Consiglio di Stato, i medici non possono rifiutare il vaccino

(da DottNet)   I medici curano, non possono rifiutare il vaccino. Il Consiglio di Stato respinge (https://www.dottnet.it/file/102741/sentenza-vaccino-medici/) con questa motivazione il ricorso di un medico abruzzese contro la sospensione per il rifiuto di vaccinarsi, motivato ‘sulla base di dubbi scientifici certo non dimostrati’, scrivono i giudici amministrativi.  In uno dei passaggi del decreto Palazzo Spada osserva “ancora una volta”, “che la prevalenza del diritto fondamentale alla salute della collettività rispetto a dubbi individuali o di gruppi di cittadini sulla base di ragioni mai scientificamente provate, assume una connotazione ancor più peculiare e dirimente allorché il rifiuto di vaccinazione sia opposto da chi, come il personale sanitario, sia – per legge e ancor prima per il cd. “giuramento di Ippocrate”- tenuto in ogni modo ad adoperarsi per curare i malati, e giammai per creare o aggravare il pericolo di contagio del paziente con cui nell’esercizio della attività professionale entri in diretto contatto”.

Dal prossimo 15 dicembre, secondo quanto stabilito dal decreto sul Super Green pass, l’obbligo vaccinale per medici e personale sanitario viene esteso anche alla terza dose. Inoltre nel provvedimento sono state inserite altre categorie, come dipendenti delle strutture sanitarie (il personale medico aveva già l’obbligo vaccinale per le prime due dosi), lavoratori del mondo della scuola e forze dell’ordine. Con questa sentenza del Consiglio di Stato viene ribadito un principio: la sicurezza della comunità viene prima di paure individuali, non avvalorate da tesi scientifiche. Tali dubbi, si legge ancora nel decreto firmato dal presidente della Terza Sezione Franco Frattini, riguardano anche i medici “malgrado l’imponente quantità di studi scientifici che indicano la netta prevalenza del beneficio vaccinale anti Covid 19 per il singolo e per la riduzione progressiva della pandemia ancora gravemente in atto”. Chi non si metterà in regola quindi non potrà più lavorare a contatto con i pazienti, e sarà sospeso.

Cassazione, anche il medico interpellato per un consulto è responsabile

(da DottNet)  Il medico, interpellato anche solo per un semplice consulto specialistico, ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, non potendo esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione. E il medico che non è specialista può avere il dovere di intervenire anche quando è stato interpellato il medico specialista. A ricordarlo è la Cassazione penale, Sezione IV, nella sentenza 30 giugno 2021, n. 24895   Un soggetto, si legge su Altalex, effettuava accesso al Pronto soccorso, inviato dal medico curante per iperpiressia da tre giorni, stato confusionale e cefalea. Quivi veniva visitata, annotandosi “paziente in stato di agitazione, non collaborante, piretica” e le venivano somministrati alcuni farmaci, veniva eseguita rx al torace e tac al capo. Durante la tac, si manifestava un ulteriore episodio di forte agitazione psicomotoria, veniva attuata contenzione fisica, facendo sottoscrivere il consenso informato ai familiari. Terminato il proprio turno, il medico del pronto soccorso affidava il paziente al medico del turno di notte, suggerendo di contattare il neurologo reperibile. Il medico del pronto soccorso, subentrato nell’affidamento, contattava il neurologo.

Quest’ultimo visitava il paziente, visionava la tac e confermava il sospetto clinico di meningite, annotando “paziente vigile ma non contattabile, non parla né esegue comandi, isocorica, nuca rigida e decubito preferenziale laterale”. Il neurologo consigliava di inviare il paziente in una struttura sanitaria con un reparto di malattie infettive, in quanto l’ospedale dove era sito il pronto soccorso non aveva un reperto di malattie infettive né consulente infettivologo. Il neurologo non menzionava alcuna terapia da somministrare al paziente nelle more del trasferimento ad altra struttura. Il medico del pronto soccorso, seguendo le istruzioni del neurologo, cercava ripetutamente di trasferire il paziente presso altra struttura, ma la ricerca richiedeva molto più tempo del previsto.  Nel frattempo, riporta Altalex, veniva contattato telefonicamente più volte il neurologo che riteneva di non eseguire la rachicentesi, esame fondamentale per la diagnosi di meningite, ritenendo più indicata l’esecuzione della procedura in oggetto presso la struttura di destinazione dotata di reparto di malattie infettive. Successivamente, in caso di mancato trasferimento del paziente, il neurologo consigliava telefonicamente di eseguire emocolture e successiva terapia antibiotica. Infine, il paziente veniva trasferito presso altra struttura in codice rosso.  Al medico del pronto soccorso del turno di notte, che ricevette il paziente con una chiara indicazione che fosse affetto da meningite, venne imputato di non aver immediatamente iniziato la terapia antibiotica così come prescritto dalle linee guida di quel pronto soccorso. Allo specialista neurologo venne imputato di non aver subito disposto la terapia antibiotica o in ogni caso di non aver controllato che il collega del pronto soccorso l’attuasse.  Si chiede allora la Corte di Cassazione: doveva e poteva il medico del pronto soccorso che aveva chiesto la consulenza specialistica al collega attivarsi motu proprio ad indicazioni terapeutiche che non gli erano state fornite? Doveva conoscere comunque le linee guida che gli imponevano la somministrazione quanto prima della terapia antibiotica? E ancora: sussiste la responsabilità del medico che ha chiesto il consulto anche se concorre quella del collega che il consulto gli ha fornito?

La risposta, a tutti i quesiti è positiva.

Invero, ricordano gli ermellini, che in tema di colpa professionale medica, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorchè non sia svolta contestualmente, “ogni sanitario – compreso il personale paramedico – è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alla specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza della cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere dell’eccezionalità ed imprevedibilità”.

Ne consegue che “ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente op contestuale svolta da un altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio”. Né può invocare il principio dell’affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, “unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo”. Né vale ad esimere da responsabilità nemmeno la circostanza che il collega sia più anziano, poiché è escluso “che possa invocare esonero da responsabilità il medo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla”.

Quindi certamente responsabilità del medico del medico del pronto soccorso.

Ma responsabilità anche del neurologo specialista, perché suo compito “non era solo quello di visitare il paziente e di formulare una corretta diagnosi, ma anche di prescrivere la terapia, interessarsi alla vicenda, somministrare i farmaci salvifici personalmente o controllare che altri lo facessero”.

Aggiunge la Corte: “con riguardo alla posizione di garanzia del medico che sia stato interpellato anche solo per un semplice consulto specialistico e che accerti l’esistenza di una patologia ad elevato ed immediato rischio di aggravamento, ha l’obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad evitare eventi dannosi ovvero, in caso di impossibilità di intervento, portando a conoscenza dei medici specialistici la gravità o urgenza del caso ovvero, nel caso di indisponibilità di posti letto nel reparto specialistico, richiedendo che l’assistenza specializzata venga prestata nel reparto dove il paziente si trova ricoverato specie laddove questo reparto non sia idoneo ad affrontare la patologia riscontrata con la necessaria perizia professionale”. Concludendo che “ciò in quanto il medico che (…) venga chiamato per un consulto specialistico, ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, non potendo esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione”.

Gli aiuti Covid riservati ai medici

(da DottNet)   Mentre il Covid sta purtroppo rialzando la testa, si è portati a pensare che la stagione degli aiuti e dei sussidi sia finita, fatta eccezione per l’esonero contributivo in via di perfezionamento in questi giorni. Sono invece molti gli istituti Enpam ancora attivi, e può quindi essere utile ricordarli, ad uso dei ritardatari o delle più recenti vittime della pandemia. I moduli per le relative domande sono reperibili nella sezione Modulistica del sito della Fondazione, ovvero accedendo alla rubrica Covid-19 all’interno della sezione Come fare per. 

Bonus Enpam e Bonus Enpam Plus. E’ un sussidio, pari al massimo a 1.000 euro mensili, che viene erogato ai medici e agli odontoiatri che in un trimestre del 2020 hanno subìto un calo del fatturato pari almeno al 33% rispetto all’ultimo trimestre del 2019. 

Indennità per i contagiati. L’Enpam riconosce poi da 600 a 5.000 euro a tutti i liberi professionisti risultati positivi al Covid. L’indennità ha un importo crescente a seconda della gravità: isolamento domiciliare, ricovero ospedaliero, terapia intensiva. L’importo viene rapportato all’aliquota di versamento della Quota B (chi versa con aliquota ridotta della metà avrà la metà dell’indennità) e sono previsti aiuti anche per i pensionati ancora attivi, entro determinati limiti di reddito annuo. 

Indennità di quarantena. Ai liberi professionisti costretti a interrompere l’attività a causa di quarantena ordinata dall’autorità sanitaria viene corrisposto un contributo sostitutivo del reddito di 82,78 euro al giorno. Ai convenzionati invece, viene erogata un’indennità per coprire i costi del sostituto o per compensare i mancati guadagni. 

Indennità per immunodepressione. Fino a due mesi di indennità sono previsti per i convenzionati in una condizione di rischio per immunodepressione, esiti di patologie oncologiche o svolgimento di relative terapie salvavita. L’indennità è calcolata sulla base dell’ultimo compenso mensile percepito per intero. 

Sussidio per le spese funerarie. Senza alcun limite di reddito personale (come previsto per il normale sussidio), l’Enpam si fa carico delle spese funerarie sostenute dai familiari dei medici deceduti per Covid. 

Maggiorazione della pensione a superstiti. Ai familiari dei medici deceduti per la pandemia l’Enpam raddoppia la maggiorazione dell’anzianità contributiva portandola fino a 20 anni, rispetto ai 10 previsti dal regolamento. Per i familiari, nel concreto, significa poter contare su una pensione indiretta più alta. 

Fuori Enpam, va poi ricordato anche il Fondo di sostegno alle vittime da Covid-19 istituito dalla Protezione Civile. Il modulo per presentare la richiesta di contributo economico è disponibile sul sito www.protezionecivile.gov.it, e potrà essere inviato tramite raccomandata A/R o via pec, all’indirizzo protezionecivile@pec.governo.it. Le istanze saranno successivamente esaminate da una Commissione, appositamente istituita con Decreto del Capo Dipartimento della protezione civile, che provvederà a redigere l’elenco dei beneficiari. L’ordinanza del Capo Dipartimento dispone che il beneficio venga corrisposto a ciascuno dei componenti superstiti del nucleo familiare – siano essi coniugi, conviventi, figli, genitori o fratelli dei deceduti – fino ad un massimo di 55.000 euro e nel limite di 15.000 euro per ogni componente del nucleo familiare che ne faccia richiesta al Dipartimento. 

Infine, aderendo a un’iniziativa promossa dalla Banca d’Italia, l’Enpam ha istituito il “Fondo di solidarietà Covid-19 – Banca d’Italia / Fondazione Enpam” per finanziare borse di studio a beneficio dei figli di tutti i medici deceduti a causa del Covid-19. Oltre alle borse di studio, il fondo erogherà anche assegni di mantenimento per coniugi e figli in acclarato disagio economico o stato di bisogno. L’iniziativa si iscrive nell’ambito dei contributi concessi dalla Banca d’Italia agli enti e alle strutture ospedaliere direttamente impegnati nella gestione dell’emergenza da Covid-19. Nelle prossime settimane sarà emanato il bando ufficiale, e saranno rese note le modalità per presentare le domande.

La pandemia ha impresso un’accelerazione fortissima ai cambiamenti del nostro Ssn

(da M.D. Digital)    Il Rapporto “OASI 2021- Bocconi 2021”, offre una lettura ampia delle rapide dinamiche di trasformazione che hanno interessato il Ssn italiano nell’ultimo biennio, caratterizzato dall’epidemia causata dal virus Sars-CoV-2. Secondo i ricercatori il Covid ha determinato il susseguirsi di almeno quattro “epoche” di policy, di mission e di cultura istituzionale in soli due anni e all’orizzonte se ne intravede una quinta che, probabilmente, sarà contraddistinta da una nuova austerità, con una spesa sanitaria corrente che non crescerà significativamente.  Storicamente infatti, precisano i ricercatori della Sda Bocconi, la governance e la mission prevalente del Ssn sono state caratterizzate da profondi processi di trasformazione che hanno generato “fasi di circa 7-10 anni, durante le quali le configurazioni e gli obiettivi di fondo venivano concettualizzati e rappresentati come stabili”. Ma l’arrivo del virus SARS-CoV-2 ha stravolto questa  ciclicità.

Le quattro epoche – La prima (2020), che coincide con la virulenza dell’infezione da Covid, ha mostrato tutte le debolezze del nostro Ssn caratterizzato in quel momento da una delle spese sanitarie pro capite più basse dell’Europa occidentale, con un tasso di crescita della spesa sanitaria pubblica prossimo allo zero se depurato dell’inflazione e con i disavanzi regionali azzerati o molto ridotti. “Un sistema – si legge nel Rapporto – senz’altro sobrio, con un livello di efficienza e appropriatezza evidentemente superiore al decennio precedente e, almeno nel breve, sostenibile per la fiscalità generale del nostro Paese. Tutto questo a prezzo, però, di un significativo invecchiamento medio sia degli organici, sia delle infrastrutture e delle attrezzature”  che è stato travolto dalla pandemia e ha  trasformato il Ssn in un sistema mission e data driven seppur con un unico obiettivo: la cura, il monitoraggio e la prevenzione del contagio. Nella seconda epoca, che va da marzo 2020 ai primi mesi del 2021 i vincoli finanziari sono stati azzerati. Il Covid ha consentito di acquistare beni e assumere personale per moltissime aree delle aziende sanitarie. Secondo il Rapporto “per la prima volta nella storia del Ssn, ha permesso di superare i silos disciplinari e di organizzare i professionisti per target. Anche per questo, la flessibilità delle linee produttive ospedaliere è aumentata drasticamente”.   “La progressiva trasformazione del Covid da emergenza in situazione endemica  ma sufficientemente controllata ha condotto alla terza epoca”.  L’endemizzazione del virus si è però concretizzata solo dopo l’esaurimento della seconda e della terza ondata epidemica, a fine primavera 2021, in parallelo con il consolidarsi della campagna vaccinale.”La terza epoca, con l’uscita dalla fase acuta dell’emergenza, ha fatto riemergere le forze della path dependecy. I professionisti, esaurito lo stato di necessità e spesso stremati da mesi di lavoro straordinario, hanno presto invocato il rapido ritorno alle strutture e alle culture organizzative tradizionali, caratterizzate da una chiara suddivisione per materie, setting e discipline”. “La quarta epoca, in pieno svolgimento, è quella della costruzione del portafoglio di progetti finanziabili con il Pnrr” che riguardano l’ospedale, il territorio, la ricerca, e allo stesso tempo i fattori produttivi aziendali: edifici, apparecchiature, sistemi informativi, tecnologie.    Secondo i ricercatori della Sda – Bocconi sullo sfondo si intravederebbe, “una probabile stagione,  (…) in cui si tornerà a baricentrare obiettivi e priorità aziendali sulla sostenibilità economica”.  È difficile pensare, “che la spesa sanitaria corrente possa crescere ancora. Il Paese ha raggiunto il 156% di debito pubblico sul Pil, i valori in assoluto più alti della nostra storia repubblicana, da cui bisognerà presto riprendere a rientrare”. Motivo per cui la questione dirimente per i ricercatori è se, “dopo le grandi epoche accelerate di trasformazione del Ssn (emergenza, recupero attività, Pnrr) sia ancora possibile immaginare una stagione di controllo della spesa basata prevalentemente su razionamenti”. “Riusciremo – si chiedeono –  a fare il salto paradigmatico verso la razionalizzazione delle risorse? A livello di policy, ma anche di management, la sfida sarà quella di sostituire tagli con processi profondi di riallocazione, riorganizzazione del lavoro, ridisegno delle forme dei servizi, riqualificazione dei target”.

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