Maltempo, Enpam: «Aiuti a medici e odontoiatri colpiti»

L’Enpam manifesta vicinanza nei confronti della popolazione colpita dal disastro in Emilia-Romagna e nelle Marche e annuncia contributi economici per ripristinare gli studi medici e odontoiatrici danneggiati dall’alluvione.

L’ente di previdenza e assistenza potrà contribuire per i danni ai beni immobili (studio o prima casa) o mobili (come ad esempio automezzi, computer o attrezzature) appartenenti a medici e odontoiatri. Per i sanitari che svolgono la libera professione sono previsti aiuti aggiuntivi.

“Staremo accanto ai colleghi sia per quanto riguarda i danni alle loro abitazioni sia per le spese necessarie a rendere di nuovo accessibili ai cittadini i loro studi privati o convenzionati”, dice il presidente dell’Enpam Alberto Oliveti, che esprime “a tutti i cittadini delle aree colpite la solidarietà dell’ente dei medici e dei dentisti”.

Le domande di aiuto economico, complete della documentazione richiesta, potranno essere presentate tramite gli Ordini provinciali dei medici e degli odontoiatri appena verrà proclamato formalmente lo stato di calamità per le aree colpite. Avranno diritto ad aiuti anche i pensionati Enpam e gli eventuali familiari superstiti.

Pericoli per il cuore con la dieta chetogenica

(da Nutrienti e Supplementi)   La dieta chetogenica mette a rischio la salute cardiovascolare. A segnalarlo, uno studio presentato a New Orleans nel corso del recente congresso annuale dell’American College of Cardiology, organizzato contestualmente al Congresso mondiale di cardiologia.

I ricercatori, guidati da Iulia Iatan, del St. Paul’s Hospital and University of British Columbia’s Centre for Heart Lung Innovation di Vancouver, hanno analizzato i dati contenuti nella Uk Biobank, un database con informazioni sulla salute di oltre mezzo milione cittadini britannici seguiti da almeno dieci anni. Di circa 71 mila era disponibili informazioni su dieta e colesterolemia. Tra questi, ne sono stati selezionati 305 la cui dieta incrociava una simil-chetogenica: non più del 25% di calorie da carboidrati e oltre il 45% da grassi., valori meno rigidi di una chetogenica stretta (10% di carboidrati, 60-80% di grassi e al 20-30% di proteine).

Questo gruppo è stato messo a confronto con 1.220 soggetti, analoghi per sesso ed età, che, invece, sono risultati seguire una più bilanciata, definita standard. Nell’insieme, il 73% dei partecipanti era costituito da donne di 54 anni di età in media. L’indice di massa corporea medio nel gruppo “chetogenica” era di 27,7 e 26,7 negli altri.

Rispetto a chi seguiva una dieta standard, quelli che seguivano la simil-chetogenica avevano livelli significativamente più alti sia di colesterolo Ldl che di apolipoproteina B (apoB), un predittore di rischio cardiovascolare ritenuto ancora più affidabile del c-Ldl. Dopo una media di 11,8 anni di follow-up e dopo aggiustamento per altri fattori di rischio cardiovascolare quali diabete, ipertensione, obesità e fumo, le persone che seguivano una dieta chetogenica presentavano un rischio più che doppio (9,8% vs 4,3%) di incorrere in un evento cardiovascolare maggiore, da occlusione arteriosa con necessità di angioplastica, a infarto, ictus e arteriopatia periferica.

Il tutto sembra legato a un aumento dei livelli di colesterolemia, anche se i ricercatori hanno notato come vi sia una variabilità individuale nella capacità di accumulo di grassi nel sangue rispetto alla quantità introdotta con la dieta. In alcuni casi, addirittura, si è notato che i valori di c-Ldl diminuiscono, un aspetto che i ricercatori si ripromettono di indagare con ulteriori studi.

Queste le loro conclusioni: “I nostri risultati suggeriscono che le persone che stanno pensando di seguire una dieta chetogenica dovrebbero sapere che ciò potrebbe portare a un aumento dei loro livelli di colesterolo Ldl. Prima di iniziare, dovrebbero consultare un medico. Durante la dieta, si raccomanda di monitorare i livelli di colesterolo e di tener conto di eventuali altri fattori di rischio cardiovascolari concomitanti quali diabete, ipertensione, inattività fisica e fumo”.

CHIUSURA UFFICI 17 MAGGIO 2023

Si informano gli iscritti che in considerazione della ulteriore allerta rossa per la giornata di oggi e delle conseguenti difficoltà di percorribilità delle vie di comunicazione a causa delle perduranti avverse condizioni metereologici gli uffici resteranno chiusi.

Medici e infermieri, oltre la metà colpiti da burnout

(da M.D.Digital e Ansa.it)   Soffre di sindrome da burnout, quell’insieme di sintomi determinati da uno stato di stress permanente con il quale devono vivere il proprio lavoro, il 52% dei medici e il 45% degli infermieri che prestano la loro opera nei reparti ospedalieri di medicina interna, quelli che da soli assorbono un quinto di tutti i ricoveri in Italia.
Una minaccia per la loro salute ma anche per quella degli assistiti, visto che lavorare quando si è in burnout significa alzare di molto le possibilità di commettere un errore sanitario, che in Italia sarebbero in tutto circa 100mila l’anno.
A fornire la fotografia di medici e infermieri è la survey condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti sanitari e presentata a Milano al 28esimo Congresso Nazionale della Federazione.
In totale a dichiararsi in “burnout” è il 49,6% del campione ma la percentuale sale al 52% quando si parla di medici, per ridiscendere al 45% nel caso degli infermieri. E in entrambi i casi l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permane la difficoltà di coniugare il tempo di lavoro con quello assorbito dai figli e la famiglia in genere.
Ad influire sullo stato di stress cronico è anche il fattore età, visto che sotto i trent’anni la percentuale di chi è in burnout cala al 30,5%. Fatto è che proiettando i dati più che significativi delle medicine interne sull’universo mondo dei professionisti della nostra sanità pubblica abbiamo oltre 56mila medici e 125.500 infermieri che lavorano in burnout. E che per questo motivo incappano in qualche inevitabile errore. Uno studio condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic del Minnesota ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell’anno nel 36% dei camici bianchi in burnout. Percentuale che proiettata sul totale dei nostri medici da un totale di oltre 20mila errori gravi.
Discorso analogo per gli infermieri. Qui una serie di studi internazionali raccolti dalla Fnopi, la Federazione degli ordini infermieristici, stima siano addirittura il 57% gli errori clinici più o meno gravi commessi nell’arco di un anno. Dato che applicato sul numero degli infermieri pubblici operanti in Italia in burnout da altri 71.500 errori in fase di assistenza per un totale di almeno di 92mila, sicuramente qualcuno in più considerando che uno stesso operatore può essere incappato in più di un errore nel corso dell’anno.
“L’influenza del burnout sulle malattie professionali è un fatto oramai acclarato dalla letteratura scientifica”, afferma Francesco Dentali, Presidente Fadoi. “Il rischio di infarto del miocardio e di altri eventi avversi coronarici è infatti circa due volte e mezzo superiore in chi è in burnout, mentre le minacce di aborto vanno dal 20% quando l’orario di lavoro non supera le 40 ore settimanali salendo via via al 35% quando si arriva a farne 70. Evento sempre meno raro con il cronico sottodimensionamento delle piante organiche ospedaliere”, aggiunge Dentali. E quasi il 50% di medici e infermieri in burnout pensa di licenziarsi entro l’anno.
 La ricerca Fadoi contiene però anche un positivo e inedito rovescio della medaglia: la stragrande maggioranza dei medici che quella degli infermieri “sente di aver affrontato efficacemente i problemi dei propri pazienti”.
“Il lavoro sanitario ai tempi del burnout nuoce tanto alla salute dei cittadini che a quella di medici e infermieri”, commenta a sua volta il presidente della Fondazione Fadoi, Dario Manfellotto. “Un problema – prosegue – tanto più sentito nei reparti di medicina interna, che una anacronistica e vetusta classificazione ministeriale con il codice 26 definisce ancora a bassa intensità di cura, quando basta scorrere l’elenco delle cartelle cliniche per capire che i nostri sono pazienti complessi che necessitano di medio-alta intensità di cura”.

L’esercizio fisico all’aperto migliora la memoria

(da DottNet)   La ‘ginnastica verde’ migliora la memoria, la concentrazione, e da’ un senso di benessere tangibile a livello neurologico mentre aumenta il flusso sanguigno a cervello: è quanto emerge da uno studio Usa sugli effetti dell’esercizio fisco fatto all’aperto invece che all’ interno, che sia casa o una palestra. Il primo a studiare gli effetti dell’attività fisica all’aperto per brevissimo tempo: in questo caso solo 15 minuti.

Secondo l’indagine pubblicata su ‘Scientific Reports’ la stessa ‘camminata breve ma veloce’ fatta all’ interno o all’esterno produce effetti diversi: la ricerca è stata condotta all’università di Toronto in Canada su 30 studenti di college che a giorni alterni dovevano camminare brevemente ma intensamente – 15 minuti – all’ interno dell’università o nei giardini del campus. I ricercatori guidati dalla neuro-scienziata Katherine Boere hanno sottoposto gli studenti ad analisi di risonanza magnetica cerebrale, elettroencefalogramma nonché a test di memoria, capacità di concentrazione e cognitivi. Le funzioni esecutive, le abilità cognitive e la velocità di elaborazione sono risultate nettamente superiori nei giorni in cui i volontari hanno fatto le camminate all’esterno.

Infezione al dente, una terapia sbagliata può comportare rischi

(da DottNet)   Dolore che può diventare invalidante, arrossamento, gonfiore: l’infezione ai denti può interessare sia adulti che bambini ed è uno dei motivi più comuni per cui ci si rivolge al dentista. Spesso c’è però confusione su quando e come curarlo. “È vero che si può tamponare momentaneamente con acqua e sale, mentre è falso che l’antibiotico sia sempre necessario.    È comunque essenziale intervenire in modo tempestivo, facendosi visitare da un professionista. Perché ancora oggi la terapia incongrua delle infezioni dentali porta a ricoveri evitabili e a seri pericoli”. A spiegarlo è Carlo Clauser, esperto della Società italiana di Parodontologia e implantologia (Sidp).   

Una recente analisi pubblicata su ‘International Journal of Environmental Research and Public Health’, mostra come su 376.940 pazienti ammessi al Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma in 5 anni, ben 6.607 sono entrati in ospedale con la diagnosi di infezione di origine dentale.     Dei 151 ospedalizzati, 6 (4%) presentavano in condizioni critiche, con sepsi.     L’infezione dentale in genere è dovuta a carie che raggiungono il nervo o da denti del giudizio non spuntati. “Si tratta – spiega Carlo Clauser – è la reazione dell’organismo alla penetrazione e alla moltiplicazione di microbi, soprattutto batteri, che si moltiplicano all’interno dei tessuti scatenando la risposta immunitaria e spesso determinando la formazione di pus, per l’accumulo di granulociti neutrofili”. Le tipiche suppurazioni sono causate da stafilococchi e streptococchi e si presentano in due forme cliniche: l’ascesso e il flemmone.   “L’ascesso è una raccolta di materiale purulento in una cavità neoformata o preesistente, come la pericorona di un dente o una cisti. La formazione attraversa tre fasi: nei primi 3 giorni la tumefazione molle e moderatamente doloroso, quindi a tumefazione diventa dura, arrossata, dolente; infine si forma l’ascesso, con una raccolta molle di materiale denso giallastro.   L’ascesso tende a delimitarsi: la parete lo circoscrive ed evita l’allargamento dell’infezione”.   Il flemmone è, invece, un’infiammazione dei tessuti molli senza alcuna tendenza alla delimitazione: le difese naturali non sono sufficienti ad arginare l’aggressione batterica.

“Si presenta con cute arrossata, tesa e dolente, mancanza della fluttuazione, notevole edema. Il trattamento non è sempre semplice e può richiedere chirurgie multiple, terapia intensiva e diverse terapie antibiotiche”.     Per l’ascesso localizzato la terapia antibiotica è indicata solo in pazienti immunodepressi. E’ invece controindicata per i non immunodepressi a meno che non vi siano sintomi o segni sistemici. “Questo non significa che l’ascesso va abbandonato al suo corso naturale: anzi, la terapia chirurgica, con incisione, svuotamento, drenaggio ed eliminazione della causa, deve essere messa in atto con tempestività e, se serve, anche con un’estrazione del dente. Vanno invece presi antibiotici quando l’ascesso non rimane delimitato e si estende a buona parte del volto, oppure se si associa a segni sistemici, come febbre, malessere generalizzato, linfonodi ingrossati: questi segni indicano che le difese naturali non sono sufficienti a contenere l’infezione che tende a diventare sistemica. In questi casi il trattamento antibiotico, in aggiunta alle manovre chirurgiche, deve essere immediato e a dosaggio pieno”. In attesa di una visita dal dentista, conclude, “possono essere utili sciacqui con acqua calda e sale due o tre volte al giorno, perché facilitano il drenaggio spontaneo”.

In 15 anni persi quasi 14mila medici del territorio

(da Fimmg.org) Dal 2006 al 2021 il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 14mila medici del territorio, scendendo dai 71.354 tra medici di famiglia, pediatri e guardie mediche ai 57.566. Un calo del circa il 20%, immortalato dagli Annuari del Ssn.  Per quanto riguarda i medici di famiglia se nel 2006 erano 46.478, con una media di uno ogni 1.098 abitanti, nel 2021 si è scesi a quota 40.250 (-6.228 pari al -13%) con una media di un camice bianco ogni 1.295 abitanti. Un po’ meglio la situazione dei pediatri di libera scelta: nel 2006 ce n’erano 7.526, con una media di un medico ogni 1.023 bambini, mentre nel 2021 si è scesi a 7.022. Grazie al calo delle nascite, però, i bimbi da seguire per ogni professionista sono scesi a 985.      Le guardie mediche nel 2006 erano 17.350 in 3.019 presidi, con una media di 23 medici ogni 100mila abitanti. Nel 2021, invece, i medici sono scesi 10.344 e i presidi a 2.958 con il risultato che ci sono 18 medici ogni 100mila abitanti.

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