fatta questa richiesta, deve opporsi al rilascio di una certificazione che, altrimenti, risulterebbe del fatto falsa». «Riteniamo – conclude Pedrini- che, qualora si presenti tale problematica e si crei un contenzioso tra lavoratore e titolare, il lavoratore vada indirizzato al medico competente dell’azienda».

Enpam: rinvio contributi e delibera indennità per medici e odontoiatri

(da DottNet)   Il consiglio di amministrazione dell’Enpam ha deliberato le prime misure straordinarie a favore dei medici e degli odontoiatri coinvolti dall’emergenza Covid-19.

CONTRIBUTI PREVIDENZIALI – Tra le decisioni più significative, quella di far slittare dal 30 aprile al 30 settembre i termini per il pagamento dei contributi previdenziali.  Il posticipo riguarda sia la prima rata della Quota A di quest’anno sia la quarta rata della Quota B dell’anno scorso. Slitteranno poi anche le date per le rate successive: le nuove scadenze delle rate di Quota A saranno infatti 31 ottobre, 30 novembre e 31 dicembre. Infine, il versamento della quinta e ultima rata della Quota B del 2019 è stato posticipato al 30 novembre di quest’anno. Le misure deliberate complessivamente interessano una platea di circa 365mila medici e odontoiatri.

QUARANTENA – Per i medici e i dentisti che svolgono esclusivamente libera professione è stato confermato un contributo sostitutivo del reddito di 82,78 euro al giorno (circa 2.400 euro al mese) se sono stati costretti ad interrompere l’attività a causa di quarantena ordinata dall’autorità sanitaria. Il contributo, che rientra nelle tutele per calamità naturale, potrà essere richiesto con un modulo pubblicato oggi sul sito dell’Enpam, specifico per l’epidemia coronavirus (https://www.enpam.it/comefareper/chiedere-un-aiuto-economico/sussidi-extra-per-i-liberi-professionisti/sussidi-per-calamita-naturali-quota-b/#moduli)  Il consiglio di amministrazione ha introdotto una tutela simile anche per i medici e gli odontoiatri convenzionati costretti alla quarantena con provvedimento d’autorità. L’ente verserà un’indennità giornaliera per coprire i costi del sostituto o per compensare i mancati guadagni. Si tratta però di una misura che necessita dell’approvazione ministeriale per entrare in vigore. Nell’attesa è stato comunque pubblicato un modulo https://www.enpam.it/moduli/domanda-per-lindennita-di-quarantena/

IN ATTESA DELLO STATO – Questi provvedimenti sono stati deliberati in attesa di avere un quadro su ciò che lo  Stato prevedrà per la generalità dei lavoratori autonomi e dei professionisti, medici e dentisti compresi. “In questo momento drammatico durante un Cda intenso – ha commentato Alberto Oliveti, presidente dell’Enpam ­­­– abbiamo adottato queste prime misure per una categoria sul fronte dell’emergenza Covid-19. Allo stesso tempo abbiamo anche preso atto dei dati economici del 2019 registrando che la nostra Cassa ha versato allo Stato 180 milioni di euro in tasse e imposte. In questo senso – ha continuato Oliveti – sottolineo l’esigenza, mai come oggi impellente, di una fiscalità di scopo, che permetta di utilizzare una parte di questi 180 milioni per supportare una categoria come quella dei medici e degli odontoiatri che si trovano letteralmente in trincea. Inoltre ribadisco che l’obbligo imposto a Enpam di mantenere una riserva patrimoniale tanto ingente da garantire una sostenibilità a 50 anni appare quanto mai anacronistico – aggiunge il presidente Oliveti -, in un periodo storico di cambiamento accelerato in cui sarebbe più urgente garantire un sostegno migliore ai professionisti”.

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