Tumori, l’Italia è tutto un Sin?
Questo articolo piuttosto inquietante è stato scritto dalla nostra collega Patrizia Gentilini, membro della Commissione Ambiente e Salute del nostro Ordine. Il pezzo di Patrizia è stato pubblicato su "Il Fatto Quotidiano" la scorsa settimana. N.B. Sin è l'acronimo di 'Sito contaminato di interesse nazionale'...
(da Il Fatto Quotidiano, 15/06/2018) L’aggiornamento al 2013 di recente diffuso dall’Istituto superiore di Sanità sullo studio Sentieri, ovvero l’indagine sullo stato di salute delle popolazioni residenti in territori fortemente inquinati, conferma quanto già in precedenza emerso: vivere in prossimità di industrie inquinanti, petrolchimici, inceneritori, discariche etc. è un importante fattore di rischio per la salute.
I farmaci antiepilettici aumentano il rischio di Alzheimer e demenza?
(da Fimmg.org) L'uso di farmaci antiepilettici sembra associato a un aumentato rischio di malattia di Alzheimer e demenza, secondo un nuovo studio dell'University of Eastern Finland e del German Center for Neurodegenerative Diseases (DZNE). L'uso di farmaci antiepilettici per un periodo superiore a un anno è stato associato a un aumento del rischio del 15% di malattia di Alzheimer nel set di dati finlandese e a un aumento del 30% del rischio di demenza nel set di dati tedesco. Alcuni farmaci antiepilettici sono noti per compromettere la funzione cognitiva, che si riferisce a tutti i diversi aspetti dell'elaborazione delle informazioni. Quando i ricercatori hanno confrontato diversi farmaci antiepilettici, hanno scoperto che il rischio di malattia di Alzheimer e demenza era specificamente associato a farmaci che compromettono la funzione cognitiva. Questi farmaci erano associati a un aumento del 20% del rischio di malattia di Alzheimer e del 60% del rischio di demenza. I ricercatori hanno anche scoperto che maggiore è la dose di un farmaco che altera la funzione cognitiva, maggiore è il rischio di demenza. Tuttavia, altri farmaci antiepilettici, cioè quelli che non pregiudicano l'elaborazione cognitiva, non erano associati a questo rischio. Il set di dati ha compreso 20.325 persone con diagnosi di demenza dal 2004 al 2011 e 81.300 controlli.
(Heidi Taipale et al. Journal of the American Geriatrics Society, 2018.)
Intramoenia, quando si profila il rischio di peculato per libera professione abusiva. La sentenza
(da Doctor33) È reo di peculato il medico ospedaliero che dice di visitare in libera professione -intramuraria- ma lo fa all'oscuro dell'ente e tiene per sé tutto il compenso senza indirizzare il paziente al corretto pagamento della prestazione. Il reato - all'articolo 314 del codice penale - punisce con la reclusione i pubblici ufficiali che, disponendo di denaro altrui per via del loro servizio, se ne approprino. La Cassazione Penale con sentenza 25976/2018 punisce un cardiologo che, condannato in appello a due anni con la condizionale, aveva ricorso in sede straordinaria dopo che un'altra sentenza di Cassazione (la 35219/17) aveva confermato la condanna tranne l'interdizione dai pubblici uffici. Il ricorso straordinario (ex articolo 625 bis del codice di procedura penale) si fa in cassazione per sentenze della stessa Corte che presenterebbero errori; il medico lamentava "errori percettivi" che avrebbero esercitato "influenza decisiva sul processo decisorio". Il merito della condanna era peraltro caratterizzato: in sei occasioni il medico si era appropriato del corrispettivo pagato dai pazienti per prestazioni da lui effettuate in ospedale. Ciò era stato fatto con i vertici del nosocomio all'oscuro: le prestazioni non erano state pagate correttamente alla cassa dell'ente, erano prive della trattenuta del 52% per l'azienda e di fattura. In Cassazione la prima volta, la difesa aveva sostenuto che il peculato non vi fosse. Il professionista esercitava abusivamente: non essendo stato autorizzato dall'ospedale a effettuare le prestazioni che gli erano state pagate, avrebbe ricevuto dai pazienti i soldi a titolo di onorario per una prestazione espletata illegittimamente. In parole povere, sarebbe stato "neutro" rispetto a un ipotetico danneggiamento alla struttura che non sapeva del suo agire. La Cassazione aveva replicato che per configurarsi peculato non è necessaria la presenza o assenza di autorizzazione al medico ad esercitare nelle sue mura. È sufficiente che il medico sia trovato là con in mano un corrispettivo pagato da un paziente in modo improprio. Infatti, il paziente, per il solo fatto di trovarsi in un ospedale, con quello ha instaurato un rapporto contrattuale di cura e non con il medico. Il medico ha cercato di dimostrare che il suo esercizio non era continuativo e che aveva avvisato più volte l'ospedale del suo operare, dunque la struttura non era all'oscuro. I giudici di cassazione sottolineano la correttezza della sentenza precedente. "Non si è in presenza di un errore di fatto (motivo per il ricorso straordinario ndr) quando non risulti dovuto a una vera e propria svista materiale o a una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l'erronea decisione". In realtà, oltre al fatto che l'ospedale ignorava che il ricorrente svolgesse attività intramoenia in epoca precedente al 21 febbraio 2008, nel percorso argomentativo avallato dalla sentenza di Cassazione in questione si tiene conto di tutta una serie di elementi probatori: intercettazioni ambientali nello studio del medico, pedinamenti dei pazienti, dichiarazioni di questi ultimi e controlli alle casse. La Cassazione spiega infine che, a dispetto della tesi da lui sostenuta, il medico "visitando presso le strutture ospedaliere numerosi pazienti e percependone i compensi che poi ha indebitamente trattenuto senza versare all'ospedale le quote di spettanza" ha esercitato libera professione "meramente interna e allargata", palesemente in rotta con i dispositivi di legge. Il ricorso del camice è dunque manifestamente infondato, inammissibile, e il medico dovrà pagare 2 mila euro di spese legali.