I pazienti vogliono più informazioni sulle loro terapie

(da Fimmg.org)   Moltissimi pazienti chiedono maggiori informazioni sui farmaci prescritti e sui marchi utilizzati; lo dice Janet Krska, professore dell’Università del Kent, che ha condotto ricerche sule problematiche a lungo termine della politerapia e ha scoperto che i pazienti che assumevano un alto numero di farmaci, più volte al giorno, richiedevano maggiori spiegazioni ed erano più preoccupati per gli effetti collaterali, rispetto a chi ne assumeva meno. Lo studio ha anche rilevato che i pazienti più anziani ritenevano che l’uso regolare di molti medicinali avesse un peso minore sulle loro abitudini di vita, rispetto ai pazienti più giovani. Più di un quarto degli intervistati desiderava maggiori informazioni sulle proprie medicine e sui marchi dei medicinali utilizzati, con una percentuale analoga preoccupata per il costo dei medicinali, mentre più della metà, per gli effetti avversi a lungo termine. Circa l’11% non era soddisfatto dell’efficacia dei loro medicinali e tra il 10 e il 16% era convinto che i farmaci assunti causassero interferenze con alcuni aspetti della loro vita quotidiana. Il 30% concordava sul fatto che la loro vita ruotasse attorno alle medicine e circa un quarto sentiva di poter decidere se usarle o no. Il 16% non ha ritenuto che il medico abbia ascoltato la propria opinione sui farmaci e per l’11% il curante non si preoccupava seriamente degli effetti collaterali. Krska e altri due ricercatori della Medway School of Pharmacy dell’Università del Kent hanno, quindi, sviluppato un nuovo questionario, il “Living with Medicines”, per misurare meglio l’influenza del carico dei farmaci sui pazienti. Sono state coperte otto aree: relazioni con gli operatori sanitari, difficoltà pratiche, interferenza con la vita quotidiana, mancanza di efficacia, effetti collaterali, preoccupazioni generali, costi e mancanza di autonomia.

(Janet Krska et al. Health & Social Care in the Community, 2018.)

Numero chiuso all’università, Enpam: priorità è favorire l’accesso al lavoro

Il tema del lavoro deve tornare al centro del dibattito sul numero chiuso all’università: è l’invito del presidente dell’Enpam Alberto Oliveti. “La priorità deve essere quella di collegare strettamente l’accesso al corso di laurea con le specializzazioni, facendo in modo che chi comincia a studiare medicina abbia la certezza di poter poi completare il ciclo diventando specialista nelle discipline tradizionali o in medicina generale. Comunque un medico laureato, non dotato di specializzazione, deve poter lavorare mentre completa il ciclo di studio specialistico – afferma il presidente dell’ente previdenziale dei medici e degli odontoiatri –. Dal corso di laurea deve uscire un medico operativo”.  “Ai giovani che si iscrivono a medicina infatti vengono richiesti anni di sforzi e di dedizione – aggiunge Oliveti –. Bisogna essere seri nei loro confronti facendo in modo che tutti alla fine abbiano le competenze e i titoli per poter inserirsi nel mondo del lavoro”.     “Detto questo sarebbe opportuno quantomeno alzare il numero programmato del 10-15% rispetto ai fabbisogni rilevati per il settore pubblico. I nostri medici infatti hanno sbocchi anche in altri ambiti e non tutti necessariamente all’interno del Servizio sanitario nazionale italiano. Il settore privato deve poter contare su risorse dedicate, contribuendo inoltre a formarle, per una giusta competizione con il pubblico. Inoltre occorre tagliare i tempi morti tra la laurea e il livello successivo”.      “Nel caso degli odontoiatri il problema è diverso rispetto ai medici, ma è sempre legato alle prospettive di lavoro: i laureati in odontoiatria completano il loro corso di studi che oggi dura sei anni ma alla fine, per via di una normativa che risale a quando il corso di laurea specifico non esisteva, il loro titolo non consente di accedere ai concorsi per il Servizio sanitario nazionale – sottolinea Oliveti –. Bene ha fatto dunque il presidente della Commissione albo odontoiatri a sollecitare l’eliminazione del titolo di specializzazione per l’accesso all’odontoiatria pubblica”.

 

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