La dipendenza da Internet altera la chimica del cervello nei più giovani

(da DottNet)   I giovani con dipendenza da Internet sperimentano cambiamenti del cervello che potrebbero portare a comportamenti di maggiore dipendenza. Lo suggerisce uno studio pubblicato su ‘Plos Mental Health’ che ha esaminato 12 ricerche precedenti: hanno coinvolto 237 giovani tra i 10 e i 19 anni, nell’arco di 10 anni, a cui è stata diagnosticata la dipendenza da internet.  

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“Nel 2030 il primo farmaco che fa ricrescere i denti”, da settembre test sull’uomo

“Nel 2030 il primo farmaco che fa ricrescere i denti”, da settembre test sull’uomo

(da ADNKronos)  Un’iniezione per restituire i denti a chi li ha persi o non li ha mai avuti. È la promessa dell’azienda giapponese Toregem Biopharma, start-up dell’università di Kyoto, nata 4 anni fa. Sta sviluppando un farmaco anticorpale descritto come «il primo al mondo per la ricrescita dei denti» e da settembre comincerà a testarlo sull’uomo, dopo i risultati positivi ottenuti sugli animali senza effetti collaterali di rilievo. L’obiettivo dei ricercatori è arrivare sul mercato nel 2030, riporta la testata nipponica ‘The Mainichì. Toregem conta di offrire il trattamento a 1,5 milioni di yen (quasi 9mila euro) e di ottenere la copertura assicurativa, riferisce ‘Nikkei Asia’. La prima fase della sperimentazione clinica durerà da settembre 2024 ad agosto 2025. La terapia funziona disattivando una proteina chiamata Usag-1, che inibisce la crescita dei denti, e nella fase 1 dei test sull’uomo verrà somministrata endovena a 30 adulti sani di età compresa fra 30 ai 64 anni. Il requisito per l’arruolamento è la mancanza di almeno un dente posteriore. Una volta confermata la sicurezza del farmaco, si passerà alla fase successiva con la somministrazione a bambini dai 2 ai 7 anni ai quali mancano almeno 4 denti dalla nascita. Si stima che la carenza congenita dei denti riguardi circa l’1% della popolazione, mentre circa lo 0,1% soffre di una condizione nota come oligodontia, che consiste nell’assenza di 6 o più denti. La speranza dei ricercatori è riuscire in futuro a «far crescere i denti non solo nelle persone con patologie congenite, ma anche in chi li ha persi a causa di carie o lesioni». Il medicinale è frutto degli studi di Katsu Takahashi presso il Dipartimento di Chirurgia orale e maxillo-facciale della Kyoto University. Co-fondatore di Toregem e direttore del Dipartimento di Odontoiatria e Chirurgia orale del Kitano Hospital di Osaka, lo scienziato dichiara: «Vogliamo fare qualcosa per aiutare coloro che soffrono di perdita o assenza di denti. Sebbene finora non sia disponibile una cura permanente, crediamo che le aspettative delle persone» in questo sento «siano elevate». L’intenzione è di soddisfarle.

Mediobanca: l’Italia spende per la sanità pubblica meno dei big europei

(da fimmg.org)   L’Italia spende meno degli altri grandi Paesi europei per la sua sanità pubblica in rapporto al suo prodotto interno lordo. Nel 2022, evidenzia l’Area studi Mediobanca, il nostro Paese ha speso il 6,8% del Pil, alle spalle di Spagna (7,3%), Regno Unito (9,3%), Francia (10,3%) e Germania (10,9%). Nel 2023, prosegue l’analisi, l’Italia si è attestata al 6,3% con la previsione di portarsi al 6,4% nel 2024. In valore assoluto la spesa si è attestata a 131,7 miliardi di euro nel 2022 e, secondo i dati previsionali, scenderà a 131,1 miliardi nel 2023. Nel 2022 il 79% circa del valore complessivo è originato dalle strutture pubbliche e il 21% da quelle accreditate, che nel ventennio 2002-2022 hanno mostrato una crescita superiore a quella dei presidi pubblici (+3,1% contro il 2,5%). «Lo scenario che si prospetta è l’appiattimento dell’incidenza sul Pil della spesa sanitaria pubblica, a fronte di una crescente richiesta di prestazioni per effetto delle dinamiche demografiche» evidenzia Mediobanca, che ricorda come nell’area Ocse l’incidenza degli over 65 sia salita dal 7,6% del 1950 al 18% del 2022, con la previsione di raggiungere il 26,4% nel 2060, e che l’Italia, con il 23,9% di over 65 nel 2022 e una previsione del 33,4% al 2060, sia già sopra la media, alle spalle solo del Giappone (29%).

Divertiamoci anche quest’anno con i medici attori di Cesena

Dopo il successo dell’anno scorso all’Arena Plautina di Sarsina, i colleghi della compagnia ‘Dica 33’ composta tutta da medici e professionisti sanitari, si esibiranno la sera di Mercoledì 26 Giugno al Chiostro di San Francesco di Cesena. Anche nel 2024 la compagnia porta in scena ‘La Locandiera’ di Carlo Goldoni, e il ricavato della serata andrà a favore dell’Associazione Romagnola Ricerca Tumori a sostegno dei suoi progetti di prevenzione oncologica. Per le prenotazioni è possibile rivolgersi ad ARRT contattando il 0547 29125, dal lunedì al venerdì, dalle ore 08:30 alle ore 18:30.    Leggi L’articolo completo al LINK

https://www.corriereromagna.it/cesena/cesena-la-locandiera-di-goldoni-va-in-scena-per-l-arrt-CG796747

Specializzandi italiani: sfruttati con un super lavoro, utilizzati come tappabuchi e con scarsa formazione

(da DottNet)    L’ultima protesta risale allo scorso settembre, quando gli specializzandi scesero in piazza perché sfruttati, sottopagati e con una formazione carente. Un quadro che appare tuttora invariato, secondo il sondaggio Anaao Assomed, presentato agli Stati Generali della Formazione Specialistica: in servizio prestano fino a 50 ore a settimana, si sentono “tappabuchi” e il 97% chiede una riforma del sistema formativo. Il nuovo sondaggio è stato condotto nel mese di aprile scorso. Il 50% degli specializzandi denuncia di subire orari di lavoro non rispettati, con frequenti superamenti delle 38 ore settimanali previste dal contratto. I turni notturni sono la norma per il 60% degli intervistati, spesso senza adeguati periodi di riposo. Nonostante il lavoro extra, solo il 26% degli specializzandi dichiara di lavorare 38 ore settimanali, mentre per circa il 30% la settimana lavorativa supera le 50 ore. Ma quello che preoccupa ancora di più è lo stato della formazione.     Soltanto il 10% degli specializzandi afferma di svolgere tutte le attività previste dal programma formativo. La qualità della formazione è spesso inadeguata, con il 20% degli intervistati che dichiara di non seguire un programma formativo definito.

Gli specializzandi pagano poi tasse universitarie annuali tra i 1.500 e i 2.500 euro, cifre che superano addirittura i 3.000 euro in un caso su 10. Nel corso della manifestazione romana i giovani medici chiesero di aprire una fase riformatrice che archivi l’attuale inquadramento del medico specializzando, fermo al 1999 e lontano anni luce da tutti i suoi colleghi europei,  di inquadrare il medico specializzando come un professionista che si forma anche e soprattutto nei cosiddetti Learning Hospital (Ospedali d’insegnamento non universitari e non solo ammassati in pochi reparti universitari con rapporto giovani medici posti letto 10:1), con la certificazione delle loro competenze come avviene per i dirigenti medici e non attraverso un esame di passaggio annuo che molte volte viene utilizzato come “Spada di Damocle”. E ancora di pubblicare in relazione all’attuale concorso di specializzazione, i questionari anonimi di valutazione suddivisi per singola specialità. Ma evidentemente non è cambiato molto.

 

Ogni anno gli italiani spendono oltre un miliardo per i farmaci ‘griffati’

(da IlSole24Ore)   Gli italiani sono affezionati alle “marche”, anche quando si tratta di farmaci rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. Per assicurarsi il medicinale griffato sono pronti a mettere mano al portafogli ogni anno spendendo più di 1 miliardo. Con differenze evidenti tra chi abita al Nord e al Sud: da Roma in giù si è disposti a spendere fino a quasi 25 euro pro capite all’anno in più per i medicinali di marca – i lucani a esempio spendono 24 euro, 22,9 euro i calabresi e 22,8 euro gli abitanti del Lazio – contro i 13 euro a esempio di lombardi, veneti e toscani o gli 11 euro scarsi di chi abita a Bolzano (la media italiana è 17 euro). Questi soldi in più sono necessari per pagare la differenza di prezzo tra il farmaco equivalente meno caro – si tratta del “generico” copia del medicinale fuori brevetto – completamente rimborsato dallo Stato e quindi gratuito per il cittadino e quello appunto di marca che ha una differenza di prezzo che va pagata di tasca propria. Questo fenomeno continua a ripetersi con costanza ogni anno e non accenna a calare: nel 2017 il costo in più pagato dai cittadini valeva 1,050 miliardi, 1,126 miliardi nel 2018, nel 2019 1,122 miliardi, 1,077 miliardi nel 2020. E ancora 1,056 miliardi nel 2021 e 1,083 nel 2022. Anche nel 2023 – l’ultimo dato disponibile – gli italiani hanno versato di tasca propria 1,029 miliardi di euro di differenziale di prezzo per ritirare il farmaco brand più costoso invece che il generico-equivalente a minor costo e interamente rimborsato dal SSN.

Diabete, approvata la prima insulina settimanale al mondo

(da Repubblica Salute)  L’Agenzia Europea del Farmaco ha approvato la prima insulina settimanale al mondo per il trattamento dei pazienti adulti con diabete. Una notizia attesa da tempo che consentirà di ridurre il numero di somministrazioni di insulina ad una sola volta a settimana rispetto alla somministrazione giornaliera oggi prevista. In un anno da un minimo di 365 iniezioni si passa a 52, con un risparmio anche in termini di siringhe utilizzate.

Una novità, a centouno anni dalla scoperta dell’insulina, che avrà un impatto sia sulla gestione della malattia, con una migliore aderenza alla terapia, che sulla qualità della vita dei pazienti. Oggi la terapia insulinica – prescritta ai pazienti con diabete di tipo 1, circa il 10% dei 4 milioni di italiani con diabete, e ad alcuni con diabete di tipo 2 – prevede che il paziente si somministri l’insulina almeno una volta al giorno con la necessità di monitorare e gestire la malattia quotidianamente e di dover programmare l’intera giornata in base a questo. Il numero di iniezioni può rappresentare un ostacolo importante in termini di qualità di vita e di aderenza alla terapia. I dati mostrano che il 50% delle persone con diabete, che necessitano di terapia insulinica, ritardano di oltre due anni l’inizio del trattamento, con ripercussioni sulla gestione della malattia e delle sue complicanze. La somministrazione settimanale offre un vantaggio anche per i pazienti più anziani, con più patologie e per gli operatori sanitari che si occupano delle persone con diabete ricoverate o residenti in strutture di lungodegenza.

Negli studi clinici di fase 3, l’insulina settimanale Icodec ha permesso una riduzione della glicemia (misurata come variazione dell’HbA1c) rispetto all’insulina basale giornaliera favorendo il controllo glicemico nelle persone con diabete di tipo 2. Icodec è un nuovo analogo dell’insulina basale settimanale progettato per coprire il fabbisogno di insulina basale per un’intera settimana con una singola iniezione sottocutanea. È approvato per gli adulti con diabete mellito ma l’azienda che la produce, Novo Nordisk, ha ricevuto le approvazioni normative in Svizzera e Canada per il trattamento sia del diabete di tipo 1 che del diabete di tipo 2 negli adulti.

E parla di “prima rivoluzione” Riccardo Candido, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD): “L’insulina settimanale è la prima rivoluzione per le persone con diabete che fanno terapia insulinica dopo oltre un secolo, adesso gli enti regolatori ne garantiscano in tempi rapidi la disponibilità”. E va oltre Angelo Avogaro presidente SID, Società italiana Diabetologia: “Auspichiamo che AIFA dia il suo nulla osta all’approvazione di questa insulina innovativa, che coniuga benefici clinici a sostenibilità ambientale grazie alla diminuzione nel numero di penne utilizzate e quindi all’uso della plastica”.

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