Vaccino Pfizer: funzionerà davvero? Cosa sappiamo e cosa no, quali sono i competitor

(da Univadis)   Il Ministero della Salute conferma l’accordo con la casa farmaceutica Pfizer per l’acquisto di 3,4 milioni di dosi del vaccino messo a punto in collaborazione con la start-up BioNTech. L’accordo italiano è parte di un contratto di fornitura europeo; all’Italia spetta (secondo fonti ministeriali) il 13,5% delle dosi. Giacché il vaccino richiede due somministrazioni, con le dosi acquistate si potranno vaccinare 1,7 milioni di italiani, probabilmente tra le categorie a rischio che svolgono attività sanitaria: i primi a essere immunizzati, sperabilmente nel primo trimestre del nuovo anno, dovrebbero essere proprio medici e infermieri, insieme ai pazienti più a rischio.  La Pfizer – che ha annunciato con un comunicato stampa i dati preliminari di efficacia (risposta immunitaria elicitata nel 90% dei vaccinati) ma che non li ha ancora pubblicati su una rivista peer-review – ritiene di poter richiedere una approvazione di emergenza alla FDA nell’ultima settimana di novembre e l’approvazione dell’Agenzia europea per i medicinali già a fine dicembre, . L’accordo stipulato consente però al colosso farmaceutico di avviare la produzione fin da subito, distribuendo il prodotto non appena riceverà le dovute autorizzazioni.

Il parere di Garattini    “Prenderei questi dati di efficacia con beneficio di inventario” dice Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano. “La percentuale di protezione sembra molto alta, ma non sappiamo se sono dati definitivi o parziali, né che caratteristiche aveva la popolazione testata, se era giovane e sana o anziana. Sappiamo che molti vaccini offrono una copertura minore nelle persone anziane ed è improbabile che lo studio ancora in corso ci dica qualcosa in merito, per via della numerosità del campione. La fase 4 di osservazione sarà quindi essenziale per capire la portata della copertura”.   Tra i problemi da risolvere, anche la modalità di distribuzione e somministrazione. Il vaccino Pfizer è infatti basato su una tecnica nuova: un RNA messaggero viene introdotto nella cellula ospite e tradotto nella proteina spike, l’elemento antigenico del virus che elicita la risposta immunitaria. È la prima volta che l’inserzione di mRNA viene usata per la produzione di un vaccino e la Pfizer non è riuscita a semplificare i requisiti di conservazione, che prevedono una catena del freddo a -80 °C.   “Far arrivare il prodotto nel centri vaccinali sarà complicato” spiega Garattini. “Sarà probabilmente necessario creare dei centri vaccinali regionali dotati di grandi frigoriferi per la conservazione dei lotti”. Secondo le anticipazioni dell’azienda, una volta scongelati i vaccini si conservano per tre giorni e quindi devono essere portati rapidamente nei luoghi di somministrazione. “Altri vaccini antiCovid in pipeline sono più semplici da trasportare e conservare, ma non abbiamo ancora dati definitivi sulla loro antigenicità” continua Garattini.    Il vaccino Pfizer è stato inzialmente prodotto in due varianti, ma al termine della fase 1 una delle due versioni, la BNT162b2, ha dimostrato di indurre minori effetti collaterali dell’altra ed è stata avviata alle fasi 2/3 (portate avanti in contemporanea, secondo un modello sperimentale accelerato usato ormai per quasi tutti i vaccini antiCovid) su 30.000 volontari negli Stati Uniti, Brasile, Argentina e Germania. Nel corso di una presentazione agli investitori avvenuta a fine agosto, l’azienda ha riferito solo effetti collaterali lievi o moderati. Il vaccino è in sperimentazione anche sui bambini.

L’analisi presentata tre giorni fa costituisce una valutazione preliminare di efficacia: su 43.538 partecipanti al trial, l’azienda ha identificato 94 casi di Covid-19. Non è chiaro se si sono verificati nel gruppo trattato o nel gruppo placebo ma, secondo quando riferisce Nature in un recente articolo, i dati sono sufficienti per dichiarare un’efficacia del 90%, misurata a una settimana dalla somministrazione della seconda dose (a tre settimane dalla prima). Ora lo studio proseguirà fino all’identificazione di 164 casi di malattia.  “Anche se il vaccino dovesse mostrare un’efficacia inferiore alla fine dell’osservazione, è improbabile che scenda sotto il 50%, la soglia richiesta dalla FDA per l’approvazione” spiega Garattini.  L’elemento di maggiore incertezza riguarda la capacità del vaccino di bloccare la trasmissione dell’agente infettivo: è possibile, infatti, che sia capace di bloccare la malattia ma che non impedisca ai portatori asintomatici o paucisintomatici di trasmettere il virus. L’obiettivo che tutti gli sviluppatori di vaccini sperano invece di raggiungere è un prodotto in grado di fermare la trasmissione di Sars-CoV2, portando a una lenta ma inesorabile scomparsa dell’agente.

I competitors

L’annuncio del successo di Pfizer non ha compromesso le quotazioni degli altri vaccini in pipeline, anzi. Il vaccino in fase 3 sviluppato da Moderna e dai National Institues of Health statunitensi funziona sulla base dello stesso meccanismo (ovvero con RNA messaggero) ed è già in fase 3 di sviluppo.   Arriveranno sul mercato probabilmente anche i vaccini cinesi (se faranno domanda di approvazione e mostreranno i dati sperimentali): tra questi, il vaccino CanSino Biologics, messo a punto in collaborazione con l’Accademia militare di scienze mediche cinese, già approvato in Cina per un uso limitato sugli operatori sanitari. Si tratta di un vaccino a base di virus vivo attenuato. Proprio ieri (11 Novembre) il Russian Direct Investment Fund ha annunciato che, secondo i risultati preliminari di una sperimentazione di fase 3 (non pubblicata) anche il vaccino russo del Gamaleya Research Institute offrirebbe una copertura del 92% circa. Si tratta però di annunci fatti alla stampa per sostenere l’efficacia dell’approccio russo: il vaccino è infatti basato su due adenovirus, Ad5 e Ad26, ingegnerizzati con geni di Sars-CoV2, stessa tecnica usata da Johnson and Johnson per il suo vaccino sviluppato insieme al Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston.

L’Europa attende i risultati del trial combinato di fase 2/3 del vaccino sviluppato da Astra Zeneca insieme all’Università di Oxford che utilizza un adenovirus di scimpanzé. Secondo recenti comunicati dell’azienda, i risultati sono attesi per la fine di dicembre e non si sono più manifestati effetti collaterali come quello che, il 6 settembre scorso, ha portato all’interruzione dello studio perché una volontaria aveva sviluppato una mielite trasversa. Il vaccino è stato ritenuto estraneo alla comparsa della malattia.   Sempre in Cina, è stato autorizzato per la somministrazione a categorie a rischio un vaccino a virus attenuato prodotto da Sinopharma (farmaceutica statale) e dal Wuhan Institute of Biological Products. A metà settembre lo stesso vaccino è stato commercializzato negli Emirati Arabi Uniti.

La  perimentazione di un vaccino tecnicamente simile, il Sinovac, è stata però bloccata in Brasile agli inizi di novembre per via della comparsa di un grave effetto collaterale. Il caso è ancora sotto esame.

Infine si attende anche la messa in commercio di Novavax, un vaccino a base di proteine antigeniche del capside virale, in sperimentazione di fase 3 in Gran Bretagna e a breve anche negli Stati Uniti. I risultati sono attesi per fine anno e la distribuzione per il primo quadrimestre del 2021.

TAR del Lazio: I medici di base non possono assistere pazienti Covid a domicilio

(da AGI) “L’affidamento ai medici di medicina generale del compito di assistenza domiciliare ai malati Covid risulta in contrasto” con i decreti legge varati nello scorso marzo, nella ‘fase 1’ di emergenza sanitaria. Lo scrive la terza sezione quater del Tar del Lazio, in una sentenza depositata oggi accogliendo il ricorso presentato dal Sindacato Medici Italiani contro alcuni provvedimenti della Regione Lazio. Secondo i giudici amministrativi, “è determinante la previsione contenuta” nel decreto legge 14/2020, inerente ‘Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza Covid-19′, secondo cui “al fine di consentire al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta o al medico di continuità assistenziale di garantire l’attività assistenziale ordinaria, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano istituiscono, entro dieci giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, presso una sede di continuità assistenziale già esistente una unità speciale ogni 50mila abitanti per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero”.

Dunque, si legge nella sentenza, “nel prevedere che le Regioni ‘istituiscono’ una unità speciale ‘per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero’, la citata disposizione rende illegittima l’attribuzione di tale compito ai MMG (medici di medicina generale, ndr), che invece dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza domiciliare ordinaria (non Covid)”. Per questo, “hanno ragione i ricorrenti quando affermano che il legislatore d’urgenza ha inteso prevedere che i MMG potessero proseguire nell’attività assistenziale ordinaria, senza doversi occupare dell’assistenza domiciliare dei pazienti Covid”. Tale previsione, aggiunge ancora il Tar, “è stata replicata in modo identico” in un articolo del decreto ‘Cura Italia’, nel quale “è specificato pure che ‘il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta o il medico di continuità assistenziale comunicano all’unità speciale, a seguito del triage telefonico, il nominativo e l’indirizzo dei pazienti’”.

Cdc promuove le mascherine in tessuto, ‘riducono i rischi’

(da DottNet)   Le mascherine ‘di comunità’, quelle cioè ottenute con diversi strati di tessuto, non solo riducono il rischio che una persona con l’infezione da Sars-Cov-2 diffonda il virus, ma proteggono anche chi è sano filtrando, almeno parzialmente, eventuali goccioline cariche di virus provenienti dall’esterno. Lo scrive il Cdc americano in un documento in cui afferma che “adottare politiche universali sulle mascherine può aiutare ad evitare futuri lockdown”.   Nel documento il Cdc cita diversi studi recenti, che suggeriscono che nei luoghi dove si indossano più mascherine di comunità il rischio di infezione si riduce, non solo perché il dispositivo evita che una persona infetta diffonda il virus ma anche per un effetto di ‘sinergia’ secondo cui anche chi non è infetto si protegge. “Le mascherine di tessuto non solo blocca efficacemente le goccioline di saliva più grandi – scrivono gli esperti statunitensi -, ma possono anche bloccare l’esalazione delle particelle più piccole, comunemente definite aerosol.  Quelle multistrato possono bloccarne fino al 70%”. “Servono maggiori ricerche – concludono – per avere più prove dell’effetto protettivo e in particolare per identificare la combinazione di materiali che massimizzano l’efficacia”.

Diabetologi all’Aifa: eliminare i piani terapeutici per il diabete

(da DottNet)   Abolire prima possibile i piani terapeutici relativi ai farmaci anti-diabete, che è una malattia cronica ‘senza scadenze’ e comunque prorogarli con urgenza in considerazione dell’attuale emergenza Covid e semplificare la prescrizione dei farmaci innovativi: sono le richieste unanimi delle principali associazioni scientifiche e professionali della Diabetologiaitaliana in una lettera ufficialmente indirizzata all’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in occasione della Giornata Mondiale del Diabete che si tiene sabato 14 novembre.  Vista la preoccupante emergenza sanitaria in corso, i diabetologi chiedono che siano definitivamente aboliti i Piani Terapeutici perla prescrizione in regime di rimborsabilità dei farmaci contro il diabete, e che sia estesa ai medici di Medicina Generale la possibilità di prescrivere anche i farmaci anti-diabetici di ultima generazione,. “Abbiamo più volte riferito l’importanza di far valere i piani terapeutici sine die – sottolinea il Presidente della Società Italiana di Diabetologia Francesco Purrello dell’Università di Catania – anche in considerazione del fattoche i farmaci prescritti sono ormaiin uso da tempo e sono sicuri, inoltre sono fondamentali non solo per gestire la malattia ma anche per prevenire le complicanze renali e cardiovascolari di essa”. La compilazione dei piani terapeutici sottrae risorse e tempo preziose agli specialisti – rileva Francesco Giorgino, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia, che potrebbero essere meglio impiegate per i pazienti”. Sicurezza ed efficacia delle terapie innovative sono ormai avvalorate da anni di uso clinico, ribadisce Paolo Di Bartolo, Presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD).“Oggi ci troviamo con sale d’attesa piene di persone che si recano in ospedale per atti amministrativi, per farsi mettere un timbro; ciò appare una follia specie in questo momento storico. Dobbiamo da subito avere un provvedimento che proroghi i piani terapeutici – conclude – e poi subito dopo la loro abolizione e la possibilità che i MMG possano prescrivere i farmaci innovativi, tutto questo deve avvenire ora, non ha senso che avvenga tra sei mesi, l’urgenza pandemica è ora”. 

Covid: può salire 11% rischio morte contagiati zone a più smog

(da AGI)  Le persone che vivono in aree con livelli più elevati di inquinamento atmosferico potrebbero veder aumentato dell’11% il rischio di decesso in caso di infezione da Covid-19. Questo è quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista ‘Science Advances’, condotto dagli esperti dell’Università di Harvard, che hanno analizzato il legame tra le concentrazioni di particolato atmosferico e il numero di decessi nelle zone considerate più inquinate. “Un aumento di un microgrammo per metro cubo di particolato – sostiene Francesca Dominici, docente presso l’Università di Harvard – sembra collegato ad un aumento del rischio di morte per COVID-19 dell’11 percento”.
   Il team ha effettuato tali valutazioni sulla base dei dati sui casi di infezione da Sars-CoV-2 e sui decessi avvenuti presso l’ospedale della Johns Hopkins University. I dati sull’inquinamento atmosferico sono stati raccolti negli Stati Uniti da una combinazione di letture atmosferiche e modelli computerizzati e riguardano 3.089 contee, dove abita circa il 98 percento della popolazione statunitense. “I nostri risultati – afferma l’esperta – mostrano che i livelli di PM2,5 negli Stati Uniti variano notevolmente, con punti ad alta prevalenza intorno alle metropoli e alle città principali, dove possono essere raggiunti i 12 microgrammi per metro cubo”.
   Stando alle dichiarazioni degli autori, la ricerca, che si concentra sulle informazioni statunitensi, ha implicazioni di vasta portata, specialmente per quanto riguarda i luoghi in cui l’inquinamento atmosferico supera le soglie limite. “Definito il livello di 13 microgrammi per metro cubo come inquinamento elevato – prosegue la scienziata – nonostante il limite fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sia di 10 microgrammi per metro cubo, abbiamo scoperto che un aumento di un microgrammo per metrocubo potrebbe provocare una serie di conseguenze a livello di salute. Considerando due aree geograficamente simili tra loro notiamo che nella zona più inquinata si registra un aumento del tasso di mortalità di Covid-19”.

Per il cuore il lockdown fa più danni del contagio

(da DottNet)    Quella di un lockdown solo per gli anziani è una “soluzione inaccettabile perché potrebbe avere sui malati di cuore un effetto peggiore del contagio”. A esprimere preoccupazione, dopo l’annuncio di un eventuale lockdown selettivo per fasce d’età e la pubblicazione della ricerca dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), sull’urgenza di isolare subito gli anziani per scongiurare un lockdown generalizzato, è la Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe). “La probabilità – spiega Alessandro Boccanelli, presidente SICGe e docente di Filosofia Morale all’Università UniCamillus di Roma- che un anziano che rispetta le regole di protezione individuale e le misure di distanziamento, uscendo di casa si contagi è sicuramente inferiore al danno quasi certo che trarrebbe da un secondo confinamento, con conseguenze ancora peggiori sulla sua salute”.  “Sono sotto gli occhi di tutti i cardiologi – prosegue – i disastri provocati dall’inattività fisica, che hanno fortemente modificato l’andamento delle malattie cardiache. Sono aumentati i casi di scompenso cardiaco, le crisi ipertensive e le recidive di fibrillazione atriale, sia per il cambiamento peggiorativo dello stile di vita, dovuto a inattività fisica ed eccessi alimentari compensatori della depressione, sia per il timore di andare a farsi controllare periodicamente. Inoltre il deterioramento psichico causato dall’isolamento e dalla paura ha indotto spesso nei pazienti cardiopatici stati confusionali con errori nell’assunzione di farmaci”. “Quando gli anziani cardiopatici – conclude Boccanelli- da maggio in poi hanno timidamente rimesso la testa fuori casa, al cardiologo sono apparsi regolarmente mutati in peggio: affanno, gambe gonfie, aritmie, pressione fuori controllo, attacchi di angina. Sarebbe logico e opportuno tutelare la salute e la dignità dell’anziano non privandolo della libertà di movimento ma contenendola nei limiti della passeggiata, evitando per quanto possibile luoghi affollati, nel rispetto delle misure di protezione individuale”.

Lea 2018. Veneto ed Emilia-Romagna al top. Sardegna e Pa Bolzano in fondo alla classifica. I nuovi dati del Ministero della Salute

Pubblicata dal Ministero della Salute la griglia di valutazione dei livelli essenziali di assistenza nelle Regioni italiane relativo all’anno 2018. Campania e Calabria per la prima volta raggiungono la soglia della sufficienza di 160 punti. Solo Valle d’Aosta, Pa Bolzano e Sardegna sotto gli standard minimi anche se per Regioni a statuto speciale e Province autonome i dati non sempre sono completi.  Leggi L’articolo completo al LINK

http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=89637&fr=n

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