Enpam cede il ramo d’azienda di Enpam Real Estate dedicato al property e facility management

(da Enpam.it)  Enpam comunica l’avvenuta cessione del ramo d’azienda della società Enpam Real Estate specializzato in property e facility management.  L’operazione fa seguito alla dismissione del patrimonio immobiliare di proprietà diretta dell’ente previdenziale dei medici e degli odontoiatri.  “Siamo orgogliosi di aver creato valore, facendo nascere un’azienda, Enpam Real Estate, capace di gestire innumerevoli immobili sparsi in Italia, di rapportarsi con migliaia e migliaia di inquilini e di rispondere alle esigenze dei committenti in maniera flessibile rendendo anche possibili operazioni straordinarie epocali. Va ricordato che in meno di un decennio EnpamRe ha gestito vendite a privati e a fondi per oltre 2 miliardi di euro – dice Alberto Oliveti, presidente di Fondazione Enpam –. Oggi, portata a termine la sua missione per il nostro ente previdenziale, questo ramo d’azienda viene valorizzato dal mercato. Le manifestazioni d’interesse ricevute da più parti ci onorano e siamo felici che ad acquistare sia un primario operatore che intende rafforzarsi. Alla squadra di dirigenza e a tutti i dipendenti di EnpamRe va il nostro grazie per l’ottimo lavoro fatto e un augurio per un futuro di crescita”.   Insieme al business di property e facility management, sono stati trasferiti anche 41 dipendenti di EnpamRe srl, che la società acquirente ha assunto a tempo indeterminato.  Nell’ultimo decennio Enpam Real Estate ha accompagnato la vendita dapprima del patrimonio residenziale romano di Enpam e da ultima l’operazione Project Dream, con l’acquisto di un importante portafoglio di immobili, in prevalenza in Lombardia, da parte di un fondo internazionale.   Nata come società “in-house” per fornire servizi all’Enpam, nel tempo EnpamRe ha acquisito nuovi clienti sul mercato immobiliare, diventando così appetibile per investitori specializzati.   La cessione del ramo d’azienda è stata seguita dall’amministratore unico di EnpamRe Luigi Mario Daleffe e dal direttore generale Leonardo Di Tizio, con l’assistenza di Deloitte per gli aspetti finanziari, dello studio Leone e Associati per gli aspetti legali (avvocati Luca Leone e Paola Conio), del professor Federico Ghera per le questioni lavoristiche e dal professor Stefano Petrecca di CBA per i profili fiscali.

Le mille facce della sanità privata e la sua inarrestabile marcia di conquista

È “accreditata” con il SSN, è “classificata” (ospedali religiosi) in accreditamento in base ai “Patti Lateranensi” tra Stato della Chiesa e Stato Italiano, è in “outsourcing” nella gestione di servizi e strutture ed è “integrativa” in base al “Jobs Act”. Poi abbiamo la sanità privata “privata”. La sommatoria di queste diverse presenze fa già sì che in diverse Regioni importanti sia maggioritaria nel panorama di offerta dei servizi sanitari ai cittadini residenti. E la tendenza è che la presenza “privata” in sanità diventerà prevalente. Spero di sbagliarmi, ma quello che si vede è preoccupante …. Leggi L’articolo completo al LINK

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Covid-19, epidemie intermittenti saranno la nuova normalità? L’ipotesi in uno studio

(da Doctor33)  La pandemia di Sars-CoV-2 è stata caratterizzata «dall’emergere regolare di varianti». Con l’immunità della popolazione naturale e indotta dal vaccino a livelli elevati, la pressione evolutiva «favorisce le varianti che sono meglio in grado di eludere gli anticorpi neutralizzanti». La variante Omicron ha mostrato un alto grado di evasione immunitaria, portando a un aumento dei tassi di infezione in tutto il mondo». «Supponendo l’emergere di ulteriori varianti distinte, epidemie intermittenti di entità simile potrebbero diventare la ‘nuova normalità’». È quanto viene prospettato da un gruppo di scienziati dell’Imperial College London in uno studio pubblicato su ‘Nature Communications’, in cui hanno analizzato e stimato la dinamica dell’ondata di Omicron dal 9 settembre 2021 al 1 marzo 2022, utilizzando i dati dello studio React-1, una serie di indagini trasversali che valutano la prevalenza dell’infezione da Sars-CoV-2 in Inghilterra.
Gli autori del lavoro hanno stimato un picco iniziale nella prevalenza nazionale di Omicron del 6,89% (5,34%-10,61%) nel gennaio 2022, seguito da una recrudescenza delle infezioni da Sars-CoV-2 quando il sottolignaggio Omicron più trasmissibile BA.2 ha sostituito BA.1 e BA.1.1. Nel mese di febbraio 2022, invece, gli scienziati hanno osservato che la prevalenza di Omicron 2 (BA.2) è aumentata costantemente, mentre la prevalenza di Omicron non BA.2 è diminuita. Gli esperti ragionano sul fatto che, «poiché l’incidenza cumulativa e la copertura vaccinale continuano ad aumentare, il virus Sars-CoV-2 si troverà a competere con un panorama immunitario diversificato e complesso all’interno della popolazione umana. Di conseguenza, la dinamica evolutiva del virus sarà dominata dall’evasione immunitaria».

Dato l’emergere regolare di varianti di preoccupazione (Voc) durante i primi 2 anni della pandemia di Covid, dunque, «non ci sono ragioni per credere che questa tendenza non continuerà», affermano gli scienziati, ricordando che «altre infezioni respiratorie come l’influenza portano epidemie annuali dovute all’emergere di nuovi ceppi in grado di navigare meglio nel panorama immunitario. Se vediamo una tendenza simile per Sars-CoV-2, allora le onde intermittenti di infezione di entità simile a Omicron rientrano nei limiti delle possibilità».

La sorveglianza continua, i richiami vaccinali e gli aggiornamenti dei vaccini, elencano gli autori, «saranno cruciali per ridurre al minimo gli effetti dannosi di questo nuovo paradigma di salute pubblica». E «una maggiore equità nell’accesso ai vaccini a livello mondiale può aiutare a ridurre il tasso di comparsa di queste varianti dannose».
Il virus, intanto, inizia a frenare. Nel mondo si registra una diminuzione dei contagi dell’ultima settimana anche se resta stabile il numero delle vittime. E anche in Italia calano i casi quotidiani segnalati ma sono ancora molti i decessi, mentre i medici sono di nuovo bersaglio di attacchi da parte dei ‘no vax’.

Quante tasse paghiamo

(da enpam.it)   Conto fiscale ‘salato’ per gli Enti di previdenza privati, cui sono iscritti oltre 1,6 milioni di professionisti: “ogni anno”, infatti, versano all’Erario, complessivamente, “circa 765 milioni di imposte“.   A fare i calcoli, annunciando la somma (che si scopre essere ben più elevata di quella stimata in precedenza, che era di oltre 500 milioni), è stato il presidente dell’Associazione delle Casse pensionistiche Alberto Oliveti, dal palco di un convegno promosso a Roma, dalla Cassa del Notariato.  I maggiori pagatori di tasse sono i medici e i dentisti, tramite l’Enpam che – da solo – sborsa circa il 30% dei 765 milioni versati annualmente all’erario.   “Mentre i trasferimenti statali alle Casse sono vietati – ha commentato Alberto Oliveti, nella doppia veste di presidente di Enpam e dell’associazione del comprato Adepp –  ogni anno nell’altro senso diamo allo Stato tre quarti di miliardo di euro. Un contributo che di certo non si ferma qui, visto che il valore costruito dagli enti è a disposizione del Paese, con un patrimonio che è al 75% nell’area Euro e che sostiene le professioni, a loro volta motori di sviluppo e di crescita.”

A sfatare il mito che le Casse dei professionisti abbiano troppi immobili, è arrivata l’analisi sull’origine della tassazione: oltre 9 euro su 10 pagati, infatti, derivano dalla gestione del patrimonio mobiliare (cioè dai proventi degl investimenti finanziari), mentre il mattone tradizionale incide per meno di 1 euro ogni 10.    “Noi versiamo nelle casse dello Stato oltre 23 milioni all’anno”, ha detto il presidente della Cassa dei notai, Vincenzo Pappa Monteforte, ricordando la “imposizione fiscale che non ha eguali in Europa. Ricordo, infatti, che siamo tassati come speculatori e siamo sottoposti ad una doppia tassazione, un’imposizione che penalizza sia i professionisti sia gli investimenti”, ha aggiunto.   Durante il convegno il tema dell’eccessiva tassazione è stato affrontato anche dal segretario della Commissione Finanze del Senato Andrea de Bertoldi di FdI: “L’imposizione fiscale sulle Casse va rivista. Non è possibile che vengano tassate al 26 per cento (sui rendimenti finanziari, ndr), mentre i fondi pensione, che non erogano previdenza di primo pilastro e welfare assistenziale e lavorativo, sono tassati al 20 per cento.   Oltretutto, le Casse si sono sempre rese disponibili a reinvestire i risparmi ottenuti da una tassazione più equa nel sostegno ai propri professionisti iscritti”, ha chiuso il parlamentare.

Il presidente dell’Adepp ha anche ripercorso l’evoluzione degli enti di previdenza privati.   “Siamo convinti di aver degnamente onorato l’autonomia che ci è stata assegnata dalla legge delega di privatizzazione. In tutti questi anni abbiamo regolarmente pagato le pensioni promesse, abbiamo erogato assistenza anche straordinaria e abbiamo costruito un considerevole patrimonio di garanzia”, ha detto Oliveti.  Ai 765 milioni di euro pagati direttamente dalle Casse di previdenza va sommato anche l’importo della tassazione che grava sui pensionati delle Casse, che si aggira intorno a un miliardo, secondo una prima stima prudenziale dell’Adepp

È la pelle la nuova sentinella di inquinamento ambientale

(da Sanità Informazione)    Skin to skin, ovvero pelle a pelle, fin dai primi minuti di vita. È così che il neonato sperimenta il suo iniziale contatto con il mondo, attraverso la sua cute vicina a quella della sua mamma. La pelle ci permette di conoscere più a fondo le persone e le cose che ci circondano, facendocene percepire consistenza e temperatura e, nello stesso tempo, è la prima barriera che ci protegge dall’esterno. Essendo la parte del nostro corpo più direttamente esposta all’ambiente ne assorbe anche tutto l’inquinamento, tanto che la medicina ambientale l’ha candidata a diventare una delle sentinelle più accurate ed attendibili.  

L’ambiente si specchia sulla nostra pelle   «Analizzando la cute di un individuo sarà possibile identificare il grado di inquinamento del luogo in cui vive o ha vissuto, non solo quando la pelle sarà invecchiata ed avrà prodotto radicali liberi, spesso conseguenza proprio di una marcata esposizione a fonti inquinanti, ma anche prima che i risultati dell’eventuale contaminazione siano visibili agli occhi – spiega Paolo Mezzana, responsabile SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale) Lazio, medico ambientale e specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica -. Anche i capelli sono attendibili sentinelle ambientali. Anzi, a differenza della pelle, soprattutto se molto lunghi, ci conducono ancora più indietro negli anni».

Effetti a lungo termine   In altre parole, da un’accurata analisi del tessuto epiteliale di una sola persona, non solo potranno essere messi in evidenzia i rischi per la salute individuale, partendo dalle conseguenze a breve e lungo termine, conosciute o prevedibili, degli inquinanti a cui è stata esposta, ma anche quelli del benessere collettivo, ovvero di tutti coloro che vivono o hanno vissuto nel medesimo luogo. «Laddove fossero ravvisati dei potenziali e seri rischi per la salute umana, non solo sarà possibile intervenire immediatamente sottoponendo la popolazione locale a screening mirati, così da individuare e curare precocemente eventuali patologie, ma potranno essere pianificate e messe in atto delle azioni correttive che abbassino il livello di inquinamento ambientale, lasciando in eredità alle generazioni future un ambiente salubre», aggiunge Mezzana.

L’ausilio delle nuove tecnologie    Per ottenere tali risultati non sarà necessaria un’analisi invasiva della pelle, attraverso ad esempio una biopsia cutanea, ma sarà possibile eseguire test non invasivi con l’ausilio delle nuove tecnologie. «Grazie allo sviluppo delle nanotecnologie oggi disponiamo di sensori cutanei in grado di rilevare i parametri della cute, in profondità e in tempo reale. Il microscopio elettronico confocale ci rivela a cosa è stata esposta la pelle che stiamo analizzando, così da poter suggerire al soggetto in questione cosa evitare per il futuro e individuare le correzioni ambientali necessarieaffinché altre persone che vivranno nello stesso luogo possano evitare di subire nuovamente gli stessi danni», spiega lo specialista.

Effetti a breve termine     Tuttavia, accanto agli effetti dell’inquinamento visibili solo a lungo termine sulla nostra pelle, sulla cute stessa o attraverso l’insorgenza di patologie, comprese quelle oncologiche, a carico degli organi più svariati, ce ne sono altri, individuabili fin da subito. «Innanzitutto – dice il responsabile SIMA Lazio -, la nostra pelle può subire un danno immediato ed acuto da contatto con sostanze tossiche che possono scatenare una reazione infiammatoria. In questa stagione, poi, attenzione massima al sole: le conseguenze che scaturiscono da un’inappropriata esposizione, nelle ore centrali della giornata e senza protezione, possono dare origine ad eritema e vesciche, che compaiono subito, o a manifestazioni croniche che, come tali, si protraggono nel tempo. Sono i raggi ultravioletti ad essere nocivi per la nostra salute: il sole di oggi non è quello di trent’anni fa e nemmeno le temperature sono le stesse di quelle percepite alla fine del secolo scorso. Per questo, oggi più di ieri, è urgente porre grande attenzione alla salute dell’ambiente, inscindibile – conclude Mezzana – da quella umana».

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