Numero chiuso all’università, Enpam: priorità è favorire l’accesso al lavoro

Il tema del lavoro deve tornare al centro del dibattito sul numero chiuso all’università: è l’invito del presidente dell’Enpam Alberto Oliveti. “La priorità deve essere quella di collegare strettamente l’accesso al corso di laurea con le specializzazioni, facendo in modo che chi comincia a studiare medicina abbia la certezza di poter poi completare il ciclo diventando specialista nelle discipline tradizionali o in medicina generale. Comunque un medico laureato, non dotato di specializzazione, deve poter lavorare mentre completa il ciclo di studio specialistico – afferma il presidente dell’ente previdenziale dei medici e degli odontoiatri –. Dal corso di laurea deve uscire un medico operativo”.  “Ai giovani che si iscrivono a medicina infatti vengono richiesti anni di sforzi e di dedizione – aggiunge Oliveti –. Bisogna essere seri nei loro confronti facendo in modo che tutti alla fine abbiano le competenze e i titoli per poter inserirsi nel mondo del lavoro”.     “Detto questo sarebbe opportuno quantomeno alzare il numero programmato del 10-15% rispetto ai fabbisogni rilevati per il settore pubblico. I nostri medici infatti hanno sbocchi anche in altri ambiti e non tutti necessariamente all'interno del Servizio sanitario nazionale italiano. Il settore privato deve poter contare su risorse dedicate, contribuendo inoltre a formarle, per una giusta competizione con il pubblico. Inoltre occorre tagliare i tempi morti tra la laurea e il livello successivo”.      “Nel caso degli odontoiatri il problema è diverso rispetto ai medici, ma è sempre legato alle prospettive di lavoro: i laureati in odontoiatria completano il loro corso di studi che oggi dura sei anni ma alla fine, per via di una normativa che risale a quando il corso di laurea specifico non esisteva, il loro titolo non consente di accedere ai concorsi per il Servizio sanitario nazionale – sottolinea Oliveti –. Bene ha fatto dunque il presidente della Commissione albo odontoiatri a sollecitare l’eliminazione del titolo di specializzazione per l’accesso all’odontoiatria pubblica”.

 

Aumentare l’attività fisica diminuisce il rischio di Parkinson negli uomini

(da Doctor33)   L'aumento dell'attività fisica è associato a un rischio ridotto di sviluppare la malattia di Parkinson, secondo una metanalisi pubblicata su JAMA Network Open. «L'associazione tra attività fisica e rischio di malattia di Parkinson viene sempre più riconosciuta. Tuttavia, per quanto noto, non era mai stata eseguita una valutazione completa dell'associazione quantitativa dose-risposta tra attività fisica e rischio di malattia di Parkinson» dice Xuexian Fang, della Zhejiang University School of Medicine di Hangzhou, Cina, primo nome dello studio.
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Antibiotici ai bimbi con la tosse: la prescrizione non riduce i ricoveri

(da DottNet)   Prescrivere antibiotici ai bambini con tosse e altri sintomi respiratori non riduce il rischio di ricovero, mentre una prescrizione 'ritardata', in cui si chiede ai genitori di aspettare qualche giorno per verificare l'andamento dei sintomi prima di dare il farmaci, può diminuire i ritorni dal medico. Lo afferma uno studio pubblicato dal 'British Journal of General Practice'.   I ricercatori di diverse università britanniche hanno analizzato i dati di oltre ottomila bambini e ragazzi tra i tre e i 15 anni che erano stati visitati dal medico di base per sintomi respiratori, di cui lo 0,8% era stato poi ricoverato e il 4% era tornato dal medico per un peggioramento. A 28% dei pazienti era stato prescritto l'antibiotico, mentre il 9% lo aveva avuto 'ritardato'. "Confrontati con i pazienti a cui non erano stati prescritti antibiotici - scrivono gli autori - per gli altri non è emersa un'evidenza chiara di una riduzione del rischio di ricovero, un risultato che è simile a quello riscontrato per gli adulti. Tuttavia abbiamo trovato evidenze che una strategia di prescrizione ritardata riduce il numero di ritorni dal medico".

Le donne con tre o più figli sono a rischio declino cognitivo

(da DottNet)   Aver avuto più di tre figli e diversi aborti nel corso della vita, ma anche una menopausa precoce: la storia riproduttiva della donna può influire sul suo rischio di declino cognitivo da anziana. Sono i risultati di una ricerca riportata all'Alzheimer's Association International Conference a Chicago, che ha messo in evidenza i risultati del più ampio studio epidemiologico fino ad oggi sulla storia della donna e la demenza. Il team di ricercatori, guidato da Rachel Whitmer, professoressa di salute pubblica dell'Università della California a Davis, ha valutato le informazioni auto-riportate sulla salute riproduttiva e le diagnosi di demenza per quasi 15.000 donne negli Stati Uniti dal medioevo negli anni '60 e '70 fino al 2017.   I ricercatori hanno scoperto che una diagnosi di demenza era associata a: avere tre o più bambini, arrivo del primo ciclo mestruale all'età di 16 anni, inizio la menopausa a 45 anni o più giovane, avere un arco di tempo riproduttivo totale più breve della media e compreso da 21 a 30 anni. Inoltre ogni aborto aumentava il rischio.   "Il nostro lavoro mostra che gli eventi riproduttivi che segnalano diverse esposizioni agli estrogeni possono giocare un ruolo nel modulare il rischio di demenza", ha detto Whitmer. "La storia della relazione tra gli estrogeni e il cervello - ha aggiunto - sta appena iniziando. Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare il percorso biologico che li lega"

Gli acidi biliari nell’abuso da cocaina

(da Fimmg.org)   Gli acidi biliari riducono il “craving” da cocaina, secondo un nuovo studio del Vanderbilt University Medical Center e dell'Università di Birmingham, Alabama, pubblicato recentemente su “PLOS Biology”. Charles Flynn, PhD, professore associato di chirurgia, Naji Abumrad, MD e John L. Sawyers, professore di scienze chirurgiche, hanno studiato a lungo i cambiamenti metabolici associati alla chirurgia bariatrica. I pazienti obesi sottoposti a chirurgia bariatrica subiscono cambiamenti radicali riguardo la regolazione del glucosio e le preferenze di gusto e desiderio di cibo, subito dopo l’intervento.
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Diritto di accesso ai dati concernenti persone decedute

(da Doctor33)   In materia di diritto di accesso ai dati concernenti persone decedute deve farsi riferimento alle disposizioni dell'art. 9, n. 3, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, c.d. codice per la tutela dei dati personali, ancorché venga in considerazione la richiesta di accesso a una cartella clinica. Trattandosi di dati relativi a un soggetto deceduto, non può trovare applicazione la disciplina specificamente prevista in materia dall'articolo 92 del medesimo codice, la quale consente l'accesso alle cartelle cliniche solo a persone diverse dall'interessato che possono far valere un diritto della personalità o altro diritto di pari rango. (Avv. Ennio Grassini- www.dirittosanitario.net)