Il vaccino anti influenzale in gravidanza protegge anche il neonato

(da Quotidiano Sanità e Reuters Health) La probabilità di contrarre l'influenza o la pertosse sarebbe ridotta tra i bambini nati da madri che si sono vaccinate in gravidanza e non ci sarebbero rischi di sicurezza nel neonato a seguito dell'immunizzazione. A rimarcarlo è stato uno studio coordinato da Lakshami Sukumaran, dei Cdc americani di Atlanta, e pubblicato su 'Pediatrics'. La premessa - Sia l'influenza che la pertosse sono altamente contagiose e i neonati, troppo piccoli per essere vaccinati, quando si ammalano spesso devono essere ricoverati in ospedale per gravi complicanze come la polmonite. Lo studio - I ricercatori hanno esaminato i dati realativi a 413.034 bambini nati tra il 2004 e il 2014, di cui 25.222 ricoverati e 157 morti entro i primi sei mesi di vita. Tra i bambini ricoverati, 4.644, pari al 18%, avevano problemi respiratori, il 2% aveva l'influenza e il 3% aveva la pertosse. Dall'analisi delle informazioni a loro disposizione, i ricercatori hanno così evidenziato che i neonati ricoverati con problemi respiratori avrebbero avuto il 21% in meno di probabilità di avere una madre che si era sottoposta a vaccinazione contro la pertosse in gravidanza, rispetto ai neonati che non erano stati ricoverati.  Inoltre, 14 morti, pari al 9%, sarebbero state riconducibili a problemi respiratori, ma nessuna sarebbe stata provocata da influenza o pertosse. La più comune causa di morte sarebbe stata sconosciuta, come la sindrome da morte improvvisa, o per problemi che si sono sviluppati durante la gravidanza o entro una settimana dalla nascita. “Abbiamo condotto questo studio perché le donne in gravidanza sono particolarmente preoccupate di come qualsiasi esposizione a molecole in un periodo così delicato potrebbe avere un impatto negativo sui loro bambini - spiega Sukumaran - Volevamo fornire rassicurazioni sul fatto che questi vaccini, raccomandati per tutte le donne in gravidanza, non creano rischi per il neonato”

Infezioni respiratorie nei bambini: meglio gli antibiotici a spettro meno ampio

(da Fimmg.org)  Nelle infezioni respiratorie comuni dei bambini, sembra migliore un approccio più selettivo. I ricercatori che hanno studiato il trattamento in 30.000 bambini con mal d'orecchio, mal di gola e altre infezioni respiratorie comuni, hanno scoperto che gli antibiotici a spettro ristretto, che agiscono contro una gamma minore di batteri, hanno meno effetti avversi rispetto agli antibiotici ad ampio spettro. Se valutati dal punto di vista pratico e clinico, gli antibiotici a spettro ristretto hanno un’efficacia identica o addirittura migliore rispetto a quelli ad ampio spettro, con minori interruzioni di trattamento. Lo studio riflette un approccio alla "gestione antimicrobica", che guida gli operatori sanitari a prescrivere l'antibiotico più appropriato per il tipo specifico d’infezione del paziente, con l'obiettivo di migliorare i risultati individuali e ridurre il rischio complessivo di resistenza agli antibiotici stessi. "Molti bambini ricevono inutilmente antibiotici ad ampio spettro per infezioni comuni, che possono portare a resistenza e allo sviluppo di effetti collaterali", dice Jeffrey Gerber, Associate Director for Inpatient Research Activities, Center for Pediatric Clinical Effectiveness, Children's Hospital of Philadelphia (CHOP). "Questo studio ha dimostrato che una prescrizione inappropriata di antibiotici pesa anche sulle famiglie, per l’aumento delle assenze da scuola e lavoro, per gli effetti collaterali e i costi per l'assistenza extra per i bambini". I ricercatori hanno condotto due studi su 31 practices di assistenza primaria pediatrica in Pennsylvania e New Jersey, tra gennaio 2015 e aprile 2016. Hanno estrapolato i dati dalle cartelle cliniche elettroniche di neonati e bambini fino a 12 anni con infezione acuta del tratto respiratorio (acute respiratory tract infection - ARTI) e prescritto un antibiotico orale. Sui circa 30.000 pazienti, il 14% ha ricevuto farmaci ad ampio spettro e l'86% ha ricevuto farmaci a spettro ristretto. Le ARTI, che rappresentano la maggior parte dei trattamenti antibiotici pediatrici, comprendevano otite media acuta, faringite streptococcica di gruppo A e sinusite. Oltre a valutare i risultati clinici retrospettivi sui 30.000 bambini, i ricercatori hanno studiato una coorte prospettica di 2.472 bambini, intervistando telefonicamente i caregiver per misurare i parametri che i genitori avevano identificato come criticità: effetti collaterali, costi aggiuntivi per la cura dei figli, sintomi persistenti e mancati giorni di scuola. E’ stato riscontrato un rischio significativamente più elevato di eventi avversi per gli antibiotici ad ampio spettro rispetto agli antibiotici a spettro ristretto (3,7% vs 2,7% come documentato dai medici e 35,6% vs 25,1%, come riportato da pazienti e famiglie). I tassi di fallimento del trattamento non erano molto differenti in entrambi i tipi di antibiotici. "La ricerca ci dice che i programmi di stewardship sugli antibiotici non solo riducono l'onere complessivo della resistenza, ma migliorano anche i risultati sui pazienti, con una diminuzione dei costi sociali e assicurativi", conclude Gerber.

(Jeffrey S. Gerber et al. JAMA, 2017; 318 (23): 2325.)

Medicina legale, nascerà un albo dei CTU odontoiatrici

(da Odontoiatria33)  In vista della predisposizione del protocollo d’intesa tra Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio Nazionale Forense, Federazione Nazionale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri per l’armonizzazione dei criteri e delle procedure di formazione degli albi dei periti e dei consulenti tecnici (ex art. 15, l. 8 marzo 2017, n. 24), i componenti della CAO Nazionale hanno portato in Comitato Centrale la proposta di integrazione al testo predisposto prevedendo la “categoria” degli odontoiatri oltre ai medici chirurghi. Al progetto ha collaborato anche il presidente della CAO L’Aquila Luigi Di Fabio.  “Riteniamo –spiega ad Odontoiatria33 Diego Paschina, membro della CAO Nazionale- che in fase di riordino degli albi dei periti e consulenti sia indispensabile prevedere, accanto alla figura del medico chirurgo, anche quella dell’odontoiatra come categoria separata, alla quale potrà accedere soltanto l’iscritto all’albo professionale degli odontoiatri. Una richiesta che non solo serve per rispettare quanto prevede la legge ma anche per la dignità di una professione oramai distinta da quella del medico chirurgo, ma soprattutto per dare più garanzie al cittadino ed al professionista”.  La richiesta della CAO Nazionale è quella di creare un albo di periti e CTU appositamente istituito per gli odontoiatri al quale possano iscriversi solo gli iscritti all’Albo che abbiano le competenze identificate per legge. “I casi di perizia o consulenza tecnica attinenti l’area odontoiatrica -continua il dott. Paschina- richiedono anzitutto un'attività diagnostica e valutazioni forensi specifiche (visita odontoiatrica e diagnosi odontoiatrica, valutazioni in ordine alla possibile malpractice, diagnosi specifiche sia anatomiche che su documenti radiografici etc.) che non possono che essere riservati esclusivamente al medico ma deve essere affidato ad un CTU Odontoaitra”. La proposta della CAO è stata approvata dal Comitato Centrale all’unanimità e verrà integrata nel protocollo d’intesa che sarà aggiornato.      

 

L’infezione da virus influenzali aumenta il rischio di infarto miocardico

(da Cardiolink)  Le infezioni dell’apparato respiratorio rappresentano un possibile trigger di eventi cardiovascolari, in particolare di infarto miocardico acuto (IMA). Alcuni studi sembrano indicare un’associazione tra il virus influenzale e l’IMA, ma molti di questi presentano possibili bias correlati al disegno di studio e alle metodiche non specifiche di diagnosi dell’infezione. Dal momento che gli eventi correlati al virus influenzale sono potenzialmente prevenibili mediante la vaccinazione, evidenze più forti in merito alla correlazione tra influenza ed eventi cardiovascolari potrebbero indurre ad implementare la copertura vaccinale, estendendola anche ai soggetti ad elevato rischio cardiovascolare. Questo studio ha analizzato l’associazione tra ospedalizzazione per IMA e infezione da virus influenzale, confermata da analisi di laboratorio su liquidi biologici respiratori. I primi 7 giorni successivi al prelievo del campione sono stati definiti come “intervallo temporale di rischio”, confrontato con un “intervallo temporale di controllo”, rappresentato dall’anno precedente e successivo all’intervallo di rischio. Sono stati registrati 364 ricoveri per IMA durante l’anno precedente e successivo il riscontro di test positivi per infezione da virus influenzale (periodo 2009-2014); di questi, 20 (20 ricoveri/settimana) si sono verificati durante l’”intervallo di rischio” e 344 (3.3/settimana) durante l’intervallo di controllo. Il rapporto di incidenza del ricovero per IMA durante l’intervallo di rischio rispetto all’intervallo di controllo era pari a 6.05 (95% CI 3.86-9.5), mentre non è stato osservato un aumento dell’incidenza di IMA dopo il 7° giorno dalla diagnosi di infezione. I rapporti di incidenza di IMA entro 7 giorni dal rilievo del virus erano pari rispettivamente a 10.11 (95% CI 4.37-23.38) per il virus influenzale B, 5.17 (95% CI 3.02-8.84) per il virus A, 3.51 (95% CI 1.11-11.12) per il virus respiratorio sinciziale e 2.77 (95% CI 1.23-6.24) in caso di riscontro di altri virus respiratori.Pertanto, questo studio conferma la presenza di un’associazione significativa tra IMA e infezioni respiratorie, soprattutto da virus influenzali, probabilmente dovuta all’attivazione piastrinica e alla disfunzione endoteliale correlate allo stato infettivo. In accordo con precedenti studi, che dimostrano che la vaccinazione anti-influenzale riduce gli eventi e la mortalità cardiovascolare, questi dati sono a supporto delle linee guida internazionali che raccomandano la copertura vaccinale nei soggetti ultrasessantacinquenni con lo scopo di proteggere anche dagli eventi coronarici, oltre che respiratori.

(Fonte: Kwong JC et al. N Engl J Med. 2018 Jan 25;378(4):345-353. doi: 10.1056/NEJMoa1702090.)