Coronavirus, corso in tre moduli per aggiornamento medici e infermieri

(da Adnkronos Salute)   L’Istituto Superiore di Sanità (Iss) ha ultimato il primo dei tre moduli di cui sarà composto il corso di aggiornamento sul Covid-19 che sarà messo a disposizione nei prossimi giorni di tutti i medici, gli infermieri e di tutti gli altri operatori sanitari italiani. Lo riferisce la task-force Covid-19 del ministero della Salute, riunitasi alla presenza del ministro, Roberto Speranza.

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Allegato

Coronavirus: ecco le linee guida per la Medicina Generale

(da DottNet)  «Per evitare che si possano moltiplicare le occasioni di contagio riteniamo sia doveroso per i colleghi della medicina generale aumentare la disponibilità telefonica ai pazienti che presentano sintomi influenzali così da evitare il più possibile che questi stessi pazienti debbano recarsi personalmente presso gli studi sul territorio o nei servizi sanitari come PS e Continuità Assistenziale». Pur nella consapevolezza di una rete di sorveglianza tra le migliori in Europa, FIMMG e SIMG (per voce rispettivamente del segretario generale Silvestro Scotti e del presidente Claudio Cricelli) mettono in campo un protocollo di sicurezza dettato da ragioni di prudenza. L’obiettivo è chiaramente quello di ridurre al minimo le occasioni di contatto tra pazienti che presentano sintomi compatibili con un sospetto di una affezione respiratoria di probabile origine virale suggestiva per Covid-19 da Coronavirus e altri pazienti.    «In questo periodo – precisano Scotti e Cricelli – è normale che i casi di influenza siano ancora molti, tuttavia visti i casi di contagio che si sono verificati sarebbe molto imprudente se non chiedessimo ai colleghi della medicina generale di ridurre al minimo le possibilità di contatto con pazienti a rischio potenziale. Covid-19 ha dimostrato di essere un coronavirus molto contagioso e lo dimostra il possibile coinvolgimento del medico di famiglia del paziente indice di Codogno ricoverato per polmonite e in corso di accertamento, ciascuno deve fare la propria parte per fare in modo che questi casi restino solo un allarme contenuto». Lo stesso appello alla prudenza e al buon senso Scotti e Cricelli lo rivolgono a tutti i cittadini/pazienti. «In caso di sintomi influenzali, anche di una febbre non troppo alta ma persistente, è bene che non ci si muova verso lo studio del medico di famiglia né verso l’ospedale se non dopo un contatto telefonico con i numeri di pubblica utilità creati a livello nazionale e regionale sulla infezione da coronavirus. In presenza di sintomi di affezioni respiratorie è bene restare a casa e chiamare il medico di famiglia, sarà lui a dirci come comportarci in assoluta sicurezza e a gestire il caso con le indicazioni migliori».   A tutti i medici della medicina generale viene fornita in queste ore una scheda di triage telefonico ( https://crm.fimmg.org/upload/crm_fimmg/files/scheda_valutazione_RISCHIO_COVID-19_MEDICINA_GENERALE_DEFINITIVA_2.pdf )  da utilizzare per porre ai pazienti, sospetti di un contagio da Covid-19, domande con le quali fare una prima diagnosi. Sarà sempre il medico di famiglia a consigliare ogni ulteriore step da seguire. «Queste misure – concludono Scotti e Cricelli – non devono assolutamente generare allarme. Servono ad evitare che i pazienti e i medici possano essere esposti a rischi inutili. Mai come oggi frequentare in maniera inappropriata uno studio medico o un pronto soccorso o il servizio di continuità assistenziale o qualunque presidio sanitario potrebbe esporci ad un rischio inutile. Sarà fondamentale a questo punto un endorsement dei cittadini anche attraverso le loro rappresentanze utile a spiegare come vanno utilizzati i servizi sanitari durante una possibile diffusione pandemica, noi intanto lo iniziamo a fare come professionisti ma soprattutto forti del nostro rapporto fiduciario con i nostri assistiti. Perché in fondo, se tempo fa si diceva che una telefonata ti salva la vita, in questo caso una telefonata ci salva dalla diffusione pandemica».

 

 

Restare ottimisti per vivere fino alla vecchiaia

(da Univadis)   L’analisi retrospettiva dei dati di due studi di coorte americani (>70.000 partecipanti, monitorati per 10-30 anni) ha notato, dopo la correzione per fattori multipli (condizioni di salute, stile di vita, fattori socio-demografici), una forte correlazione positiva, corretta per gradiente dose-effetto, tra il livello di ottimismo dei partecipanti, valutato utilizzando strumenti psicometrici convalidati, e la loro longevità. La probabilità di vivere ≥ 85 anni era del 50% (donne) fino al 75% (uomini) superiore tra i partecipanti più ottimisti, rispetto ai meno ottimisti.

 (Optimism is associated with exceptional longevity in 2 epidemiologic cohorts of men and women   https://www.pnas.org/content/116/37/18357)

Nuovo coronavirus: Decalogo Iss e Ministero con Regioni, Ordini professionali e società scientifiche

Il poster e il pieghevole con il decalogo sono stati messi a punto, per informare correttamente i cittadini, dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dal Ministero della salute ed hanno raccolto l’adesione degli ordini professionali medici e delle principali società scientifiche e associazioni professionali, oltre che della Conferenza Stato Regioni.   In dieci punti sono state riunite le principali indicazioni di prevenzione contro il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 e le più frequenti fake news circolanti, puntualmente smentite.  Chiunque desideri scaricare il decalogo, e/o diffonderlo sui social o “fisicamente” sotto forma di poster o pieghevole, può farlo attraverso i siti dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute.   “L’impegno per prevenire l’epidemia da Sars-Cov-2 passa anche attraverso i comportamenti, che devono essere basati su informazioni corrette. Oggi il virus non circola nel nostro paese, ma seguire le misure raccomandate, a partire dal lavaggio delle mani, ci aiuta a prevenire questa e anche altre patologie infettive – ha commentato il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro -. Questo ‘decalogo’ rappresenta anche un bell’esempio di come istituzioni e professionisti garantiscano risposte unitarie ad una possibile minaccia per la nostra salute”.   All’iniziativa hanno aderito Conferenza Stato Regioni, FNOMCEO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche), FOFI (Federazione Ordini farmacisti Italiani), FNOVI (Federazione Nazionale Ordini. Veterinari Italiani), CARD (Confederazione Associazioni Regionali di Distretto), FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti), SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera), SIM (Società Italiana di Microbiologia), SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), SIMPIOS (Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie), SITI (Società Italia di Igiene e Medicina Preventiva), FIMMG (Federazione Italiana Medici di Famiglia), SIMMG (Società Italiana di Medicina Generale), ANMDO (Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere), AMCLI (Associazione Microbiologi Clinici Italiani), FEDERFARMA (Federazione nazionale dei titolari di farmacia italiani).

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Per il controllo metabolico, telemedicina e visita medica hanno efficacia sovrapponibile

(da Doctor33)   Tra i pazienti con diabete di tipo 1 (DM1) che hanno un controllo glicemico subottimale, sostituire una visita di controllo dal medico con una sessione di telemedicina non influisce sulla prognosi, almeno secondo quanto conclude uno studio pubblicato su ‘Diabetes Care’. Per giungere a queste conclusioni Maria Ruiz de Adana, dell’Ospedale regionale universitario di Malaga in Spagna, e colleghi hanno assegnato in modo casuale 379 pazienti con DM1 e valori di emoglobina glicata [HbA1c] inferiori a 8% a uno dei seguenti trattamenti: tre visite mediche di controllo svolte faccia a faccia con il medico (gruppo di controllo, 167 pazienti); sostituzione di una delle visite con una sessione di telemedicina (gruppo di studio; 163 pazienti). «Le prime esperienze di telemedicina sono iniziate negli anni sessanta in campo radiologico e dermatologico per la trasmissione di immagini e, successivamente, in ambito pneumologico per la trasmissione di reperti auscultatori toracici. In diabetologia la telemedicina è stata impiegata a partire dagli anni Ottanta dopo l’introduzione dell’autocontrollo nella pratica clinica, e rappresenta un mezzo efficace ed economico per seguire pazienti con diabete mellito altamente motivati» spiegano gli autori, che hanno valutato le variazioni medie dei livelli di HbA1c dal basale al sesto mese di follow-up, oltre ad alcuni altri parametri di efficacia e sicurezza. Così facendo hanno scoperto al sesto mese una riduzione media dei livelli di HbA1c di 0,04 punti percentuali nel gruppo di controllo e 0,01 nei pazienti seguiti anche con la telemedicina. Nei due gruppi, il numero di persone che hanno raggiunto valori di HbA1c inferiori a 7% è stato rispettivamente di 73 e 78, senza significative differenze per quanto riguarda gli endpoint di sicurezza. «Infine, non sono state osservate differenze di rilievo nei cambiamenti nella qualità della vita correlata allo stato di salute dalla prima visita a quella di fine studio. E anche le differenze rispetto alla paura dell’ipoglicemia sono rimaste invariate» conclude Ruiz de Adana.

(Diabetes Care 2020. Doi: 10.2337/dc19-0739   https://doi.org/10.2337/dc19-0739)

Demenza: assolte dieta povera e inattività, il responsabile è l’obesità

(da M.D.Digital)   Un ampio studio che ha seguito più di un milione di donne per quasi due decenni ha scoperto che l’obesità nella mezza età è collegata a un maggior rischio di demenza in futuro. Al contrario, la cattiva alimentazione e la mancanza di esercizio fisico sarebbero assolte.  Alcuni studi precedenti avevano suggerito che una dieta povera o la mancanza di esercizio fisico aumenterebbero il rischio di demenza, ha illustrato l’autrice, tuttavia, questi nuovi risultati sembrano dimostrare che questi fattori sono privi di collegamento con il rischio a lungo termine di demenza. Le associazioni a breve termine tra questi fattori e il rischio di demenza probabilmente riflettono i cambiamenti nel comportamento, come mangiare male ed essere inattivi, che sono tra i primi sintomi di demenza.  Il nuovo studio, pubblicato su Neurology, ha coinvolto circa 1.137.000 donne, con un’età media di 56 anni e non presentavano segni di demenza all’inizio dello studio. Sono stati raccolti dati su altezza, peso, dieta ed esercizio fisico. Secondo i criteri dello studio un BMI tra 20 e 25 era considerato desiderabile e un BMI di 30 o superiore era indice di obesità; le donne che facevano esercizio fisico meno di una volta alla settimana sono state considerate inattive; la dieta abituale delle donne è stata utilizzata per calcolare l’apporto calorico.  Le donne incluse nello studio sono state seguite per una media di 18 anni. Dopo 15 anni dall’inizio dello studio, a 18.695 donne è stata diagnosticata la demenza.  Dopo adeguamento dei risultati per età, istruzione, fumo e molti altri fattori è emerso che le donne che al basale erano obese avevano, a lungo termine, un rischio maggiore di demenza del 21% rispetto alle donne con un BMI desiderabile. Tra le donne obese, nel 2.1% dei casi (3.948 su 177.991 donne), è stata diagnosticata la demenza. A confronto invece nelle donne con BMI desiderabile la percentuale di casi di demenza è risultata dell’1.6% delle donne (7.248 su 434.923 donne).    Mentre l’assunzione di calorie basse e l’inattività sono state associate a un rischio più elevato di demenza durante i primi 10 anni di studio, queste associazioni si sono indebolite in modo sostanziale e, dopo 15 anni, nessuna delle due era fortemente legata al rischio di demenza.   Altri studi hanno dimostrato che le persone diventano inattive e perdono peso fino a un decennio prima che venga diagnosticata la demenza, ha illustrato l’autrice, aggiungendo che i legami a breve termine tra demenza, inattività e basso apporto calorico sono probabilmente il risultato dei primi segni della malattia, prima che i sintomi inizino a manifestarsi.   L’obesità nella mezza età ha un collegamento con la comparsa di demenza a distanza di 15 anni o più: l’obesità è un ben noto fattore di rischio per la malattia cerebrovascolare patologia in grado di contribuire in maniera significativa all’insorgere della demenza. Poiché lo studio è stato condotto su una popolazione femminile, rimane ancora da stabilire se il medesimo nesso è valido anche per gli uomini.

(Floud S, et al. Body mass index, diet, physical inactivity, and the incidence of dementia in 1 million UK women. Neurology 2020; 94: e123-e132. doi: 10.1212/WNL.0000000000008779) 

 

Indagine civica “Il giusto ritmo del cuore”

Cittadinanza Attiva Emilia-Romagna ha indetto uno studio/indagine sul percorso di cura, le conoscenze, le cause della malattia e lo stile di vita delle persone che hanno avuto un episodio coronarico acuto. Se l’intervento nella fase acuta, nel caso d’infarto del miocardio, ha consentito negli ultimi anni di ridurre sensibilmente la mortalità immediata, la sopravvivenza a lungo termine non si è modificata più di tanto. Per intervenire e curare la persona nel luogo di vita, i servizi devono essere sempre più integrati. L’obbiettivo è quello di definire un sistema unitario, formato da sottosistemi correlati e riorganizzati come tali. Per conoscer lo stato attuale della situazione sul territorio parte l’inchiesta “Il Giusto Ritmo del Cuore”, dedicata a tutti i Medici di Medicina Generale della nostra regione. Questo Ordine prega i suoi iscritti Medici di Medicina Generale di considerare attentamente l’indagine e di rispondere, appena possibile, al questionario proposto. Il progetto e  il questionario per MMG sono online al seguente indirizzo:

https://docs.google.com/forms/d/1Ny91PsX2g6bfag_TRuktfQwxyTP_ihFc-W50MwLZyPs/edit

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