Carie nei bambini. La genetica conta poco

(da Quotidiano Sanità e Reuters Health)   Più che la genetica, nell’insorgenza della carie nei bambini sembrano giocare un ruolo importante i fattori ambientali. È quanto emerge da uno studio condotto su gemelli australiani, pubblicato su ‘Pediatrics’.  I ricercatori – guidati da Mihiri Silva della University of Melbourne e del Murdoch Children’s Research Institute del Royal Children’s Hospital della città australiana – hanno seguito 345 gemelli dalla 24° settimana di gestazione fino ai sei anni. A quest’età, il 32% dei bambini presentava carie e il 24% carie avanzata.  Per vedere quale fosse il ruolo della genetica nel rischio di carie, i ricercatori hanno osservato la frequenza di questa patologie dei denti in coppie di gemelli identici – che hanno identiche variazioni genetiche – e in gemelli fraterni, che solitamente condividono circa la metà delle loro variazioni.  Il rischio che entrambi i fratelli sviluppassero qualsiasi forma di carie era simile per coppie identiche e fraterne, e questo suggerisce che la genetica non spiega gran parte del rischio di sviluppare una carie.
“Questo potrebbe sfatare l’idea che le persone siano geneticamente destinate ad avere denti meno forti e dovrebbe spingerci a trovare il modo di affrontare i fattori di rischio che sappiamo essere importanti per la salute dentale”, dice Mihiri Silva.   Nello studio australiano, in 29 coppie di gemelli entrambi i bambini hanno avuto carie, mentre in altre 33 solo un bambino ne era affetto. In 26 coppie entrambi i bambini hanno presentato carie avanzata, mentre in altre 31 a esserne affetto era un solo componente. Tre fattori ambientali hanno avuto un particolare impatto sul rischio di carie: obesità materna, difetti nella mineralizzazione dello smalto dei denti e mancanza di fluorizzazione dell’acqua.  Lo studio non era un esperimento controllato progettato per dimostrare se o come uno qualsiasi di questi fattori potesse causare direttamente carie, ma è possibile che l’obesità materna possa influenzare il rischio di problemi di salute orale dei bambini a causa di abitudini alimentari o di stile di vita condivisi che influenzano la suscettibilità ai problemi dentali.
Le madri obese, per esempio, potrebbero essere più propense a comprare alimenti poco sani che possono contribuire alla carie. La fluorizzazione dell’acqua potabile ha dimostrato di ridurre il rischio di carie, ma non è universalmente disponibile negli acquedotti pubblici. E i difetti nella mineralizzazione che indeboliscono lo smalto possono iniziare a svilupparsi nell’utero e nella prima infanzia. Questofenomeno può essere causato da alcuni farmaci assunti dalle donne durante la gravidanza o dai bambini nelle prime fasi della vita, nonché da una cattiva alimentazione e da alcune malattie nella prima infanzia.

Malattie neurodegenerative, nuove speranze da un farmaco per l’ipertensione

(da Doctor33)  Felodipina, un farmaco attualmente usato per l’ipertensione, potrebbe essere un candidato promettente per il trattamento di patologie neurodegenerative, secondo uno studio pubblicato su ‘Nature Communications’. In sperimentazioni su modelli animali, la molecola ha infatti dimostrato la capacità di indurre un processo di autofagia in grado di eliminare le proteine tossiche dalle cellule cerebrali. «I nostri dati suggeriscono che felodipina induca l’autofagia nei neuroni e aumenti la rimozione di huntingtina mutante, caratteristica della malattia di Huntington, alfa-sinucleina mutante, presente nel morbo di Parkinson, e proteina tau, tipica del morbo di Alzheimer» spiega David Rubinsztein, della University of Cambridge, autore senior dello studio. «In particolare dobbiamo sottolineare che felodipina riesce a rimuovere l’alfa-sinucleina mutante dal cervello dei topi a livelli ematici simili a quelli che si vedrebbero negli esseri umani che assumono il farmaco per l’ipertensione» aggiunge. Gli esperti hanno utilizzato topi e zebrafish geneticamente modificati per il loro studio. I topi presentavano infatti alterazioni geniche che li inducevano a sviluppare la malattia di Huntington o una malattia simile a quella di Parkinson, mentre i pesci avevano alterazioni che inducevano cambiamenti simili a una demenza.   I ricercatori hanno inserito minipompe sotto la pelle dei topi per consentire la somministrazione di concentrazioni di farmaci a livelli simili a quelle utilizzate negli uomini e per mantenere i livelli stabili senza fluttuazioni. Ebbene, il trattamento con felodipina ha ridotto l’accumulo delle proteine tossiche e dei segni della malattia nei modelli murini della malattia di Huntington e del morbo di Parkinson, nonché nel modello di demenza in zebrafish. «I dati che abbiamo rilevato dopo questa somministrazione con pompe suggeriscono che, a concentrazioni plasmatiche simili a quelle tollerabili nell’uomo, la felodipina possa indurre autofagia nel cervello dei modelli animali ed eliminare le proteine che sono alla base di alcune malattie» scrivono gli autori. Tuttavia, questi risultati rappresentano solo un inizio, come sottolinea Rubinsztein. «Dobbiamo essere cauti, ma vorrei dire che possiamo essere cautamente ottimisti. Il farmaco ora secondo noi merita di essere testato nell’uomo» conclude l’esperto.
(Nat Commun. 2019. Doi: 10.1038/s41467-019-09494-2
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31000720)

Nella barba degli uomini più germi che nel pelo dei cani

(da DottNet)   Cattive notizie per gli hipster: gli uomini con la barba nascondono più germi di quanti se ne annidino nel pelo dei cani. A lanciare il curioso avvertimento, da cui deriva il consiglio di usare più spesso uno shampoo per barbe, è uno studio svizzero, dell’Hirslanden Klinik, pubblicato su ‘European Radiology’. Gli studiosi hanno voluto scoprire se c’era il rischio che gli uomini potessero contrarre una malattia trasmessa dai cani da uno scanner per la risonanza magnetica utilizzato anche per gli esami da parte dei veterinari.  Hanno prelevato dei tamponi dalla barba di 18 uomini, tutti di età compresa fra 18 e 76 anni, e dal collo di 30 cani, di varie razze, confrontando i risultati.  È stato riscontrato così che vi era un carico batterico significativamente più alto in campioni prelevati dalla barba maschile rispetto a quelli che provenivano dal pelo dei cani.  Tutti gli uomini hanno mostrato una conta batterica elevata, mentre tra gli animali ad averla erano 23 su 30, gli altri si attestavano su livelli moderati.  In sette campioni prelevati da uomini, in più, sono stati trovati microbi che rappresentano una potenziale minaccia per la salute umana.  Dopo esami di risonanza magnetica dei cani, gli scanner sono stati disinfettati e gli studiosi hanno osservato un numero di batteri significativamente inferiore rispetto ai livelli osservati quando gli stessi macchinari erano stati utilizzati dagli uomini.  Sulla base di questi risultati, concludono gli studiosi, “i cani possono essere considerati puliti rispetto agli uomini barbuti”.

Nasce il comitato dei medici vessati dai pazienti: “Arroganti e maleducati, pretendono le diagnosi via Whatsapp”

(da TGCom24)  Nasce il comitato dei medici vessati. Un dottore di Treviso, Gianfranco Aretini, e alcuni suoi colleghi – per ora una decina – hanno deciso di unire le forze e fondare un comitato che tuteli i professionisti e promuova iniziative volte a ricostruire il rapporto medico-paziente. “Ormai i pazienti vengono da noi e chiedono farmaci come al supermercato ordinano un etto di prosciutto. L’atmosfera è sempre più tesa, siamo in prima linea, vessati e maltrattati. I nostri pazienti sono sempre più arroganti, maleducati, pretenziosi. Pretendono di sapere già tutto perché lo hanno letto su Internet, vogliono una diagnosi su due piedi e via Whatsapp”, spiega il medico di famiglia Aretini a ‘La Tribuna di Treviso’.  “Partiamo da un dato di fatto imprescindibile. Se un medico sbaglia, è giusto che paghi. La mia non è una difesa di categoria, sia chiaro. E non sono iscritto a nessun partito. Ma non si può stare in silenzio di fronte a ciò che accade nei nostri ambulatori”, spiega il medico. Tra gli esempi riportati da Aretini al quotidiano di Treviso un paziente che ha fatto irruzione nel suo studio mentre stava visitando perché non voleva aspettare, uno che minaccia denunce di continuo. E ancora quello che ha chiesto una diagnosi dermatologica via Whatsapp. “Poi ci sono i colleghi ospedalieri, che subiscono l’ira dei parenti, denunce continue. Lavorano in condizioni sempre più difficili e non c’è mai un grazie, solo pretese”, continua il dottore.  “È un problema grave, profondo, che va risolto. Tanti miei colleghi hanno scelto di lasciare il lavoro grazie a Quota 100 perché non ce la fanno più. La professione medica sta diventando sempre più difficile da svolgere. Eppure gli strumenti sono sempre più precisi, raffinati. Il problema vero è il rapporto con il paziente. È una questione che va affrontata. Non ha senso spendere milioni di euro per realizzare un nuovo ospedale se poi nessuno vi lavorerà. Le istituzioni sanitarie devono intervenire quanto prima, anche se in realtà è già troppo tardi. Lo fa capire il fatto che la professione medica ha perso appeal tra i giovani, il fatto che i pazienti non abbiano più alcun rispetto per noi professionisti. Il comitato nasce proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso la stampa, ma anche la politica e le istituzioni”, spiega ancora Aretini.  “Non c’è tempo da perdere – conclude – Gli ospedali rischiano di svuotarsi di professionisti e anche la medicina generale non se la passa bene. Chi curerà quando nessuno vorrà più fare il medico?”.

Direttore sanitario ed obbligo di iscrizione all’Ordine dove esercita la struttura, finito il periodo transitorio

(da Odontoiatria33)   A prevedere l’obbligo per il direttore sanitario di iscrizione all’OMCeO della provincia dove il centro odontoiatrico esercita, è una norma inserita nella Legge di Bilancio del 2019 entrata in vigore il primo gennaio. Il provvedimento prevedeva un periodo di transizione di 120 giorni che è terminato il primo maggio.  Da giovedì 2 maggio, quindi, tutte le strutture odontoiatriche per cui è previsto l’obbligo di direttore sanitario dovranno rispettare quanto imposto dalla Legge ovvero: direttore sanitario esclusivo (previsto dalla legge Concorrenza 2017) iscritto all’Ordine della provincia dove la struttura esercita.   Sanzioni     La Legge non prevede sanzioni specifiche ma in caso di controllo, se la struttura ha affidato la direzione sanitaria ad un iscritto ad un Albo di una provincia differente da quella di esercizio, risulterebbe come se fosse “senza direttore sanitario”, spiegano ad Odontoiatria33 alcuni presidenti provinciali CAO. Quindi, ci dice l’avvocato Silvia Stefanelli, “è ipotizzabile che venga intimato alla proprietà una data entro la quale adeguarsi prima di vedersi sospesa l’autorizzazione sanitaria”. Per l’iscritto che assume la direzione sanitaria, o continua a mantenerla senza effettuare il trasferimento dell’iscrizione, potrà incorrere in sanzioni deontologiche in quanto non rispetta una norma. “Sarà il proprio Ordine a convocare l’iscritto e valutare la situazione ed eventualmente a decidere l’entità della sanzione”, ci hanno spiegato alcuni presidenti CAO. Ma da giovedì chi non ha ottenuto o richiesto il trasferimento sarà passibile di sanzione?   A ricordare come “l’importante è aver presentato domanda” era stato il presidente nazionale CAO Raffaele Iandolo  chiarendo come “c’è bisogno di un periodo di transizione. Certamente gli OMCeO provinciali non saranno dal primo maggio a sollecitare i controlli nelle strutture e saremo sicuramente disponibili a valutare ogni singola questione e criticità”.   Possono richiedere il trasferimento ad un altro Ordine tutti gli iscritti in regola con il pagamento della quota di iscrizione e con il versamento dei contributi ENPAM e che non abbiano un procedimento disciplinare in corso (compreso quelli per cui si è proposto ricorso alla CCEPS).  Sui tempi necessari per evadere le domande di trasferimento questi possono sfiorare anche i 60 giorni per via delle verifiche da effettuare e perché le domande devono essere vagliate dal Consiglio dell’Ordine di uscita e da quello in entrata, che solitamente si riunisce una volta al mese. Va anche detto che i direttori sanitari che, alla data di entrata in vigore della Norma, avevano già assunto l’incarico, e non erano iscritti nell’Ordine provinciale dove opera la struttura, hanno avuto 120 giorni per presentare la domanda di trasferimento.  E comunque il direttore sanitario che ha trasferito l’iscrizione presso l’Ordine della provincia dove la struttura opera, può esercitare la professione come libero professionista in qualsiasi parte d’Italia.

Congedo per malattia in assenza di certificazione le visite di controllo non rientrano nell’assenza

(da Doctor33)    Si considera malattia tutelabile l’alterazione dello stato di salute (“infermità”) che abbia come conseguenza un’assoluta o parziale incapacità al lavoro, e la tutela va riferita ad ogni fase del fenomeno morboso, dalla manifestazione iniziale dell’evento alla cura dello stesso (esempio: ricoveri ospedalieri svincolati dall’esistenza di uno stato patologico o predisposti per accertamenti diagnostici o per esami di laboratorio necessari per la cura di una patologia). Oltre alla malattia comune sono considerati eventi protetti l’interruzione di gravidanza (art. 19 d.lvo 151/2001, risp. Interpello ministro lavoro 19.8.2008, n. 132), le esigenze profilattiche (Circ. I.n.p.s. n.134381/1981), i ricoveri giornalieri in luoghi di cura (Circ. I.n.p.s. n. 136/2003), i ricoveri per donazione di organi ( Circ. I.n.p.s. n. 192/1996), la chirurgia estetica (e nei liti di cui Circ. I.n.p.s. 63/1991). Ciò premesso, le visite di controllo per patologia ipertensiva, per le quali non sia stata attivata la procedura di cui all’art. 55 septies, comma 2, TUPI (comunicazione e certificazione dell’assenza) non possono rientrare nel congedo per malattia. (avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net)

La valutazione dello stile di vita dovrebbe essere parte integrante della cura del diabete

(da Doctor33)   L’attività fisica contribuisce in modo significativo a migliorare la prognosi del diabete, ma questo aspetto risulta ad oggi sottovalutato anziché essere parte integrante del trattamento. Ecco le conclusioni di uno studio, primo autore William Kraus, del Duke Clinical Research Institute alla Duke University School of Medicine di Durham in North Carolina, appena pubblicato su ‘BMJ Open’. «L’attività fisica è strettamente legata a numerose complicanze del diabete, tra cui la mortalità per tutte le cause, la malattia cardiovascolare (CVD), l’ictus, legame che persiste inalterato anche dopo i necessari aggiustamenti in base all’indice di massa corporea. Inoltre, l’attività fisica è componente essenziale di una serie di studi sullo stile di vita in pazienti con CVD e diabete, ma i suoi effetti sono stati studiati raramente in studi clinici prospettici e randomizzati in soggetti ad alto rischio di diabete o CVD.  Per approfondire l’argomento i ricercatori hanno condotto un’analisi post-hoc dei dati dello studio NAVIGATOR, Nateglinide and Valsartan in Impaired Glucose Tolerance Outcomes Research, in cui 9.306 soggetti con ridotta tolleranza al glucosio e malattie cardiovascolari o fattori di rischio cardiovascolare, provenienti da 40 paesi, sono stati randomizzati a ricevere nateglinide o placebo oppure valsartan o placebo. A tutti i pazienti sono state raccomandate modifiche dello stile di vita: riduzione del peso corporeo, limitazione dei grassi saturi, e aumento dell’attività fisica. Il follow-up medio è stato di 6,4 anni con la progressione verso il diabete tra gli indicatori di efficacia del trattamento. «La nostra analisi era mirata a valutare se la quantità di attività fisica svolta fosse correlata al successivo sviluppo di diabete nei soggetti con ridotta tolleranza al glucosio» scrivono gli autori, che hanno valutato i dati del pedometro di 7.118 partecipanti, il 35% dei quali ha successivamente sviluppato diabete. E i risultati parlano chiaro: ogni incremento di 2.000 nel numero medio di passi giornalieri si associa a una riduzione del rischio di progressione verso il diabete pari al 5,5%, riduzione che supera il 6% dopo gli opportuni aggiustamenti statistici. «Questi dati non solo dimostrano l’utilità di misure oggettive dell’attività fisica negli studi clinici, ma suggeriscono che la valutazione dello stile di vita, con metodi anche molto semplici come il pedometro, dovrebbe essere parte integrante della pratica clinica nella cura del diabete» conclude Kraus.
(BMJ Open Diab Res Care 2018. doi:10.1136/bmjdrc-2018-000523  https://drc.bmj.com/content/6/1/e000523)

Rischi di Curcuma e Piperina

(da Fitoterapia33)    Curcumina e piperina, consigliate talvolta in miracolistici prodotti dimagranti, pur in assenza di evidenze, in realtà sono due sostanze che, insieme, presentano alcuni rischi più o meno significativi dal punto di vista clinico, di interazione con numerosi farmaci. Consigliamo a questo proposito di leggere uno dei più recenti lavori sperimentali comparsi in letteratura, che dimostra un rischio non banale: la possibile riduzione di efficacia del tamoxifene in circa un terzo dei soggetti che assumano il farmaco contemporaneamente a curcumina e piperina. Questo meccanismo è dovuto alla modulazione dell’attività del CYP2D6, anche se con gradualità diversa relativamente alla genetica del paziente. Ma il problema rimane.  E sarebbe certo spiacevole esporre pazienti oncologiche a rischi di inefficacia della terapia antiestrogenica per la sola assunzione di un prodotto naturale probabilmente inutile.  Buona lettura dell’articolo originale al LINK  

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