La parodontite potrebbe favorire l’emicrania

(da DottNet)   La parodontite potrebbe favorire anche la cefalea, in particolare l’emicrania: infatti uno studio condotto da uno scienziato italiano ha evidenziato che chi soffre di parodontite ha un rischio del 50% maggiore di soffrire anche di emicrania. Lo studio è stato condotto da Francesco D’Aiuto, direttore dell’Unità di Parodontologia della University College di Londra – Eastman Dental Institute e pubblicato sulla rivista ‘Odontology’. Lo studio ha coinvolto 651 individui che soffrivano di emicrania, dei quali 393 presentavano di emicrania cronica. È emerso che il 50,2% degli individui con emicrania ha riferito di avere anche la parodontite.   “I dati sono ancora preliminari – ha spiegato D’Aiuto che è anche membro della Società Italiana di Parodontoloiga e Implantologia – ma le evidenze riscontrate dimostrano che i pazienti con parodontite hanno almeno il 50% di probabilità in più di soffrire di emicranie rispetto agli individui di controllo. La peculiarità di questa associazione – ha aggiunto – è che la diagnosi di parodontite può essere associata alla cronicità dell’emicrania stessa. Le ricerche del nostro gruppo seguite da Yago Leira in collaborazione con l’Università di Santiago di Compostela in Spagna confermano queste associazioni indipendentemente dai fattori di rischio tipici dell’emicrania”.    “Le ipotesi patogenetiche dell’associazione tra emicrania e parodontite – ha concluso l’esperto – si fondano sulla capacità della malattia gengivale di favorire l’infiammazione ‘sistemica’ (relativa a tutto l’organismo, quindi non solo locale) e la disfunzione endoteliale (delle pareti dei vasi sanguigni). Questi due processi (infiammazione e danno endoteliale) sono entrambi implicati nell’insorgenza e soprattutto nell’esacerbazione dell’emicrania”.

Sanità senza personale: dal 2012 al 2017 persi 26.500 operatori. I vuoti più vistosi tra infermieri, amministrativi, tecnici e medici

Tra il 2012 e il 2017 quelli in assoluto ad essere scesi di più sono gli infermieri (-7.055), seguiti dagli amministrativi (-6.102), dai tecnici (-4.727) e dai medici (-3.448). In totale il Ssn può contare su 648 mila unità. Questa la fotografia che emerge dall’elaborazione effettuata da Quotidiano Sanità sugli ultimi dati del Conto annuale pubblicati dall’Aran. Per quanto riguarda il totale della PA solo il personale delle Regioni ha perso più unità del Ssn (-55 mila). Al contrario la Scuola ha visto crescere i suoi lavoratori (+111 mila).  Leggi l’articolo completo al LINK

GB, crisi sanità pubblica, crolla il numero dei medici di famiglia

(da Ansa.it)   Continua il declino della sanità pubblica britannica (Nhs) innescato da anni di tagli e dalle politiche di austerity. Lo confermano i dati di una ricerca condotta dal think tank Nuffield Trust per conto della Bbc, stando ai quali il numero dei cosiddetti Gp, i medici di famiglia del Regno, è sceso da una media di 65 per 100.000 abitanti registrata nel 2014 a non più di 60 l’anno scorso: un calo mai visto a questa velocità da mezzo secolo. A provocare il fuggi fuggi, fra dimissioni e nuovi ingressi mancati, sono le condizioni di superlavoro e gli stipendi insufficienti, sostengono le organizzazioni mediche. «Non si può permettere che la rete dei Gp collassi in questo modo, è un pilastro assolutamente cruciale del sistema sanitario nazionale», ha commentato raccogliendo l’allarme Helen Stokes-Lampard, presidente del Royal College dei medici di base. La crisi si traduce in tempi d’attesa per una visita standard che in alcune zone dell’isola hanno toccato le 7 settimane e nell’impossibilità di un terzo dei pazienti di ricevere assistenza in giornata dall’Nhs anche in caso di urgenze. Il governo Tory di Theresa May si difende evidenziando di aver avviato negli ultimi anni un primo rilancio di risorse pubbliche per la sanità. Briciole, replica l’opposizione laburista di Jeremy Corbyn.

E’ boom di antidepressivi tra medici e operatori sanitari

(da DottNet)   ‘Prevenzione e gestione degli atti di violenza nei confronti degli operatori sanitari è il titolo della prima edizione del corso di formazione organizzato dalla Asl Roma 2 all’ ospedale Sant’ Eugenio, patrocinato dall’ Ordine dei Medici e dall’ Ordine delle Professioni Infermieristiche di Roma. Quello dell’ aggressione ai medici e agli operatori sanitari è tema ancora al centro delle cronache e lascia strascichi psicologici e psichiatrici notevoli come stress, disturbo post-traumatico da stress, disturbi d’ ansia e forme depressive medio-gravi.   Ma l’elemento nuovo emerso da uno studio condotto dalla dottoressa Cannavò sulla totalità degli operatori ha messo in evidenza che addirittura il 93% dei dipendenti ha riferito stress legato a frequenti episodi di violenza . Ma il dato ancora più allarmante è che se lo stress si cronicizza i medici e gli operatori sanitari, in mancanza di centri dedicati alla prevenzione e alla gestione delle conseguenze della violenza sugli operatori sanitari, si tutelano come possono, addirittura autosomministrandosi benzodiazepine e antidepressivi senza controllo specialistico psichiatrico, con tutte le ricadute personali e lavorative del caso non solo sul singolo lavoratore stressato, ma sulla qualità delle cure rivolte ai cittadini, sull’ immagine dell’ azienda e del Ssn. Come dichiarato dall’ Oms nel 2020 la depressione sarà la vera emergenza mondiale e tra le fila dei nuovi pazienti ci saranno proprio i medici e gli operatori sanitari.   Poiché la violenza è ormai considerata il più importante fattore di rischio specifico di stress lavoro, bisognerebbe intervenire sui primi segnali di stress dell’operatore sanitario e non intervenire soltanto quando le vittime hanno subito episodi di violenza, proprio per prevenire ed evitare gravi conseguenze psichiatriche. Per violenza nei luoghi di lavoro non si intende solo la grave lesione fisica, ma soprattutto i maltrattamenti verbali, che sono, sempre secondo quanto emerso, la forma più frequente di violenza psicologica e che si consumano quotidianamente ormai in tutte le strutture sanitarie.     Bisognerebbe per questo agire su più fronti, compreso quello della comunicazione, per capire cosa porta al gap che si crea tra i medici e operatori sanitari e i pazienti e i familiari che sentono negati i propri diritti, disattese le loro aspettative e che agiscono in modo ‘violento’ con il malcapitato di turno. Al riguardo, bisognerebbe fare anche delle indagini, chiedendo direttamente ai cittadini quali siano le loro aspettative.   Il problema della violenza ai danni degli esercenti le professioni sanitarie è così sentito che, su proposta del ministro della Salute, Giulia Grillo, è all’esame del Senato un DDL antiviolenza per proteggere le professioni sanitarie. Il provvedimento prevede un’ integrazione dell’ articolo 61 del codice penale (‘Circostanze aggravanti comuni’) che disciplina le circostanze aggravanti nei confronti di chi commette reati con violenza o minacce in danno degli operatori sanitari nell’ esercizio delle loro funzioni. Tuttavia, quel che è certo è che la violenza non può essere solamente considerata come un problema di sicurezza nei luoghi di lavoro o come un reato da perseguire penalmente. L’obiettivo primario dovrebbe essere proprio la tutela del benessere degli operatori sanitari, intesa sia come miglioramento della soddisfazione lavorativa sia della loro salute. Per questo si deve agire sulla prevenzione dello stress, per evitare conseguenze mediche importanti, come l’ ipertensione e le malattie cardiache, e le patologie psichiatriche gravi come il disturbo posttraumatico da stress, i disturbi d’ ansia e i disturbi depressivi.

Una buona igiene orale per prevenire la disfunzione erettile

(da M.D.Digital)   Gli uomini che soffrono di parodontite sono a maggior rischio di soffrire di disfunzione erettile. La buona notizia è che un efficace spazzolamento dei denti, associato a una buona igiene orale, può aiutare a prevenire la disfunzione sessuale maschile.    Questo è il messaggio di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Chirurgia e Specialità Chirurgiche (Urologia) e del Dipartimento di Stomatologia dell’Università spagnola di Granada.  I batteri parodontali o le citochine infiammatorie prodotte a livello gengivale danneggiano le cellule endoteliali vascolari e se questa disfunzione endoteliale coinvolge i vasi sanguigni del pene, l’alterazione dei flussi sanguigni può tradursi in disfunzione erettile.  Questo studio è stato condotto su un campione di 80 uomini, utilizzando 78 controlli: i partecipanti hanno fornito i loro dati sociodemografici, sono stati sottoposti a un esame parodontale e sono stati testati per livelli di testosterone, profilo lipidico, proteina C-reattiva, livelli di glucosio nel sangue e emoglobina glicata.  I ricercatori hanno scoperto che il 74% dei pazienti con disfunzione erettile mostrava segni di parodontite. Quelli con la forma più grave di disfunzione erettile presentavano il peggior quadro di danno parodontale, mentre i pazienti con parodontite presentavano una probabilità di presentare una disfunzione erettile superiore di 2.28 volte rispetto ai pazienti con gengive sane. Le variabili biochimiche associate alla disfunzione erettile erano trigliceridi, proteina C-reattiva e emoglobina glicata.
(Martín A, et al. Chronic periodontitis is associated with erectile dysfunction. A case-control study in european population. J Clin Periodontol 2018; 45: 791-798) 

 

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