Allergici meno sensibili all’infezione da Sars-Cov-2

(da Doctor33)   Le allergie respiratorie primaverili sono un disturbo in crescita che colpisce 1 italiano su 2. Quest’anno il fenomeno sarà complicato dall’impatto della pandemia in corso. È quanto è emerso da uno studio promosso da Assosalute (Associazione nazionale farmaci di automedicazione), parte di Federchimica, che ha fatto il punto sul tema insieme a Giorgio Walter Canonica, docente di Malattie dell’apparato respiratorio e direttore del Centro medicina personalizzata Asma e Allergologia – Istituto clinico Humanitas Milano. «Tra i sintomi più fastidiosi dell’allergia respiratoria spiccano gli starnuti, di cui si lamenta il 51% degli intervistati, seguiti dal fastidio agli occhi (46%), dal naso chiuso (36%), dalla lacrimazione (35%) e dal gocciolamento nasale (31%). Seguono tosse (23%) e spossatezza (14%)» ricorda Canonica.
«Chi soffre di forme di allergia ne è vittima un po’ ovunque, sia all’aria aperta che in casa, anche in considerazione del fatto che almeno il 75% dei pazienti con più di 18 anni è poli sensibile e cioè risente dell’azione di più allergeni» aggiunge. Alla luce della pandemia in atto, c’è una buona notizia per i soggetti allergici che si sono dimostrati essere meno sensibili all’infezione da parte del Coronavirus. «Questo perché «il meccanismo immunologico che determina l’allergia ha un effetto di diminuzione dei recettori per il Coronavirus sulle cellule delle mucose respiratorie» spiega Canonica. «Ciò però non implica una conseguente esenzione dall’uso della mascherina e dalle altre pratiche volte a proteggersi dal virus da parte dei soggetti che soffrono di rinite allergica. Anzi, l’uso delle mascherine si è dimostrato efficace come barriera meccanica per una minore inalazione di pollini, e quindi a un minor fastidio per i soggetti allergici all’aperto». Trascorrendo più tempo in casa a causa delle restrizioni, tuttavia, è aumentata l’esposizione a polveri e umidità. «Passiamo molto più tempo in ambiente confinato (indoor) di quanto non facessimo precedentemente. Questo è stato accentuato dalla pandemia, con un aumento dell’esposizione agli allergeni in ambiente domestico, quali acari o certe muffe». All’opposto, il minor tempo trascorso all’aria aperta significa una ridotta esposizione ai pollini, diminuita anche dall’uso delle mascherine. Inoltre, le restrizioni imposte con forme differenziali di lockdown hanno segnato un abbassamento dei livelli di inquinamento: «Questo» afferma lo specialista «ha portato a una conseguente diminuzione dell’insulto alle mucose delle vie respiratorie derivante dalla qualità dell’aria: un altro fattore positivo per chi soffre di allergie respiratorie».

San Marino promuove Sputnik: giudizio positivo, Italia può fidarsi

(da AdnKronos)   Corrono le vaccinazioni nella Repubblica di San Marino anche grazie al vaccino Sputnik. “Abbiamo già fatto 9.860 vaccinazioni, 7.400 con Sputnik. Sono 8.607 per la prima dose. Il giudizio sul vaccino russo è obiettivo ed è positivo, anche se è presto per una considerazione finale. Ma è un vaccino di cui ci si può fidare. Per ora gli effetti avversi sono stati limitati e lievi, in linea con quelli degli altri vaccini (3-4%). Per lo più sindromi simil-influenzali, astenie, cefalee, della durata di 24-48 ore massimo 72 ore. Abbiamo avuto solo una reazione allergica che si è risolta con la somministrazione di un antistaminico cortisonico e il paziente tenuto in osservazione”. Lo spiega all’Adnkronos Salute Sergio Rabini, direttore sanitario dell’ospedale di San Marino e responsabile della Sanità dello Stato sul monte Titano, facendo il punto sulla campagna vaccinale. “Ad oggi abbiamo coperto con le immunizzazioni il 27% della popolazione – riferisce – e abbiamo da poco iniziato con le prenotazioni della fascia 16-17 anni che verrà vaccinata con Pfizer, l’altro vaccino che stiamo usando insieme a Sputnik”.   Ma come nasce l’accordo tra San Marino e la Russia per l’esportazione del vaccino? “A gennaio avevamo stipulato con il Governo italiano un memorandum che prevedeva una dose per noi ogni 1.700 che arrivavano in Italia. Poi ci sono stati i ritardi, i rallentamenti e quindi l’Ue si è trovata ad avere un quantitativo di dosi molto basso e ne abbiamo risentito anche noi a San Marino. Ci siamo ritrovati a metà febbraio in grave ritardo rispetto agli altri Paesi. Così, visti i buonissimi rapporti che noi abbiamo con la Russia, abbiamo pensato a Sputnik”, racconta Rabini.

Dalla SIMG un interessante documento sulla terapia domiciliare dei casi di Covid-19

Caro Collega Presidente OMCeO,

in seguito ad un percorso di revisione critica della letteratura la SIMG ha pubblicato alcune raccomandazioni per il trattamento domiciliare della sindrome da COVID-19. Trattandosi di materia in forte evoluzione il documento verrà periodicamente aggiornato.

Si tratta di un documento perseguito con determinazione anche per fornire ai colleghi dei riferimenti di rapida consultazione e la possibilità di   approfondimento attraverso la bibliografia citata.

I ringraziamenti ai collaboratori sono in calce al documento.

Cordiali saluti

Luigi Galvano

Giunta esecutiva nazionale

SIMG

Covid-lungo, quando gli effetti della malattia si protraggono nel tempo

(da M.D.DigitalI)  quadri clinici dell’infezione da SARS-CoV-2 sono estremamente variegati, compresi nello spettro che va dall’asintomaticità ai quadri clinici di estrema gravità che talvolta, ineluttabilmente, conducono all’exitus. In alcuni pazienti la regressione del quadro sintomatologico non è completa ed essi continuano a lamentare la persistenza di sintomi prolungati, condizione per la quale è stata inizialmente coniata la definizione di Covid-lungo e che ora viene con più precisione definita come sequele post-acute di infezione da SARS-CoV-2 (PASC).  Non è chiara quale sia la percentuale di questi casi ma è certo che i sintomi più frequenti includono grave stanchezza, mancanza di respiro, anosmia e disgeusia persistenti e deterioramento cognitivo. Poiché i criteri diagnostici non sono stati ancora sviluppati, le stime di prevalenza sono estremamente varie: vanno infatti dal 13% all’87%.

Un gruppo di ricercatori dagli Stati Uniti ha recentemente studiato la prevalenza di PASC in un gruppo ben caratterizzato dei pazienti per dettagliare ciò che accade a seguito di un’infezione acuta SARS-CoV-2. SI tratta Del Michigan Covid19 Recovery Surveillance Studio (MI CreSS), che ha arruolato circa 600 pazienti con Covid-19 e PCR positiva, sintomi o ricovero. Oltre la metà dei soggetti era di sesso femminile, mentre quasi il 70% aveva un’età di 45 anni o più; quasi la metà erano bianchi non ispanici e poco più di un terzo erano neri. L’obesità è stata segnalata in oltre la metà dei casi, nel 43% i pazienti erano ipertensi, il 25% era diabetico, il 17% aveva asma e poco più di un decimo aveva malattie cardiovascolari.  La malattia grave era segnalata nel 40% circa dei casi, oltre il 25% era invece aveva malattia malattia molto grave. Il 53% e il 35% dei pazienti presentava ancora sintomi, rispettivamente, a 30 e 60 giorni. La maggiore prevalenza di PASC è stata registrata nei pazienti anziani e quelli con malattia più grave. Nei soggetti pià giovani (18-34) le prevalenze di sintomi a distanza di 30 e 60 giorni erano rispettivamente del 35% e del 20%, rispettivamente dopo 30 e 60 giorni.

I sintomi che erano più spesso osservati sono stati la stanchezza (circa la metà dei casi) e le difficoltà respiratorie (44%). L’analisi ha evidenziato che età avanzata, etnia ispanica e basso reddito annuale reddito familiare sembravano essere associati a una maggiore prevalenza di PASC a 30 e 60 giorni.  Dopo aggiustamento per fattori demografici, altre malattie e gravità del Covid, alcuni di questi apparenti fattori di rischio hanno perso il loro significato. SI sono confermati fattori di rischio il basso reddito familiare (rischio maggiore del 40% a 30 giorni) e la presenza di una malattia psicologica (che ha sancito una prevalenza superiore del 42% a 60 giorni). Il fattore di rischio più importante era la gravità della malattia: i pazienti con sintomi molto severi avevano 2,25 volte più probabilità di avere PASC a 30 giorni e 1.7 volte più probabilità di avere sintomi a 60 giorni, rispetto a quelli con sintomi lievi.  Il ricovero ha conferito un aumento del rischio di circa il 40% a 30 e 60 giorni. Tra i pazienti non ospedalizzati, quelli con malattie cardiovascolari avevano a prevalenza maggiore del 54% di PASC a 30 giorni.

(Peluso MJ, et al. Rapid implementation of a cohort for the study of post-acute sequelae of SARS-CoV-2 infection/Covid-19. medRxiv, 2021.03.11.21252311; doi: https://doi.org/10.1101/2021.03.11.21252311https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.03.11.21252311v1)

Vaccini, Anelli: sono requisiti per operatori sanitari

(da Ansa.it)   La sentenza del Tribunale di Belluno, che ha dichiarato legittima la sospensione, da parte di una Rsa, di operatori sanitari che avevano rifiutato la vaccinazione anti-Covid, «si muove nel solco di altre precedenti sentenze, che hanno dichiarato inidonei alla funzione i professionisti che non si vaccinano. Quello vaccinale, infatti, per gli operatori sanitari che lavorano a contatto con i pazienti, non è, o perlomeno non è ancora, un obbligo vero e proprio ma un requisito per svolgere questa attività professionale». Lo afferma all’ANSA il presidente della Federazione nazionale dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli. «Se infatti, in carenza di una Legge specifica, nessun cittadino può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, la Legge 81, per la Sicurezza sul Lavoro, e la Legge 24/2017 per la sicurezza delle cure – spiega Anelli – impongono, in situazioni particolari, agli operatori sanitari di vaccinarsi. E questo, sia per la sicurezza dell’operatore sia per la tutela dell’utenza, in particolare dei soggetti più fragili». Per quanto riguarda la sentenza di Belluno, i ricorrenti non erano medici. Per i medici, sottolinea, «la vaccinazione è anche un dovere deontologico, in quanto hanno il dovere etico di tutelare se stessi e gli altri. I vaccini sono presidi fondamentali perché hanno salvato milioni di vite e debellato malattie pericolosissime. Sono uno strumento fondamentale che la scienza ci mette a disposizione e del quale i medici, come componenti della comunità scientifica, devono avvalersi». Un medico che, «in mancanza di controindicazioni, rifiuta il vaccino – conclude il presidente Fnomceo – è come un ingegnere che rifiuta di progettare un ponte perché non si fida dei calcoli matematici».

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