Covid, il vaccino induce immunità più forte rispetto a infezione naturale

(da Doctor33)   Nei soggetti vaccinati l’immunità al virus Sars-Cov-2 è più forte e duratura rispetto a quella sviluppata naturalmente da chi contrae il virus e, in generale, è legata al livello di anticorpi circolanti che si formano in ognuno di noi. È quanto emerge dal primo studio di monitoraggio di un campione significativo della popolazione sanitaria attraverso tutto il periodo del Covid-19.
Ideata e realizzata dall’Istituto europeo di oncologia (Ieo) e finanziata dalla Fondazione Guido Venosta, l’iniziativa ha visto oltre 2000 dipendenti e collaboratori dello Ieo operativi negli ambiti sanitario, amministrativo e ricerca, sottoporsi (nel periodo da maggio 2020 a settembre 2021) a test molecolari per l’infezione da Sars-CoV-2 e a test sierologici per misurare la risposta immunitaria contro il virus. «Abbiamo osservato che il livello di anticorpi circolanti anti-Sars-CoV2 è un indicatore attendibile del rischio di infezione; dunque i test sierologici potrebbero essere utili nella programmazione delle campagne vaccinali», commenta Pier Giuseppe Pelicci, direttore della ricerca Ieo e coordinatore dello studio. «La correlazione tra bassi livelli di anticorpi e aumentato rischio di infezione è stata ottenuta nella intera popolazione dei vaccinati e su dati retrospettivi. Non ha quindi ancora un valore predittivo nel singolo individuo. Potrebbe invece essere molto utile se applicata, per esempio, alle popolazioni di individui esposti ad alto rischio di infezioni o più fragili», spiega Pelicci. Nella fase pre-vaccinazione sono state osservate 266 persone con infezioni da Sars-CoV-2, vale a dire il 17,8% delle 1493 persone testate in fase pre-vaccinale. Tra i circa 2000 soggetti che sono stati vaccinati, abbiamo invece identificato solo 30 casi di infezione (1,5%), che in tutti i soggetti si è presentata con una sintomatologia minima e capacità di contagio molto limitata per carica virale e durata. Il test molecolare è infatti risultato positivo in media per soli due giorni invece dei 16 giorni medi di una infezione in soggetti non vaccinati, con ovvie implicazioni sulla diffusione del contagio. Nel complesso, la frequenza di infezione nei soggetti che hanno sviluppato anticorpi dopo vaccinazione è stata significativamente più bassa (1.5%) rispetto ai soggetti vaccinati che non hanno sviluppato anticorpi (5,7%), ma in entrambi i casi più bassa rispetto ai soggetti non vaccinati che hanno contratto una infezione naturale (9%). Il vaccino, quindi, induce una immunità più forte rispetto alla infezione naturale.
Dato confermato anche da uno studio australiano su vaccinazioni e ricoveri in terapia intensiva nel pieno dell’ondata della variante Delta del Covid che colpì Sydney in agosto e settembre scorsi indica che le persone non vaccinate e contagiate avevano una probabilità 16 volte maggiore di essere ricoverate in terapia intensiva rispetto a chi aveva ricevuto la doppia dose di vaccino. L’analisi dello status di vaccinazioni nello stato del New South Wales indica inoltre che le persone pienamente vaccinate avevano una probabilità sostanzialmente minore di ammalarsi gravemente se contagiate. Il rapporto del National Centre for Immunisation Research and Surveillance indica che le persone pienamente vaccinate costituivano una minuscola frazione dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi, durante le prime 16 settimane dell’ondata di Delta. I dati hanno indotto le autorità sanitarie dello Stato ad avvertire le persone giovani non vaccinate che si espongono al rischio evitabile di ammalarsi gravemente. Quando i ricoveri in terapia intensiva per Covid-19 raggiunsero il picco massimo, il tasso di persone pienamente vaccinate in terapia intensiva e decedute per il virus è stato dello 0,9 per 100 mila, contro il 15,6 per 100 mila tra i non vaccinati – una differenza di oltre 16 volte.
Il rapporto mette in luce la significativa protezione che il vaccino assicura alle persone giovani. Solo il 3,7% delle persone tra 20 e 30 anni e il 6,1% di quelle fra 30 e 40 anni contagiate dal virus durante le 16 settimane erano pienamente vaccinate – ha osservato la direttrice sanitaria statale Kerry Chant. «I giovani con due dosi di vaccino hanno subito tassi minori di infezione e quasi nessuna malattia grave, mentre i non vaccinati in quelle classi di età erano a rischio notevolmente maggiore di contrarre il Covid e di richiedere ricovero in ospedale», ha aggiunto.

Sindrome post-COVID-19 in pazienti con malattia lieve

(da Univadis)  In uno studio di coorte prospettico olandese, il 16,4% (1 su 6) dei pazienti con COVID-19 lieve ha riferito≥1 sintomo associato al COVID-19 12 mesi dopo l’insorgenza della malattia.

(Wynberg E, van Willigen HDG, Dijkstra M, Boyd A, Kootstra NA, van den Aardweg JG, van Gils MJ, Matser A, de Wit MR, Leenstra T, de Bree G, de Jong MD, Prins M; RECoVERED Study Group. Evolution of COVID-19 symptoms during the first 12 months after illness onset. Clin Infect Dis. 2 set 2021 [Pubblicazione online prima della stampa]. doi: 10.1093/cid/ciab759. PMID: 34473245)

Stretta di mano: non più di tre secondi

(da DottNet)  Se si vuole utilizzare la stretta di mano bisogna stare attenti che non superi i 3 secondi di durata. E’ un gesto che soprattutto nella fase più  complessa della pandemia è  stato messo da parte, in favore di altre forme di saluto. La durata di tre secondi rende l’approccio e l’incontro con la persona che abbiamo davanti nel complesso maggiormente piacevole.    Diversamente, una presa più salda e duratura può generare ansia nell’interlocutore. Lo rileva una ricerca dell’Università di Dundee pubblicata su Perceptual and Motor Skills. Emese Nagy, che ha guidato lo studio, afferma che i risultati evidenziano l’importanza di presentarsi in modo appropriato. “Le strette di mano -specifica- sono un saluto importante e possono avereconseguenze a lungo termine per le relazioni che creiamo. Prove suggeriscono che molti comportamenti, come gli abbracci, rientrano in una finestra di circa 3 secondi e il nostro studio ha confermato che le strette di mano che si mantengono in questo lasso di tempo sono più  naturali per coloro che partecipano al saluto. Tuttavia, anche se stringere la mano più  a lungo può sembrare un gesto caloroso, può influenzare negativamente il comportamento deldestinatario” . “I politici – aggiunge Nagy – sono interessati alle strette di mano prolungate, spesso usate anche come mezzo per dimostrare autorità. Tuttavia, i risultati suggeriscono che ciò potrebbe potenzialmente mettere a repentaglio la qualità  delle loro relazioni lavorative e personali fin dall’inizio, cosa che potrebbe avere ripercussioni su milioni di persone”.   Per la ricerca, 36 partecipanti sono stati intervistati da studenti del Master in merito alle loro prospettive lavorative e di carriera. Successivamente, sono stati presentati a un secondo ricercatore, che ha stretto loro la mano in modo “normale” (meno di 3 secondi), “prolungato” (più  lungo di 3 secondi) o per niente. I partecipanti non erano a conoscenza del significato della stretta di mano durante il periodo di studio e sono state analizzate le loro reazioni successive. E’emerso che a seguito di una lunga stretta di mano, hanno mostrato meno divertimento nell’interazione, ridendo di meno e mostrando maggiori livelli di ansia. Le strette di mano di meno di 3 secondi hanno provocato meno sorrisi successivi, ma sono state percepite come più  naturali.

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