Cdc promuove le mascherine in tessuto, ‘riducono i rischi’

(da DottNet)   Le mascherine 'di comunità', quelle cioè ottenute con diversi strati di tessuto, non solo riducono il rischio che una persona con l'infezione da Sars-Cov-2 diffonda il virus, ma proteggono anche chi è sano filtrando, almeno parzialmente, eventuali goccioline cariche di virus provenienti dall'esterno. Lo scrive il Cdc americano in un documento in cui afferma che "adottare politiche universali sulle mascherine può aiutare ad evitare futuri lockdown".   Nel documento il Cdc cita diversi studi recenti, che suggeriscono che nei luoghi dove si indossano più mascherine di comunità il rischio di infezione si riduce, non solo perché il dispositivo evita che una persona infetta diffonda il virus ma anche per un effetto di 'sinergia' secondo cui anche chi non è infetto si protegge. "Le mascherine di tessuto non solo blocca efficacemente le goccioline di saliva più grandi - scrivono gli esperti statunitensi -, ma possono anche bloccare l'esalazione delle particelle più piccole, comunemente definite aerosol.  Quelle multistrato possono bloccarne fino al 70%". "Servono maggiori ricerche - concludono - per avere più prove dell'effetto protettivo e in particolare per identificare la combinazione di materiali che massimizzano l'efficacia".

Diabetologi all’Aifa: eliminare i piani terapeutici per il diabete

(da DottNet)   Abolire prima possibile i piani terapeutici relativi ai farmaci anti-diabete, che è una malattia cronica 'senza scadenze' e comunque prorogarli con urgenza in considerazione dell'attuale emergenza Covid e semplificare la prescrizione dei farmaci innovativi: sono le richieste unanimi delle principali associazioni scientifiche e professionali della Diabetologiaitaliana in una lettera ufficialmente indirizzata all'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in occasione della Giornata Mondiale del Diabete che si tiene sabato 14 novembre.  Vista la preoccupante emergenza sanitaria in corso, i diabetologi chiedono che siano definitivamente aboliti i Piani Terapeutici perla prescrizione in regime di rimborsabilità dei farmaci contro il diabete, e che sia estesa ai medici di Medicina Generale la possibilità di prescrivere anche i farmaci anti-diabetici di ultima generazione,. "Abbiamo più volte riferito l'importanza di far valere i piani terapeutici sine die - sottolinea il Presidente della Società Italiana di Diabetologia Francesco Purrello dell'Università di Catania - anche in considerazione del fattoche i farmaci prescritti sono ormaiin uso da tempo e sono sicuri, inoltre sono fondamentali non solo per gestire la malattia ma anche per prevenire le complicanze renali e cardiovascolari di essa". La compilazione dei piani terapeutici sottrae risorse e tempo preziose agli specialisti - rileva Francesco Giorgino, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia, che potrebbero essere meglio impiegate per i pazienti". Sicurezza ed efficacia delle terapie innovative sono ormai avvalorate da anni di uso clinico, ribadisce Paolo Di Bartolo, Presidente dell'Associazione Medici Diabetologi (AMD)."Oggi ci troviamo con sale d'attesa piene di persone che si recano in ospedale per atti amministrativi, per farsi mettere un timbro; ciò appare una follia specie in questo momento storico. Dobbiamo da subito avere un provvedimento che proroghi i piani terapeutici - conclude - e poi subito dopo la loro abolizione e la possibilità che i MMG possano prescrivere i farmaci innovativi, tutto questo deve avvenire ora, non ha senso che avvenga tra sei mesi, l'urgenza pandemica è ora". 

Covid: può salire 11% rischio morte contagiati zone a più smog

(da AGI)  Le persone che vivono in aree con livelli più elevati di inquinamento atmosferico potrebbero veder aumentato dell’11% il rischio di decesso in caso di infezione da Covid-19. Questo è quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista 'Science Advances', condotto dagli esperti dell’Università di Harvard, che hanno analizzato il legame tra le concentrazioni di particolato atmosferico e il numero di decessi nelle zone considerate più inquinate. “Un aumento di un microgrammo per metro cubo di particolato – sostiene Francesca Dominici, docente presso l’Università di Harvard – sembra collegato ad un aumento del rischio di morte per COVID-19 dell’11 percento”.
   Il team ha effettuato tali valutazioni sulla base dei dati sui casi di infezione da Sars-CoV-2 e sui decessi avvenuti presso l’ospedale della Johns Hopkins University. I dati sull'inquinamento atmosferico sono stati raccolti negli Stati Uniti da una combinazione di letture atmosferiche e modelli computerizzati e riguardano 3.089 contee, dove abita circa il 98 percento della popolazione statunitense. “I nostri risultati – afferma l’esperta – mostrano che i livelli di PM2,5 negli Stati Uniti variano notevolmente, con punti ad alta prevalenza intorno alle metropoli e alle città principali, dove possono essere raggiunti i 12 microgrammi per metro cubo”.
   Stando alle dichiarazioni degli autori, la ricerca, che si concentra sulle informazioni statunitensi, ha implicazioni di vasta portata, specialmente per quanto riguarda i luoghi in cui l’inquinamento atmosferico supera le soglie limite. “Definito il livello di 13 microgrammi per metro cubo come inquinamento elevato – prosegue la scienziata – nonostante il limite fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sia di 10 microgrammi per metro cubo, abbiamo scoperto che un aumento di un microgrammo per metrocubo potrebbe provocare una serie di conseguenze a livello di salute. Considerando due aree geograficamente simili tra loro notiamo che nella zona più inquinata si registra un aumento del tasso di mortalità di Covid-19”.

Quale ruolo per il MMG/PLS nel frenare la diffusione dell’epidemia da COVID-19?

(da Univadis)   I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta  possono svolgere un ruolo fondamentale nel contenimento dell’epidemia per evitare il raggiungimento di livelli incontrollabili di diffusione e conseguente saturazione nelle prossime settimane degli ospedali e dei letti di terapia intensiva.  A ribadirlo è l’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE) in un documento dedicato ai modelli di intervento efficaci.

Un ruolo educativo

Il ruolo essenziale che solo i medici sul territorio possono svolgere, secondi AIE, è quello educativo. “I medici devono costantemente sottolineare con i loro assistiti quanto sia cruciale che vengano rispettate rigorosamente tutte le norme di distanziamento” spiegano. “È verosimile che un gruppo critico nel guidare l’epidemia sia costituito da giovani e giovani adulti (classi di età da 15 a 30 anni) che tengono comportamenti non sicuri. Questo implica che l’epidemia ha, nelle condizioni odierne, molto spazio per crescere perché a rischio ci sono anche i genitori (e i nonni) di questi giovani. Nelle famiglie l’uso di dispositivi di protezione è molto problematico”.

Una seconda priorità è quella di sostenere e rinforzare la capacità di individuazione degli infetti, inclusi gli asintomatici, sul territorio. In questa situazione la tempestività è cruciale e il ritardo nella identificazione dei casi è anche dovuto ai tempi di attesa e di esecuzione dei tamponi molecolari. Per la diagnostica di casi con sintomi che devono essere trattati è irrinunciabile effettuare il tampone molecolare che ha la qualità diagnostica più alta, ma per tutte le altre condizioni stanno diventando necessari i test antigenici con risposta in 15 minuti. Il test rapido antigenico va riservato come test di primo livello per i sospetti con sintomatologia non chiaramente COVID-specifica e come esame di primo livello, laddove sia possibile, nei contatti.

La diagnosi differenziale

Come distinguere le situazioni più sospette, soprattutto nelle sindromi lievi con obiettività indifferente, che necessitano di tampone? Questo è il punto critico. Se il medico tende a fidarsi di indizi deboli (solo febbre a 37.5 o un po’ di tosse), segnalerà molte persone, intaserà i laboratori, avrà indotto moltissimi test che risulteranno poi negativi; al contrario il medico che abbia l’atteggiamento opposto tenderà a segnalare poche persone con sintomi significativi, che risulteranno quasi sicuramente positive al tampone, lasciandosi però sfuggire molti tra i casi pauci-sintomatici.

In apparenza le diverse patologie virali delle vie aeree hanno in comune quasi tutti i sintomi, rendendo difficile di primo acchito la diagnosi differenziale. In realtà non è esattamente così e alcuni studi hanno cercato di definire se il riscontro di un certo sintomo o segno, o la loro associazione, segnali una maggiore probabilità della presenza della infezione da SARS-Cov-2. Secondo il documento di AIE, possiamo stabilire tre categorie:

i pazienti che hanno probabilmente COVID-19 e richiedono un tampone molecolare immediato. Come ormai sappiamo, nel COVID-19 vi è un sintomo quasi patognomonico, ed è l’anosmia-disgeusia. Questa risulta presente in circa il 50% dei pazienti positivi e assente nel 97% dei pazienti negativi. Altri sintomi che correlano maggiormente con COVID-19 nei primi giorni di malattia, oltre alla tosse, sono quelli più generici come il dolore muscolare, il malessere generale, la cefalea, la febbre, l’astenia. Dispnea e fiato corto diventano significative man mano che aumenta la severità della malattia.

Il medico, nel decidere se segnalare un paziente per l’effettuazione del tampone, tiene anche conto, oltre che dei sintomi, di altre informazioni anamnestiche, inerenti alla probabilità della persona di essere stata contagiata (viene da una situazione ad alta prevalenza della malattia? svolge una professione a rischio? ricorda contatti con soggetti positivi o malati ) e al rischio individuale legato all’età alle co-morbidità. Per prescrivere il test, il medico non dovrebbe basarsi su indizi blandi, con una probabilità di malattia bassa, ma far conto su sintomi e segni più specifici di COVID-19 e maggiormente predittivi, come la triade anosmia/ageusia, febbre e tosse persistente.

La seconda categoria è quella intermedia (incerta o “area grigia”), in cui non vi è la triade anosmia/ageusia, febbre e tosse persistente, ma un’associazione meno predittiva di sintomi insieme a un’anamnesi positiva per i fattori di rischio (co-morbidità). Queste sono le situazioni in cui effettuare il test antigenico.

Infine, c’è l’area degli assistiti in cui ci si sente di escludere COVID-19, come la presenza di un solo sintomo o sintomi aspecifici senza fattori di rischio presenti (co-morbidità). In questi si può non prescrivere alcun test.

Il coordinamento e la gestione

Da un’indagine eseguita dall’Istituto superiore di sanità sui professionisti che lavorano nei Dipartimenti di Prevenzione di Regioni diverse (Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio, Calabria) emerge anche il ruolo essenziale dell’organizzazione del lavoro sul territorio.

Secondo la loro esperienza, è essenziale lavorare in équipe multidisciplinari e promuovere la conoscenza e lo scambio tra gruppi di lavoro diversi. È altrettanto fondamentale favorire la costituzione di un gruppo di coordinamento e di un sistema di comunicazione continuo che possa facilitare la collaborazione e l’integrazione e quindi sostenere l’operatività, attraverso la messa in atto delle azioni programmate. La mancanza di coordinamento e di un sistema di comunicazione organico può contribuire ad accrescere le problematiche di tipo organizzativo che possono generare incomprensioni, insoddisfazione e sfiducia tra gli operatori stessi ed essere percepiti dal cittadino come inefficienza del sistema.

“Nella fase di piena emergenza si sono chiariti anche alcuni aspetti procedurali riguardanti il flusso delle informazioni: è emerso che per facilitare la gestione e il ritorno delle informazioni è meglio non attivare più flussi informativi per uno stesso target, utilizzando mezzi di comunicazione diversi (e-mail, telefono, siti web)” affermava l’ISS in un documento di fine settembre, appena prima che il ritorno dell’emergenza rendesse questo consiglio ancora più importante. Nella comunicazione con i cittadini, passare attraverso i medici di medicina generale può essere un modo efficace, sia per selezionare le richieste sia per diffondere informazioni validate.

Essenziale è anche il potenziamento delle dotazioni tecnologiche per poter disporre di un sistema informatizzato e integrato, per mettere in rete dati clinici e di laboratorio e per attivare una rapida comunicazione tra figure professionali e contesti diversi (laboratori, MMG e ASL/AST). 

Infine, le condizioni e il carico di lavoro durante l’emergenza, la difficoltà a fronteggiare problemi complessi, la paura del contagio e la stanchezza dovuta alla carenza di risorse umane, la scarsità di mezzi, strumenti e strategie, la necessità di rimodulare più volte l’organizzazione in base al numero di casi crescente e alle esigenze gestionali, hanno contribuito a generare stress tra gli operatori

Tale situazione, che riguarda operatori ma anche i cittadini suggerisce la necessità di rafforzare sul territorio i servizi di psicologia e di salute mentale, affinché abbiano un ruolo attivo in un’ottica di promozione della salute.