Statine: qual è il beneficio della prevenzione primaria nei soggetti anziani?

(da Univadis)  Nei soggetti anziani (≥65 anni) con ipertensione arteriosa e iperlipidemia moderata, in assenza di malattia cardiovascolare nota, il trattamento con le statine a dose efficace, rispetto a cure tradizionali, dopo 6 anni di monitoraggio,  ha dimostrato che i tassi di mortalità ed eventi coronarici (EC) non hanno ottenuto un miglioramento significativo nel braccio con le statine (pravastatina 40 mg/die) rispetto al braccio con le cure tradizionali. Nei pazienti di età ≥75 anni, la mortalità è persino aumentata nel braccio con le statine fino a un livello molto vicino alla significatività statistica. E’ il risultato di un Un’analisi post hoc di quasi 2.900 pazienti di oltre 65 anni, arruolati tra il 1994 e il 2002 nella sperimentazione ALLHAT-LLT (https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/article-abstract/2628971?redirect=true )

Solo il 54% dei medici è in regola con i corsi di aggiornamento

(da DottNet)   Solo il 54% dei medici risulta in regola nell’ultimo triennio con i corsi di aggiornamento di Educazione formativacontinua (Ecm). Sebbene i numeri siano in crescita, di fatto quasi la metà dei camici bianchi è ancora inadempiente.  A poco più di un anno di distanza dall’entrata in vigore della legge 24/2017 (cosiddetta Legge Gelli), la formazione si conferma elemento chiave della norma che regola la responsabilità professionale in ambito medico-sanitario. È lo stesso articolo 3, infatti, a prevedere l’individuazione di idonee misure per la prevenzione e la gestione dell’errore sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure, nonché per la formazione e l’aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie.  L’ultimo triennio formativo ECM si è concluso con solo il 54% dei medici in regola (dati CoGeAPS); sebbene i numeri siano in crescita, di fatto, quasi la metà dei camici bianchi risulta ancora inadempiente. «Al di là del dovere deontologico – spiega Consulcesi Club, realtà di riferimento per oltre 100mila medici – il mancato aggiornamento ECM, alla luce del nuovo dettato normativo, si profila come possibile elemento negativo, in caso di contenzioso, nell’accertamento della responsabilità professionale». Un’eventualità tutt’altro che remota visto che, secondo gli ultimi dati dell’Associazione nazionale imprese assicuratrici (Ania), solo nel 2016 si sono registrate oltre 15mila denunce di sinistri in ambito sanitario.  Ed è proprio in ambito assicurativo che la formazione ECM gioca un ruolo sempre più fondamentale per quanto riguarda la stipula e i costi delle polizze. «La Legge Gelli, infatti, ha introdotto l’obbligo della copertura assicurativa della responsabilità professionale per colpa grave, – sottolinea Consulcesi Club – e le compagnie potrebbero contestare eventuali casistiche collegabili alla mancata formazione, oppure determinare costi più elevati per quanti non sono in regola con i crediti ECM, proprio in virtù del maggior rischio di errore». D’altro canto, invece, chi ha adempiuto all’obbligo formativo ha la concreta prospettiva di vedersi riconosciuti sconti sui premi assicurativi, infatti già diverse compagnie dichiarano di essere al lavoro in questo senso

Medici, indagine Uk mette a confronto gli stipendi. Italiani tra i più poveri

(da Doctor33)

Medici di famiglia ricchi come gli ospedalieri ma solo in apparenza, la qualità di reddito dipende dal contratto. Mette tutti d’accordo il sondaggio UK Doctors’ salary report condotto da Medscape su campioni di Mmg e specialisti che confronta le retribuzioni di “pari ruolo” britannici (caso di riferimento) e francesi, tedeschi, spagnoli e statunitensi (presi a parametro). Il campione Uk di 800 medici, 46% formati in Asia o da questa parte della Manica, di cui il 75% ospedalieri e il 25% “generalisti” (studi mono o pluriprofessionali, mono o pluribranca, assunti nelle healthcare organization o titolari), è confrontato con dati di 16 mila medici Us, 549 teutonici, 526 iberici, 937 francesi. Per i medici britannici è dato un reddito medio (totale stipendi annui diviso numero rispondenti) e uno mediano (dichiarato più spesso dai rispondenti) che è sempre inferiore: cioè è meno raro trovare “picchi” sui redditi alti. Viene poi considerato il reddito proveniente da attività extra specialità sia per i medici generalisti sia per gli specialisti, che va dall’8 al 12% del totale a seconda dei paesi. In tutto un medico di famiglia inglese arriva a prendere l’equivalente di 126 mila euro lordi medi che salgono fino quasi a 140 mila se è maschio, scendono di circa 40 mila euro se è femmina o se è sotto i 45 anni. Gli specialisti hanno una media di 10 mila euro più alta e una mediana più bassa, ci sarebbero dunque dei “superpagati” il cui “scatto” potrebbe derivare dalla libera professione di pochi (10 mila euro di introito aggiuntivo medio e 4 di valore mediano).  Nel confronto internazionale, il “generalista” francese prende il 20% in meno: neanche 100 mila euro lordi medi che salgono di 6 mila con lavori aggiuntivi o se si opera in ospedale; in Spagna si scende a 45 mila sterline, poco più di 51 mila euro, di reddito medio sul territorio e altri 3 mila euro in più se si è specialisti, e un 10% in più di introiti da altri lavori. Meglio in Germania: si prende una media di 117.300 sterline, cioè 134 mila euro sul territorio e un 5% meno se si lavora in ospedale; vantaggi simili ma proporzioni rovesciate sorvolando l’oceano: 183 mila euro medi al generalista e 250 mila allo specialista ospedaliero. Nel 2016 hanno denunciato più spesso aumenti i medici tedeschi e Usa, in crescita per un 35% dei casi, mentre francesi e spagnoli con perdite sono pari (15-16%) a quanti hanno conseguito guadagni. Tuttavia, i “ricchi” tedeschi e americani a fine mese riescono a mettere da parte di meno. Fanno tornare i conti l’80% dei francesi, l’82% dgli spagnoli, il 59% degli inglesi, il 57 dei teutonici e il 32% degli americani! E gli italiani? Le statistiche del Ministero dell’Economia parlano di un reddito medio lordo d’assistenza primaria pari a 65 mila euro contro i 75 mila dell’ospedaliero, di introiti cresciuti del 43% tra 2005 e 2010 e quasi fermi da allora, di punte stipendiali fino a 72 mila euro e passa per il Mmg con più assistiti o più over 75.
Per Fiorenzo Corti, vicesegretario Fimmg, «la bella ricerca sconta tre limiti. Intanto il paragone non va fatto tra sanità eterogenee, la nostra è come quella Uk e iberica, le altre sono costituite da mutue. All’estero in genere si riconosce al Mmg la possibilità di fare in studio diagnosi di secondo livello, retribuite. Secondo, pesa il tipo di contratto, noi e i titolari inglesi siamo liberi professionisti convenzionati a quota capitaria, gli spagnoli sono dipendenti, francesi e tedeschi hanno altri criteri. Terzo, i carichi di lavoro non sono comparabili, ciascun paese ha un modo diverso di coprire le 24 ore, noi abbiamo la continuità assistenziale per 12 ore, e i francesi o gli inglesi? Quanto agli specialisti, all’estero sono ospedalieri, da noi ci sono anche i territoriali. Tedeschi e americani in affanno a fine mese? Mi ricordano me e i colleghi che investono sulla qualità dello studio e ci ritroviamo a sborsare 5 mila mensili tra affitto e facilities, quando qualcun altro non paga perché comune o Asl gli mettono a disposizione i locali».
Per Aldo Lupo presidente dell’Union Europeenne des Medecins Omnipracticiens che raggruppa i sindacati dei Mmg continentali l’indagine ha almeno due limiti: «Le tipologie di contratto in realtà influenzano sia i comportamenti sia gli introiti dei medici; inoltre quando si parla di redditi c’è di solito più difficoltà a esporsi, quanto sono oggettivamente riscontrabili le cifre dichiarate nel sondaggio (dove servirebbero più nazioni)? Ciò detto, i dati sono credibili, è credibile il miglioramento nel 2016 in Germania dove il pagamento a prestazione induce maggiore competizione tra medici, e lo è quello in Uk a seguito dello sviluppo della convenzione che premia il general practitioner in base al raggiungimento di indicatori di qualità; ancor più credibile il nostro stipendio “certificato” dal Mef che temo a conti fatti somigli a quello spagnolo in apparenza più basso. I colleghi iberici sono in parte dipendenti, e lavorano in strutture messe a disposizione; noi paghiamo l’affitto dello studio, e giriamo per intero le compartecipazioni Asl per infermieri e assistenti di studio. Interessante il dato sulle donne che in Uk guadagnano meno: può essere influenzato dall’incidenza del part-time che consente di abbattere le liste al 50 o all’80%. Evidente il gap rispetto allo specialista: in Italia (e non solo, come si vede) guadagna di più e ha un rapporto di dipendenza che significa spese in meno e in più tredicesima, quattordicesima, ferie pagate».

ISS: nessun rischio con tanti vaccini insieme

(da Fimmg.org e Ansa.it)  È uno dei principali dubbi di molti genitori, anche di quelli favorevoli ai vaccini: «Ma così tutti insieme, non saranno troppi?». A far chiarezza è stato, di recente, uno studio pubblicato sull’autorevole rivista JAMA, commentato ora dagli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss): «è legittimo che i genitori si pongano queste domande» e «ci sono tutti gli elementi oggettivi per fornire loro una risposta rassicurante». I vaccini oggi disponibili, infatti, si legge sul portale dell’ISS, Epicentro, sono «controllati nella composizione» e hanno un ridotto numero di antigeni, ovvero le componenti costituiscono il principio attivo su cui si basa il vaccino, perché stimolano i meccanismi naturali di difesa del corpo. Nonostante il numero di malattie infettive contro cui si esegue la vaccinazione nei primi due anni di vita sia aumentato rispetto a qualche decennio fa (fino allo scorso anno l’obbligo era per 4, oggi è per 10), il numero massimo di antigeni, attualmente somministrati, «è inferiore a quello che i bambini italiani ricevevano in passato: è stato stimato che sommando tutti i vaccini nei primi due anni di vita si giunge a un numero complessivo di circa 250 antigeni». Al contrario, precisano gli esperti Iss, «qualsiasi malattia infettiva causata da un singolo agente patogeno comporta l’esposizione dell’organismo a migliaia di antigeni». Quanto al dubbio rispetto all’età a cui vengono somministrati, precisano, «a due mesi di vita, il sistema immunitario del bambino è già in grado di rispondere alla vaccinazione e aspettare non serve ad aumentare la sicurezza. Al contrario, rimandare le vaccinazioni prolunga il periodo in cui il bambino è suscettibile alle infezioni prevenibili, e alcune malattie sono molto più pericolose se contratte nei primi mesi di vita». Ma la domanda delle domande è: i vaccini multipli (come esavalente e trivalente) indeboliscono il sistema immunitario? Se così fosse, dovremmo osservare un aumento di infezioni batteriche e virali dopo le vaccinazioni. Ma così non è, come mostra un solido studio pubblicato su Jama. Gli autori hanno selezionato 193 bimbi tra 2 e 4 anni con una diagnosi di infezione non prevenibile con la vaccinazione (ad esempio delle vie respiratorie) e 751 casi senza: la probabilità di esser ricoverato era uguale tra chi era stato sottoposto a vaccini cumulativi nei primi mesi di vita e chi non lo era stato.

 

L’eccesso di alcol altera il microbioma orale e predispone ad alcuni tumori

(da Odontoiatria33)   L’eccessivo consumo di alcol modifica il microbioma orale, aumentando la presenza  di batteri patogeni; questa condizione può  favorire lo sviluppo di tumori della testa, del collo e del tratto digestivo. È quanto si legge sul numero di aprile della rivista  Microbiome dove viene presentata la ricerca di Jiyoung Ahn; l’autore da anni guida un team di scienziati del Perlmutter Cancer Center del Nyu Langone Health di New York City che studia i rapporti tra il microbioma umano (l’insieme dei microrganismi che vivono in simbiosi nel tratto digerente, dalla bocca all’ano) e numerose patologie neoplastiche.  I ricercatori hanno analizzato il ruolo dell’alcol sul microbioma orale con uno studio trasversale su 1044 adulti statunitensi (età media 67,7 anni, 95% caucasici), che prendevano parte a due ricerche sul cancro, attualmente in corso.   Al momento dell’adesione al progetto, tutti i partecipanti erano sani; hanno fornito campioni del loro microbioma orale e informazioni sul consumo di alcol: il 25,9% dei soggetti erano astemi, il 58,8% bevitori moderati e il 15,3% bevitori accaniti.  Tra i consumatori di alcol, il 13% beveva solo vino, il 5% solo birra a il 3,4% solo liquori. Il gruppo dei bevitori presentava percentuali più elevate di uomini e di fumatori.   Tra forti bevitori e astemi si registrava una spiccata diversità del microbioma orale e dei profili batterici in genere: una riduzione dei Lactobacilli commensali tra i consumatori di alcol; i bevitori accaniti presentavano una netta prevalenza di Actinomiceti, Leptotrichia, Cardiobacterium e Neisseria.   Gli autori osservano che alcuni di questi generi contengono specie patogene, mentre la Neisseria può sintetizzare dall’etanolo l’acetaldeide, una sostanza cancerogena per gli uomini.  Dopo avere verificato il livello di consumo di alcol, il team ha riscontrato che la diversità microbica e i profili differivano in modo significativo tra astemi e bevitori. Il consumo di alcol influisce sul microbioma orale, potenzialmente aumentando la potenza dei batteri patogeni presenti. “La disbiosi del microbioma orale può portare a patologia orale locale e potenzialmente a tumori della testa, del collo e del tratto digestivo” è la sintesi conclusiva di Jiyoung Ahn.

(Microbiome 2018 6:59. Drinking alcohol is associated with variation in the human oral microbiome in a large study of American adults – Xiaozhou Fan, Brandilyn A. Peters, Eric J. Jacobs, Susan M. Gapstur, Mark P. Purdue, Neal D. Freedman, Alexander V. Alekseyenko, Jing Wu, Liying Yang, Zhiheng Pei, Richard B. Hayes and Jiyoung Ahn) 

Privacy, attenzione: il GDPR è pienamente operativo dal 25 maggio

(da Fimmg.org)   Il Nuovo Regolamento Europeo per il Trattamento dei Dati Personali (GDPR) è in pieno vigore dal 25 Maggio. Era prevista, anticipatamente a questa data, l’emanazione di un decreto da parte del Governo sulla base di una Legge delega dell’Ottobre 2017 per adeguare la normativa italiana al GDPR, unicamente a riguardo delle materie in cui lo stesso GDPR prevede la competenza delle normative nazionali: sempre sulla base della stessa Legge delega, la scadenza ultima per la sua emanazione è quella del 21 Agosto 2018.  La posticipazione dell’uscita di tale decreto non è quindi da intendersi come proroga rispetto ai termini del 25 Maggio 2018, data per la quale era necessario adempiere al complesso normativo riportato nel GDPR.  Il Garante italiano, allineandosi alle posizione dell’Autorità garante francese, ha dichiarato l’istituzione di un grace period, durante il quale non sanzionerà i soggetti che, a seguito di ispezioni, dovessero risultare inadempienti rispetto ai nuovi obblighi. I titolari dovranno però dimostrare di essere in buona fede e di avere avviato un processo di adeguamento e uno spirito di collaborazione con l’Autorità. Resteranno sanzionabili le condotte che violano regole già consolidate da tempo nella normativa nazionale e confermati dal GDPR. Resta ovviamente inteso che le suddette Autorità non hanno – né avrebbero potuto farlo – prorogato la piena operatività del GDPR, che rimane il 25 maggio 2018. E’ pertanto necessario che tutti coloro che sono coinvolti dalla nuova normativa procedano al più presto ad adeguarsi alla stessa.

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