Con sonno e attività fisica insufficienti aumentano i rischi di mortalità

(da Quotidiano Sanità e Reuters Health)    Uno studio britannico pubblicato sul ‘British Medical Journal’ ha messo in luce come le persone sedentarie con un sonno irregolare presentino un rischio significativamente superiore di mortalità per tutte le cause, per patologie cardiovascolari e per cancro rispetto a quelle con uno solo o nessuno di questi fattori di rischio.   I ricercatori – guidati da Emmanuel Stamatakis, dell’Università di Sidney – hanno esaminato i dati relativi a 380.055 partecipanti (età media 55,9 anni) allo studio della UK Biobank che disponevano di dati al basale su un’attività fisica da moderata a intensa (MVPA) e con punteggi compositi relativi al sonno in base a cronotipo, durata del sonno, insonnia, russamento e sonnolenza diurna.
Da questi dati, gli studiosi hanno ricavato 12 diverse categorie di attività fisica e sonno combinati. A un’estremità vi era un sonno di scarsa qualità e nessuna MVPA, all’altra un sonno salutare e elevati livelli di MVPA. Al basale, nessuno dei partecipanti presentava una patologia cardiovascolare o un tumore nell’anamnesi. Dopo un follow-up medio di 11,1 anni, sono stati registrati 15.503 decessi per tutte le cause, tra cui 4.095 per patologie cardiovascolari e 9.064 per cancro.

Rispetto all’estremo più sano, costituito da un sonno salutare e dai più elevati livelli di MVPA, gli individui che dormivano male e non facevano attività fisica avevano probabilità significativamente superiori di decesso per tutte le cause (hazard ratio 1,57), patologie cardiovascolari (HR 1,67) e cancro (HR 1,45).
“Abbiamo osservato che l’inattività fisica amplificava il rischio per la salute di un sonno di cattiva qualità in modo sinergico, il che significa che il rischio combinato di mortalità per inattività fisica e sonno di scarsa qualità era superiore rispetto alla somma dei rischi indipendenti del solo sonno di cattiva qualità e della sola inattività fisica”, osserva Emmanuel Stamatakis,”Ciò non sorprende considerando che un sonno di scarsa qualità e l’inattività fisica lavorano su vie cardiovascolari e metaboliche simili. Ad esempio, sappiamo che sia un sonno breve che l’inattività fisica causano una disfunzione metabolica ed endocrina, aumentano l’infiammazione sistemica e causano la stimolazione del sistema nervoso simpatico”.
I livelli di attività dei partecipanti sono stati divisi in quattro categorie in base alle linee guida sull’esercizio fisico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità usando il Metabolic Equivalent of Task (MET, equivalente metabolico) in minuti: nessuna MVPA, scarsa MVPA (meno di 600 MET in minuti/settimana), MVPA media (da 600 a 1.199) o MVPA elevata (1200 o superiore).
Nel complesso, 223.445 partecipanti (59%) si trovavano nel gruppo della MVPA elevata, 57.771 (15%) nel gruppo medio, 39.298 (10%) nel gruppo con scarsa MVPA e 59.541 (16%) in quello che non faceva alcun tipo di MVPA.
Inoltre, i ricercatori hanno assegnato ai partecipanti un punteggio sulla qualità del sonno da 0 a 5 in base a cronotipo, durata del sonno, insonnia, russamento e sonnolenza diurna e hanno creato tre categorie di qualità del sonno: scarsa (punteggi da 0 a 1), intermedia (da 2 a 3) e sana (4 o superiore). La maggior parte dei partecipanti (56%) presentava un pattern del sonno sano, il 42% aveva una qualità del sonno intermedia e il 3% dormiva male.

Per l’assistenza territoriale cambierà tutto: dal numero verde unico europeo per le cure non urgenti, alle nuove Case di Comunità (Hub e Spoke) con équipe multidisciplinari.

Mmg e pediatri titolari rapporto fiducia con il paziente ma il futuro dei loro studi privati è incerto.  Tutto scritto nero su bianco nella bozza di riforma dell’assistenza territoriale ispirata dal nuovo Patto per la Salute e aggiornata con le indicazioni e i progetti del Pnrr. L’ha redatta il Gruppo di lavoro Agenas sull’assistenza territoriale ed è ora all’esame della Cabina di Regia per il Patto per la Salute. Il primo tassello è il Distretto Socio-Sanitario (1 ogni 100mila ab.) nel cui ambito opereranno Case della Comunità, grandi e piccole e gli Ospedali di Comunità. Sempre in capo al Distretto il coordinamento di tutte le attività di assistenza domiciliare e delle Rsa     Leggi L’articolo completo al LINKhttp://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=97191

Iss, contro le varianti efficaci i 4 vaccini. I farmaci da preferire

(da DottNet)    “I primi studi affermano che il ciclo completo dei 4 vaccini già approvati rimane protettivo nei confronti di tutte le Voc – cioe’ le varianti che sono considerate piu’ rischiose- mentre diminuisce l’efficacia che si era evidenziata dopo la prima dose”. Lo sottolinea l’Istituto superiore di sanità (ISS), in un aggiornamento delle Faq sul proprio sito. Nelle ultime 24 ore il numero dei positivi è passato da 907 a 1.010, le vittime del Covid sono 14 mentre ieri erano state 24. Numeri che gli esperti leggono come un andamento dissociato, quello a cui si è affidato il premier britannico Boris Johnson per le riaperture: la variante fa aumentare i casi ma non le ospedalizzazioni e i decessi. Lo stesso ministro della Salute Roberto Speranza oggi ha sottolineato che fino a due mesi e mezzo fa “avevamo 30.000 persone in ospedale e oggi sono 1.500, il 95% in meno. Avevamo 3.800 persone nelle terapie intensive e oggi siamo sotto i 190, ben oltre il -90%”.  “Per quanto riguarda i farmaci in uso e in sperimentazione – si legge sul sito dell’Iss – non ci sono ancora evidenze definitive in un senso o nell’altro”. Alcuni articoli, spiega Iss, indicano che i monoclonali in sviluppo potrebbero perdere efficacia da soli, ma continuano a funzionare i mix di 2 anticorpi.

Se per una malattia di lieve entità vanno bene paracetamolo per la febbre e FANS per i dolori muscolo-scheletrici, i monoclonali possono essere considerati nelle prime fasi di infezione sintomatica per pazienti fragili o ad alto rischio (diabetici, cardiopatici, persone molto anziane) nella gestione domiciliare: è il medico di famiglia che deve identificare infatti il soggetto da trattare e inviarlo tempestivamente alle strutture di riferimento. Questi farmaci sono somministrati per infusione in ambulatori dedicati. Sono in effetti  gli unici farmaci che abbiano dimostrato un’azione antivirale, utile soprattutto nelle primissime fasi, entro i primi 3-4 giorni dall’eventuale insorgenza della sintomatologia clinica lieve/moderata. In termini di riduzione della viremia sono tutti efficaci, soprattutto rispetto a molti altri farmaci già in commercio testati come antivirali contro il SARS-COV2 che nel tempo si sono rivelati inutili, se non addirittura dannosi. Sono anticorpi che vanno a legarsi alla proteina Spike e impediscono l’ingresso nelle cellule e, quindi, la replicazione del virus. Ad oggi risultano sicuri, molto efficaci e richiedono una sola infusione». Secondo i primi studi, i monoclonali in uso sarebbero efficaci anche contro la variante Delta.

In Italia hanno un’autorizzazione di emergenza e, in maniera simile ai vaccini che hanno ricevuto approvazione condizionale, è contemplata una rivalutazione del loro profilo rischi-benefici sulla base di nuovi dati generati dopo la loro commercializzazione. In Italia sono oltre 6.100, dal 10 marzo a fine giugno, i pazienti Covid che li hanno ricevuti. La maggior parte di questi è stata trattata con la combinazione di bamlanivimab e etesevimab di Eli Lilly, poi c’è la combinazione casirivimab e imdevimab di Regeneron-Roche. Il 17 giugno è stato aggiunto nell’elenco dei farmaci rimborsabili dal Servizio Sanitario anche se non autorizzati il tocilizumab (per il trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con Covid grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica, in condizioni cliniche in rapido peggioramento). Tale anticorpo monoclonale, si legge sul Corriere della Sera, già autorizzato per il trattamento dell’artrite reumatoide, è stato appena inserito anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nelle linee guida dei trattamenti anti Covid.

In ospedale per i casi seri e gravi si usa – soprattutto in quei pazienti che vanno a desaturare – il cortisone, in particolare il desametasone, che ha mostrato dei risultati eccezionali in termini di riduzione della mortalità. Si associa spesso l’eparina, ma come terapia profilattica, in pazienti che hanno polmoniti e sono immobilizzati. Altri farmaci con un’azione antinfiammatoria e immunosoppressiva si sono rivelati utili, come il tocilizumab, ma è da riservare solo a una certa categoria di pazienti ed in aggiunta al cortisone.  Entro la fine dell’anno, anticipa il Corriere della Sera, arriveranno quattro (se non di più) anticorpi monoclonali anti-proteina Spike, quali la combinazione di bamlanivimab ed etesevimab di Eli Lilly e la combinazione di casirivimab e imdevimab di Regeneron-Roche, già autorizzati in Europa per uso emergenziale, e regdanivimab di Celltrion e sotrovimab di GlaxoSmithKline-Vir Biotechnology, in fase di revisione da parte di EMA; inoltre ci sono molte aspettative su immunosoppressori già in commercio per il trattamento dell’artrite reumatoide, quali baricitinib e tofacitinib.

Il caffè protegge dall’epatopatia cronica

(da Quotidiano Sanità e Reuters Health)  Uno studio condotto sui dati della UK Biobank dimostra che le persone che bevono qualsiasi tipo di caffè, che contenga o meno caffeina, hanno meno probabilità di sviluppare epatopatia cronica o di morire per tale causa rispetto alle controparti che non assumono la bevanda. 
I ricercatori – guidati da Oliver Kennedy, dell’Università di Southampton – hanno analizzato i dati relativi a 384.818 partecipanti allo studio che hanno riferito di consumare caffè e 109.767 che non lo consumavano. Dopo un follow-up mediano di 10,7 anni, gli studiosi hanno rilevato 3.600 casi di epatopatia cronica, 5.439 casi di epatopatia cronica o steatosi, 184 casi di carcinoma epatocellulare e 301 casi di decesso per epatopatia cronica.
Rispetto ai partecipanti che non consumavano caffè, le controparti presentavano un rischio significativamente inferiore di epatopatia cronica (hazard ratio aggiustato 0,79), epatopatia cronica o steatosi (aHR 0,80), carcinoma epatocellulare (aHR 0,80) e decesso per epatopatia cronica (aHR 0,51).   Il consumo mediano di caffè era due tazze al giorno in coloro che assumevano la bevanda, segnalano i ricercatori su BMC Public Health. Il massimo effetto protettivo per l’assunzione di caffè si è presentano con tre-quattro tazze al giorno.  Tra i consumatori di caffè, 79.644 (19%) assumevano caffè decaffeinato. Chi consumava la variante decaffeinata aveva più probabilità di essere di sesso femminile e più anziano e meno probabilità di essere fumatore.  Rispetto ai partecipanti che non bevevano alcun tipo di caffè, quelli che assumevano caffè decaffeinato presentavano un rischio significativamente inferiore di epatopatia cronica (HR 0,80), epatopatia cronica o steatosi (HR 0,85) e decesso per epatopatia cronica (HR 0,36).
Tuttavia, il caffè istantaneo sembra avere un minor effetto protettivo rispetto al caffè macinato. Ad esempio, la riduzione del rischio di sviluppare epatopatia cronica è risultata meno pronunciata con il caffè istantaneo (HR 0,85) che con quello macinato (HR 0,65), così come il rischio di morire per epatopatia (HR rispettivamente 0,65 e 0,39).

1 76 77 78 79 80 212