Certificati Inail per Covid, quando li deve redigere il medico di famiglia. Una circolare fa il punto

(da Doctor33)   «Non mi è capitato di avere richieste di “aperture” di pratiche infortunisiche da pazienti operativi in ospedali o Rsa contagiati dal Covid sul posto, né colleghi mi hanno riferito di situazioni di questo tipo e del carico di lavoro da esse comportato. In ogni caso due sono le certezze: al paziente occorre una pratica Inail per malattia contratta sul luogo di lavoro, ma dall’altra parte con l’Inail l’interlocuzione è assai complessa». Enrico Terni, medico di medicina generale e del lavoro, nonché segretario organizzativo del sindacato Fismu in Lombardia, ha presenti le sporadiche denunce, anche sui media, di lavoratori delle mense ospedaliere, infermieri, operatori di Rsa, che aprono pratiche infortunistiche «in genere con il medico del lavoro della struttura, dell’Asst, dell’Ats, e di recente è aumentato anche il carico di questa categoria presso le residenze per anziani. Ma per il medico del territorio è cosa diversa, tutt’al più ci occupiamo di prosecuzioni e chiusure».
È chiaro che anche il medico di famiglia può essere chiamato a redigere un certificato di questo tipo. In merito, la circolare Inail 13 del 3 aprile 2020 equipara i contagi di Covid-19 avvenuti sul lavoro a infortuni se la malattia è di durata superiore a 3 giorni e si rivolge non solo a personale sanitario, ma anche a cassieri, banconisti, personale dei reparti infettivi, tecnici e portantini. In quel caso il medico di famiglia o riempie il format informatico dell’Inail aspettando un compenso che non c’è più o redige privatamente.
Un po’ di storia – Dalla seconda metà degli anni Duemila in forza di una convenzione con l’Inail i medici di famiglia non dovevano più fare certificati Inail privati ma erano pagati per un massimo di 3 moduli inviati (apertura, prosecuzione, chiusura) euro 27,50 a prestazione più 5 per l’invio online. Successivi ritardi nei pagamenti e la conseguente disdetta della convenzione (mai firmata da alcune sigle) nel 2009 riportò la questione allo stato precedente, con certificati privati e tensione tra Inail, medico, lavoratore. Una norma nella Finanziaria 2019 (commi 526-533) ha cambiato ancora, tutto disponendo che 25 milioni dal bilancio Inail siano destinati nel Fondo sanitario nazionale alla quota capitaria del medico di famiglia convenzionato e del medico di pronto soccorso, altra grande categoria coinvolta nella redazione di questi certificati. «È stato disposto un trasferimento di somme senza contrattazione, sono 25 milioni da dividere tra circa 60 mila medici, a occhio e croce 3-4 centinaia di euro annui per tutti, che non tengono conto del numero dei certificati redatti dal medico né della complessità delle situazioni affrontate. I medici di pronto soccorso hanno accettato, mentre noi medici di famiglia siamo in mezzo al guado, anche perché nel frattempo non è intervenuta alcuna interlocuzione tra l’Inail e la Sisac, la struttura che firma le convenzioni e dovrebbe ripartire lo stanziamento per la categoria», dice Terni. «Tuttavia dal 2019 nessun compenso può essere richiesto dal medico agli assistiti per il rilascio dei certificati medici di infortunio o malattia professionale in libera professione».
Ultimi sviluppi – Lo scorso ottobre, la sezione lombarda di Fismu guidata da Francesco Falsetti, fondatore del sindacato Unione medici italiani poi confluito nella sigla, ha inviato una diffida alle sedi Inail che chiedevano la certificazione dei Mmg, indicando che serve prima un riparto dei fondi stanziati fra medici dipendenti e convenzionati, proposto dal Ministero della Salute ed approvato dalle Regioni. Peraltro, “se da un lato risulta cogente il divieto per i medici di effettuare le certificazioni in oggetto in regime di libera professione, non altrettanto può dirsi circa l’obbligo di tali certificazioni in carenza di un Accordo nazionale per i medici di medicina generale stipulato con Sisac che le preveda e le disciplini”. «A quanto ne so, pochi medici di famiglia mantengono un collegamento informatico con l’Inail per l’invio di queste certificazioni», afferma Terni. «Chi volesse venire incontro al paziente senza rispedirlo dal medico Inail, poiché ravvisa gli estremi del contagio professionale, o continua a certificare online gratis o prende un foglio di carta bianca descrivendo gli estremi della situazione che gli viene denunciata, in una breve relazione da far girare all’Istituto a cura del lavoratore, che faciliterà la stesura del certificato al medico Inail e l’iter al lavoratore stesso. In genere l’Istituto accetta una relazione ben circostanziata. E questo varrà finché non saranno definiti i criteri per erogare le somme Inail in quota capitaria». Dopodiché, una volta che le convenzioni saranno ridisegnati con lo stesso “quantum” per tutti, «ognuno di noi redigerà i certificati telematici per i propri pazienti e non credo proprio per quelli degli altri colleghi».

Premio Nobel al Corpo sanitario italiano, l’idea della Fondazione Gorbachev conquista adesioni

da SanitàInformazione)  Assegnare il prossimo Premio Nobel per la Pace al Corpo Sanitario Italiano. Sembra un’utopia, eppure è quello a cui sta lavorando a Piacenza la Fondazione Gorbachev che da oltre 20 anni si occupa di iniziative umanitarie in favore della pace.  Cuore di questo progetto è la città di Piacenza che durante la prima ondata di Covid è stata uno degli epicentri dell’epidemia. Ma Piacenza è anche sede della Fondazione Gorbachev e del Segretariato Permanente dei Premi Nobel per la Pace ed è definita Città Mondiale dei Costruttori di Pace in virtù di un accordo di promozione della cultura e dell’arte. E chissà che il Comitato del Nobel non si convinca della bontà dell’idea.

I sostenitori della candidatura –  La Fondazione presieduta da Marzio Dallagiovanna sostiene con convinzione l’idea del riconoscimento mondiale ai medici e al personale sanitario italiani che hanno affrontato l’emergenza della pandemia in condizioni spesso drammatiche e proibitive. Testimonial dell’iniziativa è l’ematologo-oncologo Luigi Cavanna, proponente firmatario della candidatura è il professor Mauro Paladini. Tra i sostenitori dell’iniziativa anche Lisa Clark, co-presidente dell’International Peace Bureau, organizzazione umanitaria premiata con il Nobel per la Pace nel 1910, e rappresentante italiana di Ican-Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, iniziativa che ha ricevuto il Nobel per la Pace 2017.  «Mi sembrava che non ci fosse quest’anno una candidatura migliore che quella del corpo sanitario italiano. Abbiamo scelto questa definizione inclusiva perché voleva dire comprendere tutti: medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, civili e militari impegnati nella prevenzione e nella cura del Covid. Tutti hanno dimostrato impegno e sacrificio massimo», spiega a Sanità Informazione il Presidente della Fondazione Gorbachev Dallagiovanna.

Ma perché proprio il Corpo sanitario italiano? Il perché lo spiega l’oncologo Cavanna. «Il Covid nasce in Cina a Wuhan a dicembre 2019. Sembrava qualcosa di limitato in quella regione. Poi all’improvviso il 21 febbraio il primo paziente segnalato in Occidente è in Italia. Segnatamente nella zona del basso lodigiano e del piacentino che è stata investita per prima. Sembrava qualcosa di travolgente. Eravamo quasi dei soldati al fronte con un’onda che ti portava via. Con il riconoscimento vogliamo onorare il sacrificio di chi non c’è più e di chi è sopravvissuto, di chi era in prima linea e di chi era nelle retrovie».  La scelta dell’oncologo Cavanna come testimonial non è casuale: nei mesi del lockdown Cavanna è stato tra i più importanti fautori delle cure domiciliari. Armato di tuta e dispositivi di protezione è andato casa per casa a fare diagnosi e a portare cure. Le foto del suo impegno al fianco dei malati hanno fatto il giro del mondo, come dimostra la copertina della prestigiosa rivista Time.   Tante le istituzioni che hanno dato il loro sostegno alla causa, ma la strada che porterà all’assegnazione del Nobel (la cerimonia avviene ogni anno il 10 dicembre) è ancora lunga.

Salute pubblica, Muir Gray a Doctor33: “La terza rivoluzione sanitaria sta iniziando”

(da Doctor33)    Siamo all’inizio di una nuova rivoluzione sanitaria, un vero e proprio “rinascimento”. Così il professor Muir Gray, medico britannico ed esperto di salute pubblica che ha ricoperto posizioni di alto livello nello screening, nella sanità pubblica, nella gestione delle informazioni e nel valore nella sanità, inquadra il periodo storico che stiamo affrontando. «Dobbiamo considerare che siamo nella terza rivoluzione sanitaria – spiega Muir Gray in una intervista a Doctor 33 -. La prima è stata la rivoluzione della salute pubblica; la seconda rivoluzione è stata quella hi-tech, con l’introduzione di scoperte come la chemioterapia. Nella terza abbiamo una serie incredibile di problemi da affrontare, già prima del Covid. C’è una domanda crescente di risorse, c’è diseguaglianza, quindi le persone più povere ottengono meno assistenza sanitaria di quelle abbienti, anche nei Paesi con assistenza sanitaria universale. Bisogna dare avvio alla terza rivoluzione delle cure basata su tre forze: cittadini, conoscenza e internet: questa sarà la base per realizzare i cambiamenti dopo il Covid-19».
La conoscenza, secondo Gray, sarà una delle sfide più importanti, nell’era di internet, in cui si è in parte ridotta l’autorità del medico. «Uno degli aspetti positivi del Covid – ha affermato il professor Gray – è averci fatto sviluppare un sistema, cioè una serie di attività con obiettivi comuni. Fino ad ora non abbiamo avuto un sistema, ma solo un insieme di strutture. Le crisi sono positive perché possiamo utilizzarle per capire come gestire meglio le situazioni: quello che vedo in futuro è che dovremmo ripensare l’assistenza sanitaria, che deve diventare un sistema, per esempio ci dovrebbe essere un sistema pensato per le persone con artrite reumatoide o per le persone a fine vita. Il Covid ci ha insegnato che gli specialisti devono guardare alla popolazione non ai singoli casi». «Bill Gates – aggiunge l’esperto – ha detto che in ogni organizzazione la questione chiave è chiedersi qual è la funzione dell’essere umano. Oggi, a causa del Covid, c’è stato un drammatico cambiamento in quello che è il ruolo del medico e il ruolo del paziente».
Chief Knowledge Officer per il Servizio sanitario britannico, il professor Gray collabora con gli enti Nhs England e Public Health England ed è ideatore, tra le altre cose, della National Campaign for Walking, che propone passeggiate salutari; ha inoltre istituito una sua fondazione che contribuisce alla lotta contro il cambiamento climatico. Il suo libro “70 e adesso” (Sod70!) è stato pubblicato due anni fa da Edra, edizioni LSWR; nei prossimi mesi verrà pubblicato anche suo il bestseller “60 e adesso” (Sod60!) in cui viene sottolineata l’importanza dell’empowerment del cittadino. Fondamentale, secondo Gray, che con l’invecchiamento si continuino a stimolare l’attività fisica ma anche quella cognitiva ed emotiva, per evitare la demenza.

Vaccino: AstraZeneca, raccomandato uso anche contro varianti

(da AGI)  “L’EU consente la somministrazione di due dosi del vaccino in un intervallo da quattro a 12 settimane. Questo regime si è dimostrato sicuro ed efficace negli studi clinici nella prevenzione del Covid-19 sintomatico, senza casi gravi e senza ricoveri oltre 14 giorni dopo la seconda dose. Il gruppo consultivo strategico di esperti sull’immunizzazione (Sage) dell’Oms ha raccomandato un intervallo di somministrazione da otto a 12 settimane. Inoltre, hanno anche raccomandato l’uso del vaccino nei paesi in cui sono prevalenti nuove varianti, inclusa la variante B1.351 sudafricana”. Così in una nota la multinazionale AstraZeneca in relazione all’autorizzazione all’uso di emergenza rilasciata oggi dall’Oms per il vaccino anti-Covid. “AstraZeneca e SII – prosegue l’azienda – lavoreranno ora con lo strumento Covax per iniziare a fornire il vaccino in tutto il mondo, con la maggioranza che si recherà il più rapidamente possibile nei paesi a reddito medio e basso. Nella prima metà del 2021, si spera che più di 300 milioni di dosi del vaccino saranno rese disponibili a 145 paesi attraverso Covax, in attesa di sfide operative e di fornitura. Queste dosi saranno assegnate equamente secondo il quadro di allocazione Covax”.

Guariti ma stanchi, distratti, poco lucidi

(da M.D.Digital) I pazienti che hanno superato il Covid-19 spesso, a distanza di tempo dalla guarigione e dalla dimissione dall’ospedale, lamentano rallentamento, stanchezza mentale, mancanza di lucidità e fatica nelle attività quotidiane come lavorare, guidare la macchina o fare la spesa.  Un recente studio pubblicato sulla rivista Brain Sciences riporta la valutazione delle funzioni cognitive a distanza di 5 mesi dalla dimissione dall’ospedale in un gruppo di 38 pazienti precedentemente ospedalizzati tra i 22 ed i 74 anni, senza disturbi della memoria o dell’attenzione prima del ricovero. La ricerca coordinata da Roberta Ferrucci, che ha visto la collaborazione del Centro “Aldo Ravelli” del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano, dell’ASST Santi Paolo e Carlo e dell’IRCCS Istituto Auxologico di Milano, documenta che 6 pazienti su 10 guariti dal Covid-19 hanno un rallentamento mentale e ottundimento e 2 su 10 riportano oggettive difficoltà di memoria. Questi disturbi non sono associati a depressione ma sono correlati alla gravità della relativa insufficienza respiratoria durante la fase acuta della malattia. Le alterazioni osservate si riscontrano anche in soggetti giovani.  Alberto Priori, docente del dipartimento di Scienze della Salute e direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Milano presso il Polo Universitario Ospedale San Paolo, commenta: “Questo è uno studio importante che dimostra per la prima volta che i disturbi di memoria e il rallentamento dei processi mentali osservati, in più della metà dei nostri pazienti, persistono anche mesi dopo la dimissione. Queste alterazioni possono, nei casi più gravi, anche interferire con l’attività lavorativa, particolarmente per chi ha un ruolo che richiede decisioni rapide, come gli stessi medici o gli infermieri. Il meccanismo per cui il virus altera le funzioni cognitive è complesso. L’interessamento del sistema nervoso origina sia da una diretta invasione da parte del virus, sia indirettamente attraverso l’attivazione dell’infiammazione e della risposta sistemica all’infezione”.

(Ferrucci R, et al. Long-Lasting Cognitive Abnormalities after COVID-19. Brain Sci. 2021, 11(2), 235; https://doi.org/10.3390/brainsci11020235)

OPPORTUNITA’ DI LAVORO DIPARTIMENTO CURE PRIMARIE RAVENNA

Caro Collega,
Ti informo che nel contesto ravennate è in essere un progetto aziendale per lo sviluppo di una struttura intermedia che presidia il percorso ospedale-territorio di dimissione protetta.
L’AUSL Romagna offre la possibilità di avviare i neo laureati in questo progetto con il grande vantaggio di un percorso in affiancamento con professionisti di grande esperienza e capacità formativa.
Se sei interessato e non sei già impegnato in altri ambiti aziendali, puoi contattare il Dott. Mauro Marabini, Direttore del Dipartimento di Cure Primarie e Medicina di Comunità di Ravenna, ai seguenti recapiti:
cellulare 3316556631
mail: mauro.marabini@auslromagna.it

IL PRESIDENTE
Dott. Michele Gaudio

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