I farmaci antiepilettici aumentano il rischio di Alzheimer e demenza?

(da Fimmg.org)    L’uso di farmaci antiepilettici sembra associato a un aumentato rischio di malattia di Alzheimer e demenza, secondo un nuovo studio dell’University of Eastern Finland e del German Center for Neurodegenerative Diseases (DZNE). L’uso di farmaci antiepilettici per un periodo superiore a un anno è stato associato a un aumento del rischio del 15% di malattia di Alzheimer nel set di dati finlandese e a un aumento del 30% del rischio di demenza nel set di dati tedesco. Alcuni farmaci antiepilettici sono noti per compromettere la funzione cognitiva, che si riferisce a tutti i diversi aspetti dell’elaborazione delle informazioni. Quando i ricercatori hanno confrontato diversi farmaci antiepilettici, hanno scoperto che il rischio di malattia di Alzheimer e demenza era specificamente associato a farmaci che compromettono la funzione cognitiva. Questi farmaci erano associati a un aumento del 20% del rischio di malattia di Alzheimer e del 60% del rischio di demenza. I ricercatori hanno anche scoperto che maggiore è la dose di un farmaco che altera la funzione cognitiva, maggiore è il rischio di demenza. Tuttavia, altri farmaci antiepilettici, cioè quelli che non pregiudicano l’elaborazione cognitiva, non erano associati a questo rischio. Il set di dati ha compreso 20.325 persone con diagnosi di demenza dal 2004 al 2011 e 81.300 controlli.

(Heidi Taipale et al. Journal of the American Geriatrics Society, 2018.)

Intramoenia, quando si profila il rischio di peculato per libera professione abusiva. La sentenza

(da Doctor33)   È reo di peculato il medico ospedaliero che dice di visitare in libera professione -intramuraria- ma lo fa all’oscuro dell’ente e tiene per sé tutto il compenso senza indirizzare il paziente al corretto pagamento della prestazione. Il reato – all’articolo 314 del codice penale – punisce con la reclusione i pubblici ufficiali che, disponendo di denaro altrui per via del loro servizio, se ne approprino. La Cassazione Penale con sentenza 25976/2018 punisce un cardiologo che, condannato in appello a due anni con la condizionale, aveva ricorso in sede straordinaria dopo che un’altra sentenza di Cassazione (la 35219/17) aveva confermato la condanna tranne l’interdizione dai pubblici uffici. Il ricorso straordinario (ex articolo 625 bis del codice di procedura penale) si fa in cassazione per sentenze della stessa Corte che presenterebbero errori; il medico lamentava “errori percettivi” che avrebbero esercitato “influenza decisiva sul processo decisorio”.
Il merito della condanna era peraltro caratterizzato: in sei occasioni il medico si era appropriato del corrispettivo pagato dai pazienti per prestazioni da lui effettuate in ospedale.    Ciò era stato fatto con i vertici del nosocomio all’oscuro: le prestazioni non erano state pagate correttamente alla cassa dell’ente, erano prive della trattenuta del 52% per l’azienda e di fattura. In Cassazione la prima volta, la difesa aveva sostenuto che il peculato non vi fosse. Il professionista esercitava abusivamente: non essendo stato autorizzato dall’ospedale a effettuare le prestazioni che gli erano state pagate, avrebbe ricevuto dai pazienti i soldi a titolo di onorario per una prestazione espletata illegittimamente. In parole povere, sarebbe stato “neutro” rispetto a un ipotetico danneggiamento alla struttura che non sapeva del suo agire. La Cassazione aveva replicato che per configurarsi peculato non è necessaria la presenza o assenza di autorizzazione al medico ad esercitare nelle sue mura. È sufficiente che il medico sia trovato là con in mano un corrispettivo pagato da un paziente in modo improprio. Infatti, il paziente, per il solo fatto di trovarsi in un ospedale, con quello ha instaurato un rapporto contrattuale di cura e non con il medico.
Il medico ha cercato di dimostrare che il suo esercizio non era continuativo e che aveva avvisato più volte l’ospedale del suo operare, dunque la struttura non era all’oscuro. I giudici di cassazione sottolineano la correttezza della sentenza precedente. “Non si è in presenza di un errore di fatto (motivo per il ricorso straordinario ndr) quando non risulti dovuto a una vera e propria svista materiale o a una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l’erronea decisione”. In realtà, oltre al fatto che l’ospedale ignorava che il ricorrente svolgesse attività intramoenia in epoca precedente al 21 febbraio 2008, nel percorso argomentativo avallato dalla sentenza di Cassazione in questione si tiene conto di tutta una serie di elementi probatori: intercettazioni ambientali nello studio del medico, pedinamenti dei pazienti, dichiarazioni di questi ultimi e controlli alle casse. La Cassazione spiega infine che, a dispetto della tesi da lui sostenuta, il medico “visitando presso le strutture ospedaliere numerosi pazienti e percependone i compensi che poi ha indebitamente trattenuto senza versare all’ospedale le quote di spettanza” ha esercitato libera professione “meramente interna e allargata”, palesemente in rotta con i dispositivi di legge. Il ricorso del camice è dunque manifestamente infondato, inammissibile, e il medico dovrà pagare 2 mila euro di spese legali.

Bruxismo e serramento: in forte crescita le diagnosi

(da DottNet)   Digrignare i denti (di notte o di giorno) o serrare con forza le due arcate dentali – le cosiddette “parafunzioni”, chiamate rispettivamente bruxismo e serramento dei denti (clenching) – sono due atteggiamenti piuttosto comuni che possono riguardare fino al 40% della popolazione, il 10-15% in forma grave. Attualmente si registra in forte crescita la diagnosi di parafunzioni, nonché degli effetti che esse determinano anche dal punto di vista neuromuscolare. Lo spiega Luca Landi, Presidente Eletto della Società Italiana di Parodontologia & Implantologia, precisando che mentre i disturbi di malocclusione riguardano il modo in cui i denti si interfacciano tra loro sulle due arcate, le parafunzioni sono atteggiamenti che determinano un contatto non fisiologico tra denti superiori e inferiori.  La causa delle parafunzioni è di origine nervosa centrale, spiega, in pratica è un modo che il nostro organismo utilizza per scaricare tensioni e stress somatizzando certe condizioni psicologiche.  Nel bruxismo si evidenzia il digrignamento (lo sfregamento dei denti sia in avanti e indietro, sia lateralmente); nel serramento i denti restano a contatto troppo a lungo con contrazione dei muscoli e dell’articolazione temporo-mandibolare. Questi atteggiamenti, prolungati nel tempo, sono devastanti non solo per il cavo orale, ma per gli effetti posturali e articolari che inducono.   Basti pensare che, se normalmente i denti vengono in contatto non più di 20 minuti al giorno(durante la masticazione o mentre parliamo), nel bruxismo i denti sono in contatto anche 6-8 ore su 24, il che significa che in termini di consumo di denti una settimana come bruxista equivale a un mese per un soggetto normale (che non soffre di parafunzioni).  Il bruxismo può avvenire sia di giorno sia di notte; quello notturno è più facile da identificare e controllare perché il paziente tende a svegliarsi con indolenzimento o dolore della bocca, o anche del collo e della testa. Altri segni che si notano nelle parafunzioni sono il consumo dei denti (che si presentano appiattiti nel bruxismo, mentre chi stringe i denti vede comparire dei buchetti nelle cuspidi dei molari) e un aumento della sensibilità termica.

In questi casi i bite notturni sono molto utili: si tratta di paradenti rigidi che servono ad evitare che i denti, venendo in contatto in modo anomalo, si consumino. Inoltre il bite evita così l’attivazione di recettori parodontali e l’innesco di un feedback neuromuscolare, consentendo di prevenire sia i sintomi del bruxismo, sia gli esiti a lungo termine su postura e articolazioni.  “Ma attenzione – afferma Landi – Il bite spesso è utilizzato senza una diagnosi corretta e con un bite non ben equilibrato il rischio è che il paziente non tragga alcun beneficio; sconsigliati sono anche i dispositivi fai da te che si trovano in farmacia e che si automodellano sulla bocca del paziente”.  Le parafunzioni, inoltre, possono essere anche diurne, ad esempio durante l’orario di lavoro o durante la pratica sportiva e sono in genere più complicate da gestire e in questi casi anche l’aspetto psicologico e la gestione dello stress contano tantissimo nella risoluzione del problema.

Col tempo il bruxismo e il serramento possono portare anche a alterazioni della conformazione anatomica dell’articolazione temporo-mandibolare che si manifestano con un ‘click’ mandibolare durante l’apertura della bocca per masticare o sbadigliare ad esempio. Lo scatto della mandibola può associarsi a dolore dell’articolazione e provocare acufeni e difficoltà masticatorie; anche problematiche relative ai denti del giudizio, in particolare quelli dell’arcata superiore, che quando sono malposizionati possono scatenare problematiche di natura funzionale. In questi casi si può ottenere un notevole beneficio dalla loro estrazione. E anche nel caso di click mandibolare lo stress, o la cattiva abitudine di mangiarsi penne e matita o di mordere la pipa possono influire, sebbene esistano condizioni anatomiche congenite predisponenti che sono spesso determinanti per l’insorgere di queste problematiche. La terapia per il ‘click’ mandibolare si basa su delle specie di bite che vengono realizzati per far sì che l’articolazione ritrovi un suo equilibrio e che permetta in molti casi al menisco articolare, simile a quello delle ginocchia, di muoversi in modo armonico con il resto dell’articolazione.  Nelle forme acute anche la terapia farmacologica può essere di aiuto con farmaci miorilassanti o ancora esercizi specifici per decontrarre la muscolatura della zona come ad esempio aprire e chiudere o portare in avanti la mandibola seguendo movimenti lenti e controllati.  In tutti questi casi, comunque, è cruciale la correttezza diagnostica e la comprensione, per quanto possibile, delle cause scatenanti, per non incorrere in lunghi e costosi trattamenti (come l’applicazione di un bite non corretto) che non si associano a benefici reali.

Pagamenti servizi e carburante, stop ai contanti. Da luglio medico deve dematerializzare i compensi

(da Doctor33)   Dal 1° luglio 2018 due rivoluzioni nel mondo delle transazioni. Dal benzinaio si potrà pagare solo con bancomat e carta di credito nel caso si sia lavoratori autonomi a partita Iva e si voglia scalare l’uso del proprio mezzo. Ma soprattutto, ogni datore di lavoro o committente-titolare di studio medico, odontoiatrico, farmacia incluso -non potrà più pagare in contanti i servizi offertigli; alla busta paga di lavoratori dipendenti e parasubordinati dovrà corrispondere un pagamento tracciabile. Il fine della norma è contrastare il comportamento fraudolento attraverso cui accade che un datore di lavoro segni in busta paga una retribuzione alta, ma poi in contanti versi una cifra inferiore a quella dichiarata.
Una frode possibile, come ci spiegano i commercialisti interpellati “per le vie brevi”, anche se per lo più fuori dal campo medico e odontoiatrico. Il senso della norma, come ha avvertito il tesoriere Fimmg Luigi Galvano che ha scritto una nota alle sedi periferiche, è che bisognerebbe prepararsi fin da adesso, da metà giugno, a versare ad assistenti di studio ed altri collaboratori il “quantum” dovuto:
• con bonifico su conto corrente del lavoratore con codice IBAN da quello indicato;
• con altri strumenti per i pagamenti elettronici;
• tramite assegno bancario o circolare consegnato direttamente al lavoratore o a un suo delegato, la delega è ammessa solo in caso di effettivo e comprovato impedimento e solo al coniuge, al convivente o altro familiare o affine del lavoratore, comunque sopra i 16 anni.
La chance residuale di versare in contanti direttamente in banca o alla posta, sussiste solo se il datore di lavoro ha aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento e in genere si applica solo per le grandi aziende. «Molti titolari di studio tuttora pagano in contanti – ci dice un commercialista “anonimo” – ma il problema più grosso è per i ristoratori e i piccoli commercianti che retribuiscono il cameriere o il complesso musicale a serata, e dovranno cambiare, pagando con sistema tracciabile o inserendo il bonus a fine mese, inquadrato magari contrattualmente». Sempre dal 1° Luglio, segnala Fimmg nazionale ripresa dalla Segreteria di Milano, ci sarà l’obbligo per i distributori di benzina di emettere fattura elettronica per l’acquisto di carburante per uso professionale. «Alla luce delle precisazioni sin qui rilasciate dalla Agenzia delle Entrate – Circ. n. 8 del 2018 – sembra delinearsi, in relazione alla posizione tributaria del medico di medicina generale, l’obbligo di farsi rilasciare dal distributore di carburante, ai fini della deducibilità del costo, la fattura elettronica con l’Iva esposta: documento che il medico provvederà a registrare nell’ambito delle fatture ricevute e a trattare fiscalmente in base alle attuali disposizioni di cui all’articolo 164 del Testo unico imposta sui redditi».  La vecchia scheda carburante, che si sarebbe prestata a essere “gonfiata”, va in pensione. «Si dovrà pagare con moneta elettronica: carta di credito o di debito (bancomat), da portare dietro al posto del contante», spiega lo stesso commercialista. «La convenienza a dedurre dal reddito imponibile le spese per il carburante sarà solo per il medico che viaggia di più, molto probabilmente deduzioni e detrazioni diminuiranno anche perché il recupero fiscale è pari al 20% e quello dell’Iva al 40%. La fattura spedita al telefonino potrà comunque essere scaricata collegandosi al sistema di accoglienza del Ministero dell’Economia dove è reperibile la posizione fiscale del contribuente». Dovrebbe essere il codice fiscale o la partita Iva del cliente acquirente la chiave per linkarsi all’archivio dell’Agenzia delle Entrate. Quest’ultima sta per mettere peraltro a disposizione due strumenti: per le partite Iva un QR Code da mostrare al fornitore e per il benzinaio un’app per acquisire i dati identificativi del committente e fare fattura subito.

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