Vaccini anti – covid: ecco i Centri vaccinali che cambiano sede e orari dal 1 aprile

DAL 1 APRILE  I SEGUENTI CENTRI VACCINALI DELL’AUSL ROMAGNA SARANNO APERTI NELLE SEDI ED ORARI DI SEGUITO SPECIFICATI:

Faenza: dal 1 aprile la sede Hub Distrettuale si trasferirà nella Casa della Salute Centro Nord, presso il Punto prelievi – Piano Terra,  garantendo l’attività vaccinale  il martedì, il giovedì ed il sabato dalle ore 14 alle 19,30.

Forlì: dal 1 aprile il Centro vaccinale provinciale di Forlì si trasferirà all’Ospedale Morgagni-Pierantoni, presso il Padiglione Vallisneri, Punto prelievi, garantendo l’attività vaccinale dal lunedì al sabato dalle ore 14 alle 19.

Cesena: dal 1 aprile il Centro vaccinale provinciale si trasferirà alla Piastra Servizi dell’Ospedale Bufalini, presso il Punto prelievi,  garantendo l’attività vaccinale il lunedì, mercoledì, venerdì e sabato dalle ore 14 alle 19.

Cesenatico. dal 1 aprile il Centro vaccinale distrettuale si trasferirà dalla sede di Savignano all’Ospedale Marconi,  presso la Pediatria di Comunità, garantendo l’attività vaccinale il martedì e giovedì dalle ore 14 alle19.    

Riccione: dal 1 aprile la sede Hub Distrettuale si trasferirà all’Ospedale di Riccione, presso i locali dell’Igiene Pubblica via Formia (Palazzina Direzione Medica), garantendo l’attività vaccinale il martedì, il venerdì  e il sabato dalle ore 8.30 alle 14.

Nessuna variazione nei Centri Vaccinali di Ravenna, Lugo e Rimini.

VACCINAZIONI ANTI – COVID FASCIA 5 – 11 ANNI:  ECCO LE SEDI, GLI ORARI E LE MODALITA’ DI ACCESSO DAL 1 APRILE 

Ravenna: stessa sede, CMP Pediatria di Comunità primo piano, tutti i martedì dalle 14.30 alle 16.30, in libero accesso.

Lugo: dal 1° aprile  l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni si trasferisce alla Pediatria di Comunità (Viale Masi 20) e sarà garantita in libero accesso  tutti i mercoledì 14.30-16.30

Faenza: dal 1° aprile l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni si trasferisce alla Pediatria di Comunità (Via della Costituzione 28/51) e sarà garantita in libero accesso tutti i martedì 14.30- 16.30.

Forlì: dal 1 aprile l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni sarà effettuata in libero accesso solo presso la Pediatria di Comunità, via Colombo 11, ingresso C primo piano, giovedì 14 aprile e giovedì 28 aprile dalle ore 14.30 alle 18.30.  Il giorno 31 marzo le vaccinazioni saranno effettuate dalle ore 14:30 alle 18:30. 

Rimini: dal 1° aprile l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni si trasferisce presso la Pediatria di Comunità, c/o Colosseo – piano terra e sarà garantita su prenotazione il martedì dalle ore 14.30 alle 16.30

Riccione: dal 1° aprile l’attività vaccinale fascia 5 – 11 anni si trasferisce presso i locali della Pediatria di Comunità, via Formia 14 (Palazzina Direzione Medica) e sarà garantita su prenotazione  il giovedì dalle ore 14.30 alle 16.30

Cesena: è in atto la chiamata attiva nelle seguenti sedi della Pediatria di Comunità: Cesena, Mercato Saraceno, San Piero, Savignano, Cesenatico.

Esercizio e perdita di peso: fondamentale il ruolo del Mmg

(da M.D. Digital)  Secondo uno studio pubblicato oggi da The BMJ, gli interventi di esercizio erogati nelle cure primarie sembrano aumentare i livelli di attività di intensità da moderata a vigorosa negli adulti di una media di 14 minuti a settimana.  Sebbene questo effetto possa sembrare modesto, i ricercatori affermano che anche piccoli aumenti dell’attività fisica di intensità da moderata a vigorosa sono importanti, per aiutare a ridurre il rischio di malattie e morte. Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (aggiornate nel 2020) raccomandano un minimo di 150-300 minuti di attività fisica di intensità moderata (es. camminare a passo svelto, ballare o falciare il prato) o 75-150 minuti di attività fisica di intensità vigorosa (es. corsa, nuoto o salire le scale) a settimana e incoraggia le persone a superare questi obiettivi.  Ma l’evidenza suggerisce che nella maggior parte dei paesi, i programmi di attività fisica sono stati inefficaci, con un adulto su quattro insufficientemente attivo e nessun miglioramento nei tassi di partecipazione evidente negli ultimi due decenni.    Poiché la maggior parte degli adulti visita il proprio ambulatorio una volta all’anno, gli operatori sanitari delle cure primarie sono in una buona posizione per sollecitare e incentivare l’attività fisica dei loro pazienti. Tuttavia, studi precedenti sugli interventi mirati all’attività fisica erogati nelle cure primarie hanno riportato risultati contrastanti e pochi hanno studiato il loro effetto sull’aumento dell’attività fisica di intensità da moderata a vigorosa (MVPA).   Per affrontare questo problema, un team di ricercatori del Regno Unito ha esaminato 51 studi che hanno coinvolto oltre 16.000 adulti confrontando gli interventi per l’attività fisica basata sull’aerobica erogati nelle cure primarie con le cure abituali (controlli). Nella maggior parte dei casi medici di medicina generale, infermieri e fisioterapisti hanno fornito direttamente indicazioni, in altri casi sono stati coinvolti anche educatori o consulenti sanitari, specialisti dell’esercizio, dietisti e ricercatori.  L’MVPA è stato misurato utilizzando l’autovalutazione in 37 prove e utilizzando un dispositivo in 14 prove. La durata del follow-up dello studio variava da un mese a cinque anni.   Nel complesso, i ricercatori hanno scoperto che i partecipanti ai gruppi di intervento aumentavano l’MVPA di 14 minuti a settimana in media rispetto ai controlli ed erano anche più propensi dei controlli a soddisfare gli obiettivi delle linee guida per l’MVPA.   Le prove che hanno misurato l’attività fisica con i dispositivi, non hanno riscontrato differenze significative nell’MVPA tra i gruppi, mentre le prove basate sull’attività auto-riferita hanno mostrato un aumento di 24 minuti a settimana nei gruppi di intervento. Gli interventi che prevedevano cinque o più contatti con professionisti sanitari, follow-up più lunghi o quelli erogati dalle cure primarie più altri professionisti sono stati associati a maggiori miglioramenti.   Infine, negli studi che hanno misurato il peso, i partecipanti all’intervento pesavano 1 kg in meno rispetto ai controlli al follow-up. Anche se questo può sembrare un dato di entità modesta, secondo i ricercatori questa quantità di perdita di peso è importante perché in genere gli adulti guadagnano circa 0.5-1 kg all’anno, il che può contribuire allo sviluppo dell’obesità nel tempo. Nelle loro conclusioni gli autori sottolineano che gli interventi per l’incremento dell’attività fisica forniti dagli operatori sanitari nelle strutture di assistenza primaria sembrano efficaci nell’aumentare la partecipazione all’esercizio misurata con autovalutazione e nel ridurre il peso negli adulti.

(Kettle VE, et al. Effectiveness of physical activity interventions delivered or prompted by health professionals in primary care settings: systematic review and meta-analysis of randomised controlled trials. BMJ 2022; 376: e068465. http://dx.doi.org/10.1136/ bmj-2021-068465)

Strumenti diagnostici e terapeutici: li stiamo usando in modo appropriato?

(da Univadis)    C’è un grande divario tra le cure che le persone dovrebbero ricevere e quelle che ricevono realmente. Lapidaria e sotto molti aspetti anche preoccupante la conclusione riportata sulle pagine del Canadian Medical Association Journal (CMAJ) a commento dei risultati di una metanalisi di 174 studi che valutavano l’utilizzo appropriato di diverse pratiche diagnostiche e terapeutiche in Canada.   “In un contesto nel quale i sistemi sanitari devono fare i conti con la sostenibilità, molte delle cure che i pazienti ricevono sono inappropriate” esordiscono gli autori, guidati da Janet E. Squires della University of Ottawa, in Ontario (Canada). “Parliamo di cura inappropriata quando pratiche cliniche efficaci sono sotto-utilizzate, pratiche non efficaci sono sovra-utilizzate o quando, più in generale, le pratiche cliniche sono usate in modo scorretto” precisano gli autori che nella loro analisi hanno valutato l’utilizzo di ben 228 di tali pratiche su un totale di 28,9 milioni di persone.  Come spiegano Squires e colleghi, conoscere gli “errori” che ancora oggi si compiono nell’utilizzo di test diagnostici, trattamenti e altre procedure mediche è fondamentale per migliorare l’approccio alla salute sotto diversi punti di vista. Un utilizzo inappropriato delle pratiche cliniche si traduce infatti in esperienze negative vissute dai pazienti, scarsi esiti di salute e un utilizzo poco efficiente delle già scarse risorse di cui i sistemi sanitari dispongono.  Ecco allora una breve panoramica di quanto emerso dalla metanalisi canadese e degli strumenti oggi disponibili per poter scegliere in modo più accurato. Una fotografia d’insieme dalla quale anche i medici italiani possono cogliere spunti di riflessione da portare nella loro routine quotidiana di confronto con i pazienti.    “In Italia il Decreto Lorenzin pubblicato in Gazzetta Ufficiale ne l gennaio 2016 elenca le ‘Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio sanitario nazionale’ e supporta almeno in parte i medici nella loro ricerca dell’appropriatezza prescrittiva” spiega Marta Ponciroli, medico di medicina generale presso la ATS Milano Città metropolitana, Distretto Ovest Milanese, che ci ha aiutato a leggere i dati canadesi alla luce dello scenario italiano. “Non dimentichiamo che in Italia il Sistema Sanitario Nazionale è in realtà composto da diverse realtà regionali che differiscono tra di loro sotto molti aspetti” aggiunge, sottolineando che la sua esperienza si riferisce in particolare all’area geografica nella quale opera e potrebbe non essere generalizzabile ad altre realtà locali.

A chi troppo, a chi troppo poco   In base ai dati della metanalisi condotta da Squires e colleghi, la percentuale mediana di cure inappropriate in Canada si attesta al 30%. Quasi un caso su tre. Un numero in linea con quello emerso da altre valutazioni simili svolte in altri paesi e che, a onor del vero, presenta valori molto variabili a seconda della pratica clinica/terapia presa in considerazione: ad esempio le percentuali di cure inappropriate variano dal 51% al 97% nel Regno Unito e dal 10% all’87% in Australia.  Entrando più in dettaglio, la metanalisi ha mostrato che nella pratica clinica canadese il sotto-utilizzo delle cure (43,9%) è più comune del sovra-utilizzo (13,6%), ancora una volta con grandi differenze a seconda della pratica analizzata. E questa differenza è presente sia per quanto riguarda la diagnosi che il trattamento, le due grandi aree sulle quali si sono concentrati i ricercatori canadesi.   Tra gli esami diagnostici sotto-utilizzati più studiati emergono il test ematico per l’emoglobina glicata (sotto-utilizzo 18%-85,7%), quello per i lipidi (3,2%-47,0%) e la valutazione oculistica nel diabete (22,9%-80,5%). Tra i test diagnostici sovra-utilizzati spiccano invece il test per i livelli di ormone tiroido-stimolante (3,0%-35,1%), la radiografia del torace (2,4%-34,0%), il Pap Test (8,0%-15,7%).  Se ci si sposta invece nell’ambito terapeutico, le statine occupano i primi posti nella classifica delle cure più studiate e sotto-utilizzate (3,3%-98,8%), mentre gli antibiotici sono tra le terapie più studiate e sovra-utilizzate (11,8%-76,0%), assieme ad antipsicotici (5,6%-76,5%) e oppioidi (0,1%-23,9%).   In sintesi i dati mostrano che la strada verso l’appropriatezza terapeutica è ancora molto lunga, anche se alcuni passi in avanti sono stati compiuti: dalla metanalisi emerge infatti che l’uso inappropriato delle cure si è ridotto negli anni più recenti, passando dal 32,6% del periodo 2009-2027 al 25,9% del 2018-2020. “Merito soprattutto di un uso più appropriato delle cure in ambito terapeutico” spiegano gli autori, ricordando che l’inappropriatezza in questo settore è scesa di ben 17,7 punti percentuali tra i due periodi presi in esame

Verso scelte “di valore”    Quali sono le azioni da intraprendere per migliorare l’utilizzo degli strumenti di cui i medici dispongono e ridurne di conseguenza l’uso inappropriato?    La prima strategia alla quale verrebbe da pensare è quella di basarsi sempre sulle più aggiornate linee guida pubblicate dalle diverse società scientifiche. “A tutti gli effetti sul portale internet della ATS presso la quale opero sono disponibili linee guida aggiornate e percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) che possiamo consultare” dice Ponciroli.   Senza dubbio però contano anche la formazione e l’atteggiamento dei medici che giocano un ruolo di primo piano nell’evitare l’utilizzo di cure “di basso valore”, ovvero tutte quelle procedure che non portano a un beneficio netto quando si confrontano i benefici e i rischi, inclusi i possibili problemi di tipo economico. Quello delle cure di basso valore è a tutti gli effetti un tema di rilievo nella comunità medico-scientifica, come dimostra per esempio un recente statement della American Heart Association Scientific, pubblicato su Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes che affronta il problema in ambito cardiovascolare, fornendo anche consigli su come migliorare la qualità e l’efficienza delle cure.   Inoltre la qualità delle cure è un puzzle formato da tanti differenti tasselli, tra i quali sicurezza, efficacia, tempismo, efficienza, uguaglianza e centralità del paziente. “I medici si concentrano soprattutto sull’efficacia, che dal punto di vista operativo potrebbe essere definita come la percentuale di pazienti che riceve le cure raccomandate dalle linee guida. Ma solo il 50% dei pazienti riceve tali cure” spiega Kaveh G. Shojania, del Sunnybrook Health Sciences Centre e della University of Toronto (Canada) in un editoriale di commento alla metanalisi di Squires e colleghi. Secondo Shojana però, le linee guida da sole non sono la soluzione: “Anche cure raccomandate e legate ad ampi benefici per la salute come gli screening oncologici possono avere un basso impatto se poi non è possibile trattare i tumori diagnosticati in modo tempestivo a causa per esempio di mancanza di posti letto o di personale medico” spiega. Per raggiungere una elevata qualità delle cure servono, secondo l’esperto anche una maggiore attenzione ai tanti e diversi determinanti sociali della salute e una trasformazione della sanità verso sistemi più resilienti.

Choosing wisely, anche in Italia   “Fare di più non significa fare meglio”. È il motto del progetto Choosing Wisely Italia (https://choosingwiselyitaly.org/)  che, sull’esempio di quello USA, “ha l’obiettivo di favorire il dialogo dei medici e degli altri professionisti della salute con i pazienti e i cittadini su esami diagnostici, trattamenti e procedure a rischio di inappropriatezza in Italia, per giungere a scelte informate e condivise”.    Il progetto Choosing Wisely nasce nel 2012 in USA, lanciato da ABIM Foundation e si è allargato nel corso degli anni fino ad essere presente oggi in 25 nazioni, coordinate a livello organizzativo dal Canada.   In Italia, il progetto Choosing Wisely è promosso da Slow Medicine e mette a disposizione sul proprio sito internet (e anche attraverso una app) alcune raccomandazioni da Società Scientifiche e Associazioni Professionali italiane che possono aiutare i professionisti sanitari a dialogare con i propri pazienti in particolare quando si tratta di procedure a rischio di utilizzo inappropriato.  A conferma del loro valore, tutte le raccomandazioni Choosing Wisely Italy sono parte delle Buone Pratiche clinico-assistenziali nel Sistema Nazionale – Linee Guida-SNLG dell’Istituto Superiore di Sanità e vengono periodicamente aggiornate.

Dati personali, dal Garante privacy via libera all’Anagrafe nazionale assistiti

(da Doctor33)  Il Garante per la protezione dei dati personali ha dato via libera al ministero della Salute sullo schema di decreto del presidente del Consiglio dei ministri che disciplina l’Anagrafe nazionale degli assistiti (Ana). Lo schema è stato elaborato tenendo conto delle indicazioni fornite dall’Autorità privacy nell’ambito di numerose interlocuzioni con il ministero della Salute, volte a garantire il rispetto della protezione dei dati personali trattati. Il via libera del Garante introduce un importante strumento di innovazione che agevola il sistema di monitoraggio della spesa sanitaria, accelera il processo di automazione amministrativa e migliora i servizi per i cittadini e le Pa.
La nuova banca dati, realizzata dal ministero della Salute in accordo col Mef, assicura infatti alle singole Asl la disponibilità delle informazioni esatte e aggiornate sugli assistiti per lo svolgimento delle funzioni di propria competenza. Importanti le novità introdotte dal decreto: l’Ana subentra alle anagrafi e agli elenchi degli assistiti tenuti dalle singole Aziende sanitarie locali, che mantengono la titolarità dei dati di propria competenza e ne assicurano l’aggiornamento. Le Asl cessano di fornire ai cittadini il libretto sanitario personale e, in caso di trasferimento di residenza, l’Ana ne dà immediata comunicazione telematica alle aziende sanitarie locali interessate. In questo modo l’Asl della nuova residenza prende in carico il cittadino, e aggiorna i dati di propria competenza nell’Ana, senza che l’interessato debba fornire ulteriori comunicazioni alle Aziende sanitarie coinvolte.
Lo schema di Dpcm definisce anche i contenuti dell’Anagrafe nazionale degli assistiti, tra i quali devono essere inclusi le scelte del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta e il codice esenzione e il domicilio. Lo schema stabilisce inoltre il piano per il graduale subentro dell’ANA alle anagrafi e agli elenchi degli assistiti tenuti dalle singole Asl e le garanzie e le misure di sicurezza. È previsto poi che gli interessati possano accedere in rete ai propri dati personali contenuti nell’Ana, ovvero richiederne copia cartacea presso l’Asl competente. L’adozione del provvedimento consente, tra l’altro, di dare attuazione all’investimento ”Potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico”, previsto dalla missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

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