Una dieta sana e povera di zuccheri potrebbe avere effetti antiaging

(da DottNet)   Una dieta ricca di vitamine e sali minerali ma povera di zuccheri potrebbe avere effetti anti-aging, Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Jama Network Open e condotto presso l'Università di San Francisco. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti raccomanda agli adulti di consumare non più di 50 grammi di zucchero aggiunto al giorno. I ricercatori hanno esaminato come tre diversi tipi di alimentazione influenzassero l'esito di un test biochimico usato per stimare la salute di un individuo e l'età del suo corpo (biologica) e hanno scoperto che migliori erano le abitudini alimentari (ovvero maggiore il contenuto in vitamine A, C, B12 ed E, acido folico, selenio, magnesio, fibre alimentari e isoflavoni, minore il consumo di zuccheri aggiunti nella dieta) delle persone, più le cellule del loro corpo sembravano giovani. Inoltre, a parità di dieta sana, ogni grammo di zucchero in più consumato si collegava a un aumento dell'età biologica. Lo studio è uno dei primi a mostrare un legame tra lo zucchero aggiunto e l'invecchiamento del corpo, nonché il primo a coinvolgere persone di mezza età di varie etnie. "Lo studio approfondisce la nostra comprensione del perché lo zucchero sia così dannoso per la salute, sottolinea la co-autrice senior Elissa Epel. "Sapevamo che alti livelli di zuccheri aggiunti sono collegati a un peggioramento della salute metabolica e a malattie precoci, forse più di qualsiasi altro fattore alimentare", continua Epel. "Ora sappiamo che l'invecchiamento accelerato delle cellule è alla base di questa relazione, e questo è probabilmente uno dei tanti modi in cui un eccessivo consumo di zucchero limita una longevità sana. Dato che i pattern di invecchiamento cellulare sembrano essere reversibili, potrebbe essere che eliminare 10 grammi di zucchero aggiunto al giorno sia come riavvolgere l'orologio biologico di 2,4 mesi, se la diminuzione del consumo è mantenuta nel tempo", sottolinea la co-autrice senior Barbara Laraia, della UC Berkeley. "Concentrarsi su alimenti ricchi di nutrienti chiave e poveri di zucchero aggiunto potrebbe essere un nuovo modo per motivare le persone a mangiare bene per vivere più a lungo", conclude.

Adolescenti, social media e rischio depressione

(da Univadis)  L’uso dei social media non ha lo stesso impatto su tutti gli adolescenti. A dirlo è uno studio americano in cui quasi 500 ragazzi sono stati seguiti per 8 anni. Gli autori della ricerca, pubblicata sul 'Journal of Adolescence', hanno identificato alcuni fattori che influenzano l’effetto dei social sulla salute mentale in questa fase delicata della crescita. È un’informazione che può aiutare medici, famiglie e scuole a intercettare tempestivamente i soggetti a rischio e a intervenire nel modo più efficace. Un’analisi incentrata sulla persona     I ricercatori della Brigham Young University hanno preso in esame 488 partecipanti al Flourishing Families Project, uno studio longitudinale sull’adolescenza, che avevano circa 13 anni all’arruolamento. Tra i dati raccolti vi era il tempo di utilizzo quotidiano dei social media (autoriferito). L’uso dei media è stato messo in relazione con la traiettoria della depressione nel follow-up.    I ricercatori hanno identificato cinque gruppi di adolescenti: classe dei maschi ad alto rischio, classe delle femmine ad alto rischio, classe a rischio moderato, classe a rischio basso, classe a rischio molto basso. A caratterizzare ogni classe erano alcune caratteristiche personali e ambientali, che potevano rappresentare fattori protettivi o di rischio: per esempio, il calore materno era un fattore protettivo, mentre un atteggiamento ostile da parte del genitore era un fattore predisponente. In estrema sintesi, l’uso dei social media si associava a un aumento della depressione per gli adolescenti che sperimentavano genitorialità ostile, bullismo da parte dei pari, ansia, elevata reattività ai fattori di stress e basso controllo dei media da parte dei genitori. Intervenire dove serve       Nell’articolo vengono proposti alcuni interventi personalizzati per ciascuna classe. Per esempio, è emerso che le femmine ad alto rischio raramente discutevano dei contenuti fruiti con i genitori e che questi ultimi non stabilivano limiti all’utilizzo dei social, il che aumentava la probabilità che il tempo passato sui media potesse essere dannoso.   “Un intervento per le femmine ad alto rischio potrebbe essere aiutare i genitori a imparare a interagire con i propri figli per diventare consumatori sani dei media” suggeriscono gli autori. “Ciò può essere particolarmente importante dato che le adolescenti di questo gruppo hanno un livello di ansia più elevato e possono essere più suscettibili quando interagiscono con i social media: anche pochi incidenti negativi sui social media possono avere un impatto enorme, inducendole a rimuginare su tali eventi per lunghi periodi di tempo”.